Il ministero della sanità viene creato in Italia nel 1958, con l’entrata in vigore della legge n.296 del 13 marzo 1958, ed alla sua guida viene indicato il democristiano Monaldi. Il sistema che lo reggeva era quello mutualistico che, però, determinò forti squilibri sociali, l’assenza di una efficace programmazione ed un forte aggravio economico. Sono anni di fermento sociale, comincia la stagione degli anni Sessanta e sulla scena si affacciano battaglie politiche tese al miglioramento civile ed economico della società italiana. I governi di Centro-Sinistra degli anni ’60 contribuiscono, infatti, a cambiare il volto dell’Italia ed i Socialisti con la riforma della scuola media unica e sul tema della sanità pubblica combattono una battaglia politica strenua, complicata ma determinata e determinante e, in gran parte, vittoriosa. Nel I Governo Moro, il ministro della sanità, il socialista Giacomo Mancini, firma l’adozione del vaccino Sabin contro la poliomelite. Il suo successore, un altro socialista, l’on. Mariotti, legherà il suo nome alla legge n.132/1968 che estenderà il diritto all’assistenza ospedaliera a tutti i cittadini, trasformando gli ospedali (fino ad allora gestiti da enti di assistenza e di beneficenza) in enti pubblici ospedalieri. Una legge, però, che, nonostante i principi ispiratori ed il progressivo superamento del sistema delle mutue, si rivelerà onerosa dal punto di vista finanziario. Comunque, il processo per una realtà assistenziale più equa era stato messo in moto per cui, nel 1978 si istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, con alla guida il ministro Tina Anselmi.
La svolta di universalismo e globalità viene impressa nel periodo del dicastero di un altro socialista, l’on.Aldo Aniasi ( 1980/1981) che statuisce il diritto alla salute come “diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Altro aspetto fondamentale, proprio della battaglia socialista, è dato dalla statuizione che il SSN non esaurisca la sua funzione nell’assistenza sanitaria ma si sviluppi anche attraverso gli aspetti della prevenzone, della riabilitazione, della promozione della salute: la salute, dunque, da questo punto in avanti, viene considerata nella sua globalità pubblica. Purtroppo, non tutto è andato come pensato all’atto della legiferazione: il primo Piano Sanitaro Nazionale, che sarebbe dovuto essere contestuale o, comunque, temporalmente ravvicinato alla promulgazione della legge n.833 del 23/12/1978, fu approvato nel 1994. Ad adiuvandum, le USL divennero un biasimevole luogo di lottizzazione e, dulcis in fundo, non vi fu alcun meccanismo di gestione responsabile e di salvaguardia della spesa sanitaria. Pertanto, essendo i costi divenuti totalmente insostenibili, si pervenne, nel 1992, ad una nuova riforma che puntava su tre aspetti fondamentali: managerializzazione, aziendalizzazione e razionalizzazione. Insomma, comincia a farsi strada il terribile concetto di ” monetizzazione della salute”.
Ai problemi creati da questo nuovo provvedimento legislativo si aggiunse, nel 2001, la devoluzione del Titolo V della Costituzione, atto licenziato per dare piena attuazione e copertura costituzionale alla cosiddetta “riforma del federalismo” . Alle Regioni viene riconosciuta autonomia legislativa, articolata su tre livelli di competenza: esclusiva o piena; concorrente o ripartita; di attuazione della leggi dello Stato. Questa nuova condizione ha, in breve tempo, operato ulteriori degenerazioni aggravando le disuguaglianze nell’assistenza sanitaria, evidenziando le carenze dell’attuale modello di erogazione dell’assistenza stessa. Di fronte a questo scenario, oggi appare sempre più evidente che il tema sanità pubblica in Italia si sostanzia nel diritto alla salute e nel diritto alla cura, e per rendere pienamente esigibili questi diritti, è necessario investire in professionalità specialistiche, frutto di una formazione adeguata e ben distribuita. A tale scopo appare ineludibile l’abolizione del numero chiuso nell’accesso al corso di laurea in medicina, vincolando il giusto monitoraggio qualitativo ad una congrua valutazione di profitto correlata al primo biennio curriculare.
E’, altresì, altrettanto necessario un ritorno alla centralizzazione delle funzioni delegate in tema di sanità pubblica e pertanto, nel mentre vanno poste in essere tutte le azioni e le procedure più idonee per il perseguimento di tale obiettivo, risulta necessario e funzionale il ricorso, per la stipula di accordi vincolanti tra le parti, alla Conferenza Stato-Regioni unificata.
Oggi abbiamo l’opportunità del PNRR per cui, rispetto alle direttrici del nuovo piano sanitario in esso contenute, vanno monitorati i decreti ministeriali che definiscano standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e l’identificazione delle strutture ad essa dedicate, mentre va approfondita tutta la partita legata alle case di comunità ed agli ospedali di comunità (che vede la sua previsione di realizzazione attestata al 2026).
Si pone, pertanto, il tema di come gestire adeguatamente la “transizione”, vale a dire come in questo triennio prossimo possa essere erogata una sanità pubblica funzionale e di qualità.
Da Socialisti, condividendo l’incipit programmatico “casa come primo luogo di cura” e sostenendo l’importanza e la necessità di un piano di prevenzione sanitaria, si ravvisa la necessità di un forte potenziamento del numero e della qualità dei medici di famiglia. A questo va accompagnata una azione di snellimento delle liste di attesa, sia per le prestazioni strumentali che per le visite specialistiche che, passando per una trasformazione della attuale normativa sull’accreditamento, fornisca al servizio pubblico, ancorchè in convenzione, una qualità ed una tempistica di equivalente caratura di quello offerto dalle strutture private a pagamento, pena la decadenza dal rapporto di accreditamento medesimo. Il diritto alla salute, ed il covid lo ha ben tristemente dimostrato, rappresenta un elemento giuridico-programmatico trasversale, pertanto devono essere maggiormente coinvolti e meglio incardinati nel sistema sanitario i dipartimenti di previsione ambientale. Un ulteriore elemento rilevante risulta essere una adeguata revisione del prontuario terapeutico e del funzionamento delle centrali uniche di acquisto. Un saldo vincolo di correlazione va, inoltre, posto tra la medicina di genere e la funzione degli IRCCS.
Infine, il diritto alla cura va sostenuto principalmente attraverso un capillare processo di modernizzazione ed efficientamento del parco tecnologico ospedaliero, di un adeguamento formativo continuo e costante di tutti gli operatori del settore e di una reale e capillare, sull’intera rete nazionale, in modo standardizzato e condiviso, realizzazione di tutte quelle infrastrutture tecnologiche atte al raggiungimento della interoperabilità digitale.
Maria Rosaria Cuocolo
1 commento
Grazie! Per l’argomento, tra i più importanti della vita. Per quella che è storia del nostro paese. Per l’orgoglio socialista!