di Fabrizio Montanari
La neonata Camera del Lavoro di Reggio Emilia, sorta il 24 maggio 1901 su proposta della Federazione delle Cooperative di lavoro e di Arturo Bellelli, convocò il suo primo congresso provinciale nel gennaio 1902. Al congresso aderirono 22 cooperative di lavoro, 21 leghe di consumo, 24 società di mutuo soccorso e 10 leghe di resistenza. Nella Bassa reggiana invece le Leghe di Miglioramento erano già molto più numerose, tanto che a Guastalla, nel giugno del 1901, nacque, grazie all’impegno dell’on Sichel, una Federazione comprendente 45 leghe con oltre 7.000 soci.
Esse aderirono poi alla Camera del Lavoro reggiana, pur salvaguardando una certa autonomia. Come si può leggere negli scopi dello statuto, approvato il 7 luglio, il compito della C.d.L. doveva essere quello di “mettere a contatto e in permanente rapporto fra di essi gli operai, gli agricoltori associati o no, per educarli praticamente ai principi della fratellanza e della solidarietà”. Si formò pertanto una commissione esecutiva composta Arturo Bellelli, Giovanni Bolognesi, Eugenio Casali, Giacomo Nironi, Valentino Pozzi.
Tipica dell’esperienza reggiana fu l’organizzazione basata sull’integrazione fra resistenza, cooperazione e previdenza e la coesistenza al suo interno di organizzazioni di braccianti e di contadini. Dal momento della nascita a quello della celebrazione del congresso si riscontrò un forte e insperato aumento di circoli, cooperative e leghe. Al congresso, infatti, parteciparono i delegati di 24 società di mutuo soccorso, 63 leghe di resistenza, 50 sezioni di contadini, cooperative di produzione e lavoro e 50 cooperative di consumo e 2 cooperative agricole (affittanze. collettive).
Lo scopo dell’assise fu principalmente quello di definire la linea da tenere in vista della successiva stagione agricola. La questione agraria, considerato l’alto numero di addetti in provincia, lo sfruttamento esercitato dagli agrari sui braccianti, oltre 30.000, e la debolezza contrattuale di quest’ultimi, costituì il primo problema economico del programma socialista. Come si evince dai numeri riportati la C.d.L. di Reggio si propose fin da subito in un ruolo di aggregazione e di sintesi territoriale di tutta la classe lavoratrice.
I dirigenti più accorti infatti temevano, dopo i successi degli scioperi del 1901, una forte reazione degli agrari, che avrebbe potuto rimettere tutto in discussione. Per tale ragione, come fu riportato da La Giustizia “La Camera del Lavoro ha sentito il bisogno di convocare a congresso tutte le leghe di miglioramento perché si rendano conto della situazione e della responsabilità non lieve che pesa su quanti lavorano allo sviluppo e al consolidamento della nostra organizzazione”. Occorreva quindi organizzarsi, avere gli stessi obiettivi, creare un fronte unico da opporre a quello dei proprietari, che si andava formando in tutta la provincia. Importanti risoluzioni furono adottate in quell’assise.
Seguendo l’insegnamento di Prampolini “Uniti siamo tutto, divisi siamo niente”, la prima risoluzione fu quella di dare uno statuto uniforme a tutte le leghe, la seconda regolò le condizioni di lavoro della prossima stagione. Le ore di lavoro giornaliere dovevano essere sei in inverno, otto in primavera e undici in estate e autunno. I compensi orari dovevano essere aumentati e raggiungere i 18 centesimi all’ora. Venne inoltre chiesto ai contadini proprietari e ai mezzadri di assumere la manodopera rivolgendosi alle leghe di collocamento. Il successo di uno sciopero e della lotta di una lega doveva vedere la solidarietà fattiva di tutte le altre.
Le risoluzioni congressuali rispecchiarono in pieno le convinzioni dei suoi primi segretari: Arturo Bellelli, per un brevissimo tempo segretario e Antonio Vergnanini, che ritornato dall’esilio in Svizzera, nel mese di novembre lo sostituì. Vergnanini diresse poi la C.d.L. fino al 1912, quando divenne segretario nazionale della Lega delle Cooperative e Mutue. Entrambi furono fautori di una politica a conquiste graduali, alla organizzazione di una struttura che vedesse nella cooperazione e nell’unione degli sforzi di tutte le categorie di lavoratori la strada migliore e più sicura verso l’emancipazione della classe operaia.
Stando alla testimonianza di Bonaccioli e Ragazzi, essi unificarono il movimento, lo disciplinarono e orientarono con lo scopo d’evitare disgrazie. Ma affinché tale augurio potesse realizzarsi, c’era bisogno della cooperazione degli agrari. Da qui l’invito di Prampolini ad essere uniti e allo stesso tempo capaci di non esasperare la situazione, mantenendo sempre alta la capacità di contrattazione con la controparte.
1 commento
In questa interessante ricostruzione si può cogliere tutto il realistico e pragmatico gradualismo che ha sempre improntato la politica riformista, volta soprattutto a “portare a casa” il risultato, evitando le forzature che potrebbero comprometterlo o pregiudicarlo.
Paolo Bolognesi 24.10.2023