Destinazione extragiudiziaria dei magistrati eletti in uno dei rami del Parlamento terminato il mandato elettivo
Il fenomeno dei magistrati eletti in uno dei due rami del Parlamento e’ diventato una costante ed e’ comune alle diverse forze politiche. L’attività politica dei giudici ha fatto nascere, negli ultimi anni, perplessità in un numero crescente di cittadini sull’effettiva terzietà dei titolari della giurisdizione.
Il principio statuito dal comma primo dell’articolo 104 della Costituzione che recita: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», è disatteso allorquando si verifica la commistione tra attività giurisdizionale ed esercizio politico.
Il giudice che, seppure per un periodo limitato, rappresenta uno schieramento politico in un ramo del Parlamento, indubbiamente partecipa ad un impegno di parte facendo proprie idee e programmi.Il cittadino imputato non si sente sufficientemente tutelato sapendo di dover essere giudicato da un magistrato che ha militato in un campo politico-ideologico, avendo cioè difeso idee e programmi anche confliggenti con altri.
L’attività giurisdizionale esercitata da un giudice già parlamentare perde quella sacralità rappresentata dalla diffusa convinzione del popolo di essere tutelato da magistrati custodi della giustizia giusta.
Prevedere l’impedimento per il magistrato, terminato il mandato parlamentare, di riprendere le funzioni giurisdizionali, significa affermare il principio della divisione dei poteri e rafforzare la fiducia che in democrazia i cittadini debbono avere per l’amministrazione