di Michele Chiodarelli
Sabato 6 maggio con la cronometro di Ortona è partita la 106° edizione del Giro d’Italia di ciclismo che si concluderà a Roma dopo 21 tappe ,3489 chilometri complessivi con una media di 166 km a frazione e 51,400 meri di dislivello. Non credo di peccare di retorica o di eccedere di enfasi affermando che la corsa rosa (dal colore della maglia del primo in classifica, che richiama la Gazzetta dello sport che ha ideato, e oggi tramite Rcs organizza, la manifestazione) è, ormai, parte del nostro immaginario collettivo, un rito che ogni anno accompagna le vicende e scandisce la storia del nostro Paese. Non c’è, infatti, avvenimento sportivo più iconico e identitario del Giro da quando alle 2.53 del 13 maggio 1909, 127 temerari partirono da Piazzale Loreto, a Milano per una gara molto simile a una grande avventura. Avevano bici che pesavano anche 15 chili e la prima tappa tra Milano e Bologna era lunga 397 chilometri… Sono passati 114 anni e il mondo ha cambiato faccia più volte, siamo andati sulla luna, viviamo connessi da una tecnologia che ha rivoluzionato le nostre vite, ma la bicicletta è rimasta sostanzialmente la stessa: un triangolo di metallo (ora di carbonio) su due ruote spinte da una catena che trasmette potenza e identico è l’entusiasmo che accompagna il Giro lungo le strade di borghi o metropoli indifferentemente. Un grande romanzo popolare con capitoli sempre diversi, una trama avvincente con un finale spesso a sorpresa. Bene è ricordare che in Italia l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto alternativo al cavallo, la cui gestione, come è facilmente intuibile, era complicata e dispendiosa, iniziò a diffondersi verso la fine dell’ottocento ma non ebbe un immediato successo. Infatti sebbene il numero di bici che circolavano per le nostre strade passò dalle 200.000 del 1894 alle 900.000 di inizio secolo scorso, nel 1910 non si era ancora arrivati al milione e questa battuta d’arresto nel progresso dell’utilizzo della bicicletta era dovuto da un lato al costo eccessivo per la maggior parte di cittadini dall’altro la fatto che per la ricca borghesia si trattava di un mezzo già retro troppo artigianale e faticoso, così poco in linea con un progresso scoppiettante fatto di turbine e pistoni che prometteva l’emancipazione dallo sforzo e la velocità inebriante. Sarà proprio con la disputa del Giro con la sua messa in scena della sofferenza, con la sua epica, che avverrà l’immedesimazione fra la gente e i corridori che, come ogni persona, dopo mille difficoltà potevano godersi il meritato riposo e magari anche l’onore della vittoria.
Ho molti ricordi personali che mi legano al Giro in particolare quando tredicenne, nel 1981, assistetti alla volata vincente di Claudio Torelli in occasione dell’ultimo arrivo a Mantova o più recentemente al passaggio del gruppo compatto proprio davanti alla casa dei miei nonni; soprattutto da tifoso di Francesco Moser ho patito, fra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, cocenti delusioni per i Giri persi da favorito a opera di DeMuynck, Pollentier e purtroppo anche del suo acerrimo rivale Beppe Saronni. Amarezze ampiamente ripagate dall’apoteosi del 1984 quando Moser, a coronamento, di un inizio di stagione clamoroso in cui aveva stabilito il record dell’ora e vinto la Milano-San Remo, conquistò la maglia rosa proprio nella cronometro conclusiva, che terminava nel suggestivo scenario dell’Arena di Verona, precedendo il compianto Laurent Fignon, (che era partito con un vantaggio di 1 minuto e 21 secondi), di 2 minuti e 24 vincendo così il suo unico fantastico Giro.
Ovviamente il Giro non è solo tradizione, cultura, memoria è anche uno spettacolo agonistico intensissimo considerando che questi sono anni straordinari per il ciclismo: probabilmente mai nella storia vi è, infatti, stata una concentrazione tale di fuoriclasse in grado di contendersi ogni gara, ogni giorno dell’anno dal ciclocross alle classiche monumento, al Tour de France ecc. Pogacar, Van der Poel, Van Aert, Evenepoel con il contorno di Roglic, Alanphilippe, Vingegaard stanno, mese dopo mese, regalando agli appassionati emozioni irrepetibili.
Sfortunatamente, causa Covid, il Giro ha perso il favorito Remco Evenepoel, il predestinato nuovo Merckx, che si è ritirato al termine della prima settimana di gara mentre era in testa in virtù dei successi ottenuti nella cronometro inaugurale e in quella di Cesena. Anche senza Evenepoel (che a 23 anni appena compiuti ha già vinto, pur restando a lungo fermo per i postumi di una bruttissima caduta al “Lombardia” del 2020, un titolo mondiale, due Liegi-Bastogne-Liegi, la Vuelta nel 2022 e il titolo europeo a cronometro) corridori in grado di entusiasmare il pubblico non mancano: dallo sloveno Primo Roglic (trionfatore in tre Vuelta consecutive dl 2019 al 2022 e in una Liegi oltre a essere campione olimpico a cronometro in carica), ai britannici Thomas e Geoghegan Hart ( vincitore nel 2020) all’azzurro Damiano Caruso… ma alle loro imprese dedicheremo il prossimo articolo.