Chissà quanti di voi si saranno esaltati, seduti su quelle rigide poltrone in legno dei cinema degli anni ’60 e avvolti da nuvole di pop-corn, quando a rompere l’assedio degli indiani alla povera carovana, asserragliata con i carri a cerchio, arrivavano i prodi del 7’ Cavalleggeri.
“Arrivano i nostri”, gridavano tra i carri e quella travolgente marcia, che poi non era altro che l’ouverture rossiniana del Guglielmo Tell, ci accompagnava alla vittoria.
E sì, “ci accompagnava”. Perché ci sentivamo parte del film, eroici come il generale Custer che imitavamo tra le fronde dei parchi pubblici come fossero lo scenario più classico dei film western di John Ford, impegnati nella lotta contro il male, come una letteratura quasi agiografica ha da sempre cercato di narrare agli adolescenti.
Che in effetti non fosse così, e che gli indiani non erano poi così cattivi e quelli del 7’ Cavalleggeri non erano poi così buoni, lo abbiamo scoperto dopo. Ma all’epoca era quello che credevamo e la nostra ingenuità ci poneva nel giusto.
Eravamo tutti “Nordisti” e, quando giocavamo, lo sfigato di turno faceva sempre l’indiano che inesorabilmente moriva all’ora di cena quando bisognava scappare a casa per entrare nel tinello prima che suonasse la sigla di apertura del telegiornale altrimenti altro che Toro Seduto.
Voi direte che c’entra.
C’entra, c’entra.
Perché anche oggi ormai, nell’immaginario collettivo della parte garantista e riformista del nostro paese, i buoni sono i “Nordisti” e i cattivi sono gli altri.
E dai, ma come si fa a non essere “Nordisti” e cioè a non stare dalla parte di Nordio. A parte il fatto che oggi lo si vede solo, assediato da una canea urlante, e un socialista vero, nell’uno contro tutti, sta sempre dalla parte “dell’uno” e mai dalla parte dei “tutti”.
Ma non è solo questo. Siamo lontani dalle posizioni della Meloni e della attuale maggioranza e ben sappiamo che Nordio siede nello scranno di un governo di destra. Ma la questione è che finalmente il nuovo ministro dice sulla giustizia cose che non si dicevano da una vita mentre al contrario, quasi ovunque, è un ringhiare di branchi di giustizialisti che si sparpagliano tra il linguaggio sofisticato di alcuni oscuri personaggi del mondo della informazione, tra le masturbazioni mentali di più di una fetta della politica e tra gli spasmi viscerali di una opinione pubblica miseramente abbrutita.
E già, perché la “gente”, quella che Leonardo Sciascia pone nel limbo dell’anonimato e alla quale la governante Caramella (Tina Pica) ricorre per ammonire il maresciallo Carotenuto (Vittorio De Sica) circa la inopportunità del suo corteggiamento alla licenziosa Bersagliera (Gina Lollobrigida), pesa e fa opinione; anzi, è la opinione.
Bombardata da un lato dai toni terroristici di Salvini, che non avendo altri argomenti ha puntato la sua strategia elettorale sulla sicurezza e sulla paura dei cittadini, e dall’altro dai grillini, che non avendo anch’essi null’altro da dire e da pensare hanno, con il tema dell’honestà, solleticato la pancia degli italiani nella guerra contro la casta, quella famosa “gente” si è rivelata talmente forcaiola che gli ebrei, radunati nel Sinedrio per scegliere Barabba, a confronto sembravano una III C in gita scolastica.
Il tema è proprio questo, l’abbrutimento di ampie fette di società che stanno regredendo rispetto a tante conquiste sociali e culturali fatte negli anni Ottanta del XX secolo.
E allora in un mondo in cui le persone, solo perché indagate, sono messe al patibolo prima ancora che si svolga un processo, come non si fa a non condividere un vasto programma di revisione del sistema giudiziario volto al recupero della purezza del concetto di presunzione di innocenza?
Un programma di ampio respiro che non guarda solo alle intercettazioni usate, abusate e raramente indovinate, che da strumento per acquisire una prova diventano spesso loro stesse prova e fonte di calunnia e diffamazione per la loro facile divulgazione; che non si propone solo la revisione della custodia cautelare (carcerazione preventiva) trasformata da strumento per garantire la sicurezza pubblica (o la corretta prosecuzione delle indagini) a mezzo per estorcere confessioni.
No, non è solo questo. L’ex PM punta in alto, e con ragione.
Ha tolto il velo inaugurale al progetto della separazione delle carriere ben conscio che finché un Pubblico Ministero continuerà ad essere un magistrato sarà sempre visto, da chi giudica, come un collega con una conclamata differenza di trattamento tra accusa e difesa.
La sfida è aperta perché la unicità delle carriere è uno dei capisaldi delle cose intoccabili cui la magistratura tiene di più e al quale si oppone pronta a immolarsi come Goffredo di Buglione sulle mura di Gerusalemme.
È soprattutto per questi motivi che quella di Nordio è una boccata d’aria fresca nel nome del garantismo e del riformismo di cui la cultura libertaria e riformatrice, dai socialisti ai radicali, è sempre stata paladina.
E fa piacere che questo messaggio venga da un uomo che fa il ministro e che proviene dai banchi della destra nella speranza che ex missini e leghisti si battano il petto nel ricordo delle manette e dei cappi che sventolarono a Montecitorio nel 1994, invece di sfilare ipocritamente, come è successo pochi giorni fa, davanti la lapide di Hammamet, inopportunamente invitati da chi scioccamente pensