“Se ho guadagnato 300mila euro in 9 mesi? Non lo so, forse è una cifra sottostimata, spero che siano molti di più”. Così sbotta il Vittorio nazionale davanti alle ultime novità che lo riguardano: sono 715 mila gli euro che il professore sembra non aver pagato al Fisco. Per la Procura di Roma si tratta di “sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”. La vicenda parte nell’ottobre del 2020, quando l’eccentrico sottosegretario alla cultura partecipa a un‘asta e vi acquista un’opera di Vittorio Zecchin. Premesso che Sgarbi ha sempre negato la cosa, le carte dimostrerebbero che l’opera fu aggiudicata per 148 mila euro alla sua fidanzata: la Procura sostiene, invece, che il reale acquirente fosse proprio il buon Sgarbi.
- Associazione socialista liberale
- Cose di provincia
- Dai teatri e altro
- Dal mondo
- Economia e Lavoro
- Il Mondo è Bello perché è Avariato
- Giustizia
- Il Corriere della Pera
- Il senno del post
- In evidenza
- Istituzioni e territorio
- L’editoriale
- L’occhiodelbue
- Parliamo di noi
- Pillole di cultura
- Politica
- Politique d’abord
- Prampoliniana
- Prima pagina
- Redazione
- Route El Fawari
- Sanita
- Sorpasso
- Sport in pillole
- Storia socialista
- Suffrangetta
Un pò di burocratese? In base all‘articolo 11 della Legge 74/2000, è punito chiunque “al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore (…) aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva“. Si configura, insomma, il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui sopra.
A diffondere la notizia una lettera anonima inviata al Fatto Quotidiano. E qui la risposta di Sgarbi è stata immediata: si tratta di violazione della privacy bella e buona, da parte di un hacker che gli ha sottratto intere pagine di personalissime mail. Per l’esattezza, sono stati saccheggiati due account di posta elettronica in uso alla segreteria del Vittorio nazionale.
Ma nel mirino il sottosegretario è finito anche per altre vicende. Come per l’accusa di aver percepito denaro in aperta violazione di una norma che riguarda tutti i componenti di governo: Sgarbi avrebbe incassato circa 300 mila euro in consulenze, presentazioni e mostre. Ma anche stavolta non lo ha fatto a nome proprio, ma tramite società intestate a un suo collaboratore o (ancora una volta) alla sua fidanzata. Il lupo perde il pelo ma il vizio, insomma. E si trova così ad aver violato anche un’altra norma, quella sancita all’articolo 2 della Legge 15/2004: “il titolare di cariche di governo non può esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse alla carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici e privati”. Davanti all’evidenza chiunque avrebbe perlomeno chiesto venia. Non Sgarbi, che invece ha subito ribattuto con tono sprezzante: “La mia attività non è vietata dalla legge. Sono come un ministro che scrive libri“. A corollario della sua affermazione, il critico d’arte sbandiera una lettera dell’Anac che giustifica le sue attività come tecnicamente “divulgative”. Sarà, ma il fattaccio resta. Né sembra credibile quando sostiene la gratuità dei suoi interventi: “non prendo una lira dal ministero, per le missioni“, dice.
Ma vogliamo continuare ad elencare le sue piuttosto opinabili avventure? Parliamo allora della Fondazione Principe Pallavicino. Da anni Sgarbi ne cura la promozione e l’allestimento di mostre e conferenze, utilizzando (dice) risorse private. Gli emolumenti corrisposti dalla Fondazione sono tutti regolarmente fatturati e tracciati, vero: ma allo Sgarbi storico, e non allo Sgarbi sottosegretario. Ma non finisce qui.
Sembra che Sgarbi abbia affidato il coordinamento dell’Associazione Pro Biennale all’artista Barbara Pratesi, che a sua volta ha versato 4.500 euro al caro Vittorio. A che titolo? Non ci è dato sapere. Dal canto suo, l’irriducibile Sgarbi canzona gli inquirenti sottolineando che hanno “confuso” l’Associazione in questione con la ben più prestigiosa “Biennale di Venezia”. D’accordo, ma questo giustifica il mercimonio di incarichi?
Poi c’è il viaggio a Messina: lo scorso 9 agosto Sgarbi vi si è recato per presentare un documentario cinematografico. Dice di essere stato invitato espressamente da un’associazione culturale, ma omette di dire che quell’iniziativa ha coinciso con altre di carattere istituzionale, tutte facilmente documentabili. Tra queste, i sopralluoghi al Museo Regionale di Messina e a varie chiese cittadine che custodiscono opere d’arte, l’incontro con il sindaco della città e l’incontro con l’assessore regionale al Turismo della Regione Siciliana per la programmazione di iniziative congiunte.
