Come recitava la battuta di Massimo Troisi che diede il titolo anche al suo celebre film?
Appunto: pensavo fosse amore invece era un calesse.
È il succo della riforma della giustizia di Carlo Nordio che tanto attendevamo e della quale tanto si è parlato da quando il magistrato più garantista della storia, rapito dal centrodestra, è assurto al rango di Ministro della giustizia.
E già perché è vero che di limature e attondature ne sono state fatte, e anche rilevanti, conducendo il processo penale verso una dimensione più umana e rispettosa di quei principi di libertà e democrazia che segnano il limiti di confine tra uno stato democratico e uno stato di polizia o peggio ancora di servizi segreti, ma qualcosa manca.
La abolizione dell’abuso d’ufficio uno dei reati più astratti che siano mai esistiti e che hanno permesso, assieme a quella autentica nefandezza della legge Severino, di decapitare a c…o di cane decine e decine di comuni; il nodo sulla divulgazione delle intercettazioni che hanno messo alla berlina centinaia di persone, violentate nel privato, per conversazioni che non c’entravano un fico secco con le indagini o il processo; le garanzie sulla custodia cautelare (per il volgo carcerazione preventiva) anche se bisognava limare maggiormente i presupposti e l’elenco dei reati per i quali è ammissibile, sono tutti interventi che una spolverata alla macchina del processo penale e una ripulita dalle odiose ragnatele del giustizialismo gliel’hanno data.
Tant’è che il partito dei giustizialisti è insorto come una canea urlante, dal Fatto quotidiano ai 5Stelle, rendendomi, il latrare ringhioso, musica per le orecchie.
Ma (perché in ogni vicenda c’è sempre un “ma”), ma qualcosa manca.
Sarebbe facile additare alla prescrizione partorita dal Ministro da villaggio turistico Fofò Bonafede, una normativa che prima di calpestare il diritto calpesta l’italiano, ma non è quella.
Il nodo centrale della riforma Nordio era la separazione delle carriere. Quel passaggio dirimente che avrebbe tentato, anche se non pienamente, di mettere l’accusa sullo stesso piano della difesa e non su quel trono dorato che occupa adesso.
E già perché finché un Pubblico Ministero continuerà ad essere un magistrato sarà sempre visto, da chi giudica, come un collega con una conclamata differenza di trattamento tra accusa e difesa.
Era quella parte della riforma che, quando annunciata, scatenò la furia delle toghe (quelle giudicanti), uno dei capisaldi delle cose intoccabili cui la magistratura tiene di più e al quale si oppone pronta a immolarsi come Goffredo di Buglione sulle mura di Gerusalemme.
Bene, di tale parte della riforma, annunciata qualche mese fa, non v’è traccia.
Abdicazione? Speriamo di no.
Rinvio? Speriamo sia breve.
Pressioni? Può darsi.
E già perché alla faccia dei tanti sorrisi che si scambiano in parlamento il rigore arcigno del giustizialismo serpeggia tra camera e senato in forma trasversale dalla destra più estrema alla sinistra sedicente democratica che è quella del PD che, da quando si è innamorato dei 5Stelle e ha eletto una segretaria che passava di lì per caso, ha acuito i suoi sentimenti forcaioli abbandonando definitivamente i valori del riformismo.
Abbiamo già scritto di Nordio, varie volte.
Pensavamo fosse amore, non vorremmo sia un calesse.