Non è a caso la scelta del comodino rispetto alla credenza, alla cucina, alla toeletta o alla consolle dei videogiochi perché, attraverso le vicende di Brando e Greta, i due autori narrano quanto sia capace l’amore di smontarci il cervello non appena il pungente dardo di Cupido ci coglie la chiappa sinistra.
E già perché, salvo rituali feticisti, l’amore prima o poi inevitabilmente finisce a letto (sennò che amore sarebbe) e quindi il comodino è il mobile più vicino per poggiare qualunque intralcio alle acrobazie passionali, cervello compreso.
E così, con Brando e Greta, raccontano quegli stralci delle loro vite nelle quali passioni e sentimenti hanno preso il sopravvento sulla normale razionalità del tran tran quotidiano nel tentativo, ben riuscito, di evidenziarne i paradossi e le contraddizioni in episodi che a volte sembrano appartenere alla fiera dell’assurdo.
Più che a quattro mani è un romanzo a “due storie” essendo marcata la distinzione tra le parti scritte da Franco e quelle scritte da Lucia con tanto di signatures apposte in calce a ogni capitolo; più che un romanzo è la trascrizione di due confessioni, tra l’altro molto intimistiche, con un vago, ma neanche tanto, sapore dell’impronta autobiografica.
Apparentemente dissacrante, la narrazione che Franco fa delle vicende di Brando sembra avere un taglio escatologico che si percepisce sin dal racconto dei disagi familiari, per le stravaganze dei suoi componenti, che i toni sfottenti e sarcastici dell’autore, che strappano più di un sorriso, non riescono evidentemente a nascondere.
Partendo dai genitori Fausto e Clara e dai fratelli Pietro e Mario, Franco salta dal trampolino per sbizzarrirsi sulle storie sentimentali, con una serie di sequel quasi enciclopedica di donne che abbraccia la vita di Brando dall’età adolescenziale ai giorni nostri, senza risparmiarsi riflessioni profonde sulla natura dell’animo umano ma anche su spaccati di storia contemporanea, che hanno segnato il divenire della società italiana, sapientemente mescolate nello scenario che fa da sfondo al racconto.
Ben diversa è la narrazione che fa Lucia delle vicende della sua protagonista.
I dettagli intimistici sono molto sfumati, perché Greta non racconta sé stessa attraverso la sua storia, ma si fa raccontare dai personaggi, che incontra, attraverso le loro storie.
Più romanzo che biografia (o autobiografia), Lucia, con uno stile lineare ed elegantemente sobrio che rifugge sia barocchismi descrittivi che eccessi di sintesi mortificanti, dipinge i vari uomini in cui si imbatte Greta con una ironia british fluida e divertente.
E così, per ognuno dei capitoli, facciamo amicizia ora con la spettacolare perfezione di Mauro, ora con l’approccio criminale (dei sentimenti) di Alessandro, ora con l’aristocratico corteggiamento di Giangiacomo che trasforma il “provolone” in un “camembert” tutta muffa e fuffa.
Trascinato da uno stile letterario delizioso il lettore entra nella storia ed è lì, tra le quinte o dietro una tenda, a viverne le vicende quasi il suo ruolo fosse quello del mentore, pronto a dare consigli.
Ma alla fine questo amore, questo frutto che Cupido offre con i suoi dardi, è dannato come il pomo che Eva offrì ad Adamo, è avvelenato come quella mela che la vecchia strega offrì a Biancaneve o è una emozione che vale la pena vivere?
Questo famoso cervello che dovrebbe essere la parte ontologica di noi stessi, deve rappresentare il nostro freno razionale al lasciarsi andare tra i flutti delle passioni o deve essere messo sul comodino perché la mente non governa le emozioni ma è solo una lente per leggerle meglio?
Refuser d’aimer par peur de souffrir c’est comme refuser de vivre par peur de mourir, scrisse un saggio anonimo francese e l’amore di Dante per Beatrice, vera guida del poeta con le vesti di Virgilio nel cammino tra i gironi dell’Inferno, ne rappresenta la somma allegoria.
I due autori sembra abbiano fatto al contrario dei frati trappisti. Questi ultimi predicavano bene e razzolavano male, Lucia e Franco hanno predicato male e razzolato bene, perché i loro racconti dissacranti sull’amore e sugli innamorati danno l’idea di un malizioso tentativo di inganno ai danni del lettore.
Se le ultime righe delle loro prefazioni son sincere.
“Questo romanzo vuole anche dimostrare che rinascere, dopo la fine di una storia importante, è possibile…non rinnegando gli errori commessi, ma piuttosto partendo da questi per ricominciare ogni volta.” (Franco Fratini)
“Perciò, all’ennesimo compito sbagliato, un giorno ho pensato di poter giustificare la mia ennesima cazzata dicendomi che, in fondo, avevo solo lasciato il cervello sul comodino. Perché il cuore batte comunque, fedele o meno, e rende i suoi servigi…ma è il cervello che ogni tanto va disinnescato, dimenticato e lasciato in pace.” (Lucia Abbatantuono)
E già, è vero, poi alla fine viene sempre il momento di lasciarsi andare e mettere il cervello sul comodino perché amare fa bene alla salute, e ve lo dice un discendente di Ovidio e poi, come canta Baglioni, dopo un addio siamo “liberi finalmente…e non saper che fare”.
(”Il cervello sul comodino”, di Lucia Abbatantuono e Franco Fratini, su Amazon)