Un tiepido sole poco estivo e molto pre-autunnale è sceso sul duomo di Milano chiudendo quella che è stata la giornata del commiato e chiudendo definitivamente la epopea Berlusconiana su questa terra.
Le esagerazioni sono sempre manifestazioni rozze, poco appropriate e a volte suscitano disgusto, lo sono state quelle che hanno accompagnato le parole di tristi personaggi, come tale Tomaso (con una sola “m”, patetica chicca di snobismo aristocratico) Montanari, che ha pensato di recuperarsi una ribalta recitando il ruolo del cattivo manco fosse un film con Bud Spencer e Terence Hill; lo sono state quelle del popolo della destra che ha superato gli argini del buon gusto per scivolare nel risibile della santificazione.
Perché poi alla fine le esagerazioni finiscono per mortificare proprio la persona che riceve gli onori.
Ma in una piazza in cui spiccavano ovunque solo i colori rossoneri non è un caso se le manifestazioni di affetto e dolore che hanno reso maggiormente il fresco gusto della sincera genuinità sono state proprio quelle dei tifosi accompagnate dalla riservata partecipazione del mondo dello sport che ha celebrato, con garbo e stile, quella parte di Berlusconi che ha avuto i successi maggiori, il Silvio Presidente del Milan, il Silvio uomo di sport.
Ora Berlusconi è consegnato al giudizio della storia e tra qualche decennio avremo forse una lettura più o meno obiettiva della sua vicenda.
Ma se la storia vuole i suoi tempi, le pagine della agenda scorrono veloci e oggi è già un altro giorno, la vita continua e l’importanza dei settori che lo hanno visto protagonista impongono qualche domanda perché già il domani, se non l’oggi, esigono delle risposte.
Come sarà il dopo, cosa succederà?
Presumibilmente nulla al mondo sportivo, se non quel triste senso di vuoto che pian piano sfumerà come il vino rosso versato sul brasato.
Del Milan si era liberato da tempo e ora naviga con il timone in altre, ahimé, mani mentre il Monza è affidato al fido e navigato Galliani.
Discorso diverso è quello da fare per il l’impero imprenditoriale che Berlusconi lascia e che rappresenta un altro dei suoi innegabili successi.
Ah, se fosse restato imprenditore prestato allo sport cosa sarebbe stato di lui e quali successi avrebbe mietuto: non provo difficoltà a immaginarlo presidente del CIO e ad accendere il sacro fuoco di Olimpia inaugurando una Olimpiade. Ecco: vedendolo in quella veste non avrei avuto difficoltà anche io a considerarlo “Simpley the best”.
Tornando al suo impero diversi giornali hanno ricostruito la mappatura delle sue proprietà e le quote già di appartenenza dei suoi figli.
Il nodo è proprio lì. Come quel che Berlusconi lascia sarà diviso tra i figli e come cambieranno i successivi equilibri di partecipazione e gestione della azienda.
Ma soprattutto quel che conterà sarà la capacità della sua dinastia di rimanere unita. Fascina a parte che presumibilmente riceverà un cospicuo salvadanaio per togliersi dalle scatole.
Purtroppo la mia carriera professionale mi ha insegnato che tutte le famiglie, anche quelle che appaiono le più unite, dopo la scomparsa del capostipite diventano un inevitabile covo di vipere, una delle tanti leggi di Murphy sapientemente raccontata da Mario Monicelli in un film girato proprio nella mia Sulmona.
Se i rampolli dei due matrimoni di Berlusconi sapranno essere uniti dovranno solo dimostrare di saper gestire; ove così non fosse, come si dice dalle mie parti, “sparti palazzo rimane cantone”.
Discorso diverso è quello che va fatto per la politica. Qui non lascia un impero e, a dispetto delle glorificazioni e dei proclami celebrati sul Silvio politico, la sua eredità è abbastanza sbrindellata.
Forza Italia ha percentuali da prefisso telefonico, molti dei suoi esponenti di qualità hanno da tempo lasciato i suoi lidi lasciando sul campo i fedelissimi ma anche i più fanatici e quindi anche i più miopi.
La sua colpa è tutta qui e del resto è stato il leit motiv della avventura politica: un egocentrismo smisurato e un ego esagerato che non gli hanno mai fatto tollerare di avere a fianco persone che potessero fargli ombra (cosa non certo difficile) e non gli hanno mai fatto prendere in considerazione l’idea di allevare un erede quasi fosse davvero convinto della sua immortalità.
E così pian piano a cominciare da Fini e Casini, passando per Cicchitto e Alfano e per finire alla Carfagna e alla Gelmini, ma anche la stessa Meloni, se ne sono cominciate ad andare persone che avevano dimostrato di capire di politica e che avrebbero potuto rappresentare valide ipotesi di successori al trono.
Già oggi di Forza Italia non si sa cosa succederà e molti la immaginano inerme preda, tra i flutti dell’oceano, alla mercé degli squali.
La sua eredità politica è tutta qui, mesta smarrita, scarno frutto della sua opera in quel campo della sua storia che ha arato peggio. Chi resta raccoglie quello che lui ha seminato: ben poco.
E anche per lui varranno le parole che Marcantonio declamò sulla scalinata del Senato al cospetto delle spoglie di un uomo che per ambizione e vanità gli fu molto simile.
“Nobili romani! Amici, concittadini romani! Prestatemi orecchio. Sono venuto a seppellire Cesare, non a farne l’elogio. Il male che un uomo fa, gli sopravvive, il bene, spesso, resta sepolto con le sue ossa. E così sia di Cesare.”