Di Fabrizio Montinari
Con l’approssimarsi del XVII Congresso Nazionale Socialista, convocato a Livorno per il 16-21 gennaio 1921, le diverse frazioni interne al partito si organizzarono per definire le rispettive posizioni da sottoporre alla votazione dei delegati. Il clima politico della vigilia era particolarmente teso. Lo scontro interno era diventato talmente aspro e profondo che la prospettiva della scissione diventava ogni giorno più realistica.
In realtà, come molti dirigenti andavano affermando, il dado era tratto. Tanto valeva dunque organizzarsi per lo scontro finale. Dinnanzi alla crisi economica determinata dalla guerra, alla debolezza del governo, alle occupazioni delle fabbriche e al trionfo del bolscevismo in Russia, il partito socialista italiano si divise tra chi voleva fare come in Russia, cioè passare subito alla fase rivoluzionaria e chi non riteneva che in Italia esistessero le condizioni storiche, sociali, culturali e politiche per scatenare la rivoluzione, men che meno quella autoritaria e dispotica voluta da Lenin.
Il congresso di Livorno, nelle intenzioni di tutti, avrebbe dovuto affrontare quel nodo e porre fine alla lotta fratricida interna. Nell’autunno-inverno del 1920 si affilarono dunque le armi, ovvero le piattaforme programmatiche e di lotta da sottoporre all’approvazione dei delegati.
I “comunisti puri” (Bombacci, Terracini, Bordiga, Gramsci, Fortichiari, Tasca) si riunirono a Imola, deliberando l’adesione ai 21 punti imposti da Mosca per aderire alla Terza Internazionale. Il punti più controversi e divisivi erano due: il cambio del nome del partito da socialista a comunista e l’espulsione dei riformisti e dei loro alleati.
Serrati, contrario a quella decisione, organizzò un incontro di deputati massimalisti o “comunisti unitari” a Trieste, nel corso del quale si disse convinto della necessità di tenere unito il partito.
La frazione di “Concentrazione”, che univa tutti i riformisti, si riunì invece il 10,11,12 ottobre 1920 a Reggio Emilia, presso la storica Sala del Tricolore. Oltre alla presenza di 300 delegati, prevenienti da tutte le regioni d’Italia, si notò la partecipazione attiva di Turati, Anna Kuliscioff, Treves, Modigliani, Mondolfo, D’Aragona, Argentina Altobelli, Zibordi e Prampolini.
Dopo l’apertura dei lavori da parte di Mondolfo e i saluti della Amministrazione comunale, prese la parola Zibordi. Egli riaffermò la necessità di rifarsi alla concezione ideale e morale storica del socialismo italiano, seppur rinnovata alla luce delle attuali contingenze. Le masse, a suo parere, dovevano affrancarsi dai condizionamenti della guerra e della Rivoluzione russa, sfuggendo così al “miracolismo” di azioni violente e confuse e velleitarie.
La discussione fu serena, approfondita e chiarificatrice. Alla fine fu approvata la mozione Baldesi-D’Aragona che fissava i punti sui quali gli aderenti alla frazione si sarebbero dovuti attenere in sede congressuale. Tali punti si possono così riassumere: salvaguardare l’unità del partito, mantenimento del nome di Partito Socialista, contrariamente a quanto preteso da Mosca, rifiuto di qualsiasi discriminazione nei confronti dei riformisti, adesione alla Terza Internazionale, pur salvaguardando la propria autonomia circa l’applicazione dei 21 punti, riconoscimento non automatico, ma possibile, di una dittatura del proletariato, che tenesse conto delle specificità dei singoli paesi e quindi d’attuarsi non secondo un modello codificato e unico. Si confermava inoltre la fiducia nella via legalitaria e parlamentare, si rifiutava la violenza, si negava che la crisi economica e sociale scaturita dalla guerra costituisse il presupposto sufficiente per avviare la presa del potere per via rivoluzionaria. Alcune affermazioni, come appare evidente, furono inserite per lanciare un ponte a Serrati, impegnato a convincere la maggioranza del partito a salvaguardare l’unità del partito.
Le conclusioni del Convegno furono assegnate a Prampolini, il quale si dilungò nell’illustrazione degli antichi e sempre attuali principi dell’organizzazione e della propaganda socialista, individuando il vero ostacolo a tutto ciò nel “fanatismo che la guerra aveva lasciato in eredità”. A proposito dei 21 punti di Mosca, Prampolini rivendicò la legittimità e la necessità di una loro “interpretazione italiana”, specie in riferimento al “centralismo democratico”, che faceva emergere una concezione autoritaria, rigidamente gerarchica e la subordinazione al partito di tutte le altre organizzazioni di massa. In conclusione egli esortò la classe lavoratrice a riscattarsi dalla concezione ancora dominante, che assegnava alle masse il ruolo subalterno “di carne da macello, ora per la religione, ora per la patria e ora per il socialismo”.
Quel Convegno si rivelò molto importante perché riuscì ad esaminare a fondo non solo la situazione politica, ma tutta una concezione dottrinaria, che costituirà la base politica e programmatica del futuro Partito socialista unitario di Matteotti.
Nel successivo Convegno provinciale di Concentrazione del mese di novembre, come riportato da La Giustizia del 26 novembre 1920, Prampolini affermò: “Non lasciate la vostra vita nelle mani di pochi. Male agiscono le moltitudini che anziché pensare alle proprie sorti, esse si affidano ciecamente nelle mani di pochi, i quali possono agire in buona fede, ma spinti da un fanatismo tale, da una così cieca fede di essere essi solo nel vero, da sacrificare alle loro utopie, ai loro sogni, gli stessi fratelli, i figli, i genitori, come purtroppo è avvenuto durante l’immane guerra”.
Il Congresso di Livorno, come è noto, finì con la scissione dei comunisti che diedero vita al Partito Comunista d’Italia e il mantenimento vita del Partito Socialista nel quale coabitarono forzosamente, ma ancora per poco, i riformisti di Turati e i massimalisti di Serrati, condannando entrambi a continue ed estenuanti mediazioni e il partito all’incapacità di svolgere una incisiva iniziativa politica, proprio quando il fascismo era ormai alle porte.
I risultati della votazione sulle mozioni presentate, infatti, non lasciarono dubbi: votanti 172.487, astenuti 981, massimalisti (comunisti unitari) 98.028, comunisti puri 58.783, concentrazionisti 14.695.
L’appuntamento per Turati e company era solo rinviato.