Và anche ricordato, per lo scenario romanzesco, il giorno in cui Sgarbi chiese alla Capitaneria di porto di Catania di utilizzare una loro imbarcazione per prendere il volo da Reggio Calabria, volo che avrebbe perso se avesse dovuto attendere il traghetto.
Che Sgarbi indossi la duplice veste di critico d’arte e sottosegretario alla Cultura, non è di per sé un impedimento. Del resto, l’incarico istituzionale gli è stato conferito proprio a ragione delle sue specifiche doti culturali. Ma capire quale portafoglio utilizzi il personaggio per espletare la sua duplice funzione non sarebbe poi tanto male. E non vogliamo tralasciare neanche la strana vicenda che lega Sgarbi alla collezione Agnelli: sappiamo che lo Stato possiede la lista completa delle opere d’arte d’inestimabile valore lasciate dall’Avvocato ai suoi eredi. Lo Stato dovrebbe tutelare tutta la collezione (e non solo il 5% oggi esposto a Torino nel Museo del Lingotto). Interrogato sulla questione, Sgarbi risponde che “lo Stato non può vincolare tutto, e che il proprietario può farne quel che vuole – persino distruggerla“. Ma le cose non stanno proprio così: la legge italiana prevede la detenzione fino a 5 anni per il danno a un’opera d’arte di dichiarato valore storico, artistico ed economico, già tutelata dall’Articolo 9 della Costituzione.
La mancata notifica allo Stato della versione integrale della lista delle opere sembra riguardare proprio una certa palese “omissione” del nostro Vittorio: tanti, infatti, sono i suoi diretti legami (non solo professionali) con le famiglie Elkann e Agnelli. La notifica dei Monet, Bellini, Balla, Canova custoditi nelle case degli Agnelli ridurrebbe il valore di quelle opere (sono oltre 600 tra tele e sculture) fino al 50% e ne renderebbe di certo impossibile la vendita. Ad oggi risultano regolarmente notificate alla Soprintendenza di Torino solo quattro opere di Canova. E le altre? E le altre sono state valutate proprio da un certo Vittorio Sgarbi, che la famosa lista la conosce forse a memoria. Eppure dimentica di sollecitarne la tutela globale al Ministero della Cultura, da cui è pagato e per cui lavora.
Per questo Sangiuliano è finalmente sbottato: “Sono indignato dal comportamento di Sgarbi. Ho subito avvertito chi di dovere, segnalandolo anche a Giorgia Meloni“. Ma non contento di questa dichiarazione già vibrante, il Ministro continua: “Non l’ho voluto io (Sgarbi) e anzi cerco di tenerlo a debita distanza e di rimediare ai guai che fa in giro“. E và giù pesante, ancora, nell’affermare che Sgarbi “promette cose irrealizzabili. E io poi dopo devo andare a spiegare ai giornali che questa cosa non esiste, che non si può fare, che c’è una procedura, che bisogna rispettare le leggi, che tutto va fatto con l’Agenzia del demanio”. Sangiuliano si riferisce all’Antitrust: in base alle norme, infatti, va dimostrato se ogni attività a pagamento possa considerarsi o meno contraria alla legge. E così ha fatto il Ministro, prendendo tutte le cartelle relative alle dispendiose attività del sottosegretario e consegnandole all’apposito organismo di vigilanza.
Nelle ultime ore anche una parte del PD, per voce del suo capogruppo alla Commissione Cultura Irene Manzi, ha chiesto “un intervento e una chiara presa di posizione da parte del ministro in quest’Aula“, sollecitando l’immediata revoca della nomina a Sottosegretario di Stato del professor Vittorio Sgarbi.
Si sa, pecunia non olet. Ma la faccia tosta sì.

Lucia Abbatantuono
Autrice. Laurea in Scienze Politiche Economico/Internazionali, Master ISSMI. Funzionario pubblico, già ricercatrice al Centro Alti Studi per la Difesa, esperta di politica militare e diritto internazionale. Appassionata di letteratura, musica classica e studi classici, è pianista e scrittrice. Editorialista e opinionista, scrive anche per le riviste Il Chaos e L'Autiere. Socia del torinese Club di Cultura Classica e dell'Associazione Socialista Liberale.