Non c’è pace per lo sport più amato al mondo.
Mentre ieri a Bruxelles si è sparso terrore e tragedia e la gara tra Belgio e Svezia, valida per le qualificazioni a Euro 2024, è stata sospesa al termine del primo tempo per la uccisione di due tifosi svedesi da parte di un uomo tunisino che armato di kalashnikov si è recato in centro e ha aperto il fuoco al grido di “Allah Akbar”, in Italia la vicenda “scommesse clandestine” va avanti senza tregua.
E così il clamore per le imponenti misure di sicurezza scattate in Belgio, che hanno bloccato nello stadio pubblico e giocatori per il timore che potessero diventare vittime degli attentatori, fa il paio con quello che è esploso nel calcio nostrano e che ne tramuterà radicalmente gli equilibri e la scala di valori dell’intero campionato.
“Sono Abdeslam Jilani, mi sono vendicato per i musulmani. Sono pronto a incontrare Dio felice e sereno”, ha detto l’uomo, che secondo fonti ufficiali era già noto da tempo ai servizi segreti per la sua tendenze radicalizzanti degli ultimi anni, ma che non avrebbe nulla a che fare con quello che sta succedendo tra Palestina e Israele.
“I nomi credo siano di più di 50”, ha detto Fabrizio Corona proprietario del sito Dillingernews dal quale sono partite le prime sorprendenti rivelazioni che hanno scoperchiato il pentolone. Prima uno, poi tre, ora quattro, ma non si ferma qui.
Di natura diversa e in contesti diversi, specie per il fatto che in Belgio ci sono state vite umane mietute, ma queste frasi hanno entrambe effetti devastanti.
Perché il calcio, lo sport più amato nel mondo intero, rischia di piegarsi di fronte a vicende esterne che con quella palla che rotola in porta, destando la gioia di migliaia di tifosi, non hanno nulla a che fare.
Non ci ha nulla a che fare il terrorismo anche se, come pare questa volta, è isolato come quello di ieri (ma potrebbe essere sotto attacco anche di iniziative più organizzate e devastanti), non ci hanno nulla a che fare le scommesse nelle quali si sarebbero tuffati decine di giocatori del nostro campionato.
E se c’è il timore che non possano esistere mezzi di sicurezza talmente adeguati da fermare gli intenti devastanti di criminali esaltati dal fanatismo e proteggere gli spettatori che riempiono uno stadio, c’è parimenti il timore che le parole di Corona siano vere, “un 40% dei calciatori scommette. E’ come la cocaina, si è sparsa a macchia d’olio la ludopatia”.
Se così fosse sarebbe una catastrofe perché le sanzioni previste dalla giustizia sportiva, nelle più rosee delle ipotesi, parlano di squalifiche superiori ai dodici mesi.
E se il timore per i pericoli derivanti dal terrorismo potrebbe imporre misure di sicurezza straordinari, controlli, disagi per gli spettatori, ma non fermerà per ora lo spettacolo, le vicende nostrane rischiano di devastare l’intero sistema perché, se già fossero vere le cifre di Corona che parlano di 50 giocatori coinvolti, ne sarebbero falcidiate le rose e le scale dei valori delle squadre impegnate nel torneo di serie A sarebbero stravolte.
Figuriamoci se venisse davvero coinvolto il 40% dell’intero parco giocatori della massima serie.
Per i fatti di Bruxelles c’è orrore, per quelli italiani c’è rabbia.
Rabbia e delusione perché non è tollerabile che persone che hanno tutto, soldi e soddisfazioni, lusso e fama, siano così deboli da cercare adrenalina nello squallore del gioco d’azzardo.
E se hanno il vizio o peggio ancora la malattia a maggior ragione non meritano pietà e comprensione perché per sfogare le loro deviazioni non c’era bisogno di farlo con mezzi e organizzazioni criminali e su eventi sportivi illeciti.
Bastava scommettere sul basket (o su qualunque altra cosa tranne il calcio) e presso ricevitorie autorizzate e non sarebbe successo nulla né alla loro carriera né al sistema dello sport più amato nel mondo.
Il calcio non è solo i giocatori e dei giocatori, è una industria, un mondo che fa vivere migliaia di persone e non solo i dipendenti di federazioni, leghe e società, ma anche tutto l’indotto di piccole, minuscole imprese che, dai panini ai pullman, dalle magliette ai gadget, ogni domenica trovano guadagni per sopravvivere.
Sono milanista e quando Tonali è stato venduto ho provato sgomento e poi sofferto perché era forte, ma anche perché lo vedevo come il simbolo del giocatore più milanista tra i giocatori del Milan. Era attaccato alla maglia, agli inizi, per restare al Milan, si era pure ridotto lo stipendio e quando venne a San Siro, con la maglia del Newcastle, venne giù lo stadio per gratitudine e nostalgia.
Ora quella faccia da ragazzo per bene tanto amata dai tifosi non c’è più e per un lungo periodo non ci sarà più neanche il giocatore.
Ne valeva la pena? No Sandro, no Nicolò, no neanche a tutti voi che avete combinato questo casino
Non valeva la pena distruggere la vostra immagine e la vostra carriera.
Non valeva la pena rischiare di distruggere le illusioni di quelle migliaia di bambini che, nei vicoli dei paesini o negli spazi della savana, a volte a piedi nudi, spesso poveri e nell’indigenza, corrono dietro a palloni fatti di stracci avvolti con il nastro adesivo sognando di diventare, un giorno, uno di voi.
Non meritate perdono.
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Massimo Carugno
Vice Direttore. Nato nel 1956, studi classici e poi laurea in giurisprudenza, oggi è avvocato nella sua città, patria di Ovidio e Capograssi: Sulmona. Da bambino, al seguito del padre ingegnere, ha vissuto, dall’età di 6 sino ai 12 anni, in Africa, tra Senegal, Congo, Ruanda, Burundi, rimanendo anche coinvolto nelle drammatiche vicende della rivolta del Kivu del 1967. Da pochissimi anni ha iniziato a cimentarsi nell’arte della letteratura ed ha già pubblicato due romanzi: “La Foglia d’autunno” e “L’ombra dell’ultimo manto”. È anche opinionista del Riformista, di Mondoperaio e del Nuovo giornale nazionale. Impegnato in politica è attualmente membro del movimento Socialista Liberale.
1 commento
Prendendo spunto da questo articolo ci sarebbe da scrivere un trattato che vada dalla sociologia alla psicanalisi, dall’economia alla politica e perfino alla religione e alla filosofia, tanto è succulenta la portata che hai servito. Ma ci vorrebbe la penna di un Michel Onfray.