Di Alessandro Perelli
Normalizzate, alcune vicende interne, la Cina sembra dedicarsi all’ampliamento del suo ruolo internazionale. In questo processo è favorita a focalizzazione del conflitto ucraino e quindi dall’isolamento progressivo di Putin.
XI Jinping, dopo la riconferma praticamente a vita, come leader incontrastato della potenza comunista, si sta dedicando a rinforzare l’importanza della Cina.
Pechino sta attivando una politica di aggressione economica e logistica verso l’Occidente, perseguendo la realizzazione della nuova Via della Seta. Inoltre, sostiene con interventi finanziari la costruzione di varie infrastrutture in Europa e in Asia.
Inoltre promuove un’intensa attività diplomatica che gli assegna un ruolo strategico in vasti territori che non risentono più dell’influenza Usa, prima consistente.
Se ne è avuta ampia testimonianza nei giorni scorsi. A Pechino si sono infatti contemporaneamente svolte le visite di Macron e Ursula Von Der Leyen; dell’Iran e dell’Arabia Saudita.
L’iniziativa di XI Jinping di presentare un piano di pace per fermare l’invasione russa in Ucraina aveva già messo in difficoltà Joe Biden. La difficoltà nasce dalla mancanza di garanzie sull’integrità territoriale di Kiev, nonché dalle reazioni che non registravano una risposta unitaria dell’Occidente. Lo stesso Zelensky ha mantenuto una posizione di attesa senza rifiuti aprioristici.
L’incontro tra il Presidente della Repubblica francese e il capo del Partito comunista cinese è la dimostrazione del ruolo della Cina. Sullo scacchiere internazionale non risulta affatto di isolamento o secondario.
Macron ha sostenuto l’autonomia strategica dell’Europa per ridurre la dipendenza dagli Usa. Ha ribadito il fatto che la Francia non prenderà posizione nella questione Taiwan e ha sostenuto il ruolo di mediazione di Pechino tra Mosca e Kiev.
In sostanza ha dato credibilità agli sforzi cinesi e, ovviamente, questo è stato recepito con grande soddisfazione dalla dirigenza comunista. La presenza di Ursula von Der Leyen ha assunto quasi un avallo ai suoi pronunciamenti.
Vero capolavoro diplomatico XI Jinping lo ha realizzato. E’ riuscito a riunire al tavolo del palazzo del Ministero degli Esteri, ospiti del Ministro Qin Gang, il responsabile della diplomazia iraniana Hossein Amir Abdollahian, e i suo omologo saudita: il principe Faisal bin Farhan al Saud.
La certificazione di quanto era avvenuto poche settimane fa quando, grazie alla mediazione cinese, Iran e Arabia Saudita avevano riattivato le relazioni diplomatiche dopo sei anni di tensioni e di incomunicabilità. Su queste Stati Uniti e Israele avevano ampiamente giocato per dividere il Medio Oriente.
Non è tanto, per la verità, la riapertura delle corrispettive ambasciate che preoccupa Usa e Tel Aviv, quanto il progressivo allontanamento dell’Arabia Saudita da un rapporto di collaborazione e alleanza con l’America, che di fatto l’incontro di Pechino certifica.
Della cosa si era già preso atto nel corso della recente visita di Joe Biden a Riad,. E’ fallito il tentativo del Presidente degli Stati Uniti di chiedere a Bin Salman un aumento della produzione di petrolio. La richiesta è mossa in relazione alla crisi energetica derivata dalle sanzioni a Mosca. Così come Joe Biden non era riuscito a convincere l’emiro a normalizzare i rapporti con Israele, seguendo l’esempio degli Emirati Arabi che avevano sottoscritto gli accordi di Abramo in era Trump.
È abbastanza ovvio che la ripresa della relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran (con la probabile futura visita del Presidente iraniano Ebrahim Raisi a Riad), vada esattamente nel segno opposto. A preoccupare sono tutte le possibili conseguenze di un forte aumento della tensione tra mondo arabo e Israele.
È un lavoro a tutto campo quello portato avanti a livello di politica estera da Xi Jinping. Gli spazi progressivamente occupati rendono il ruolo internazionale della Cina sempre maggiormente sviluppato e determinante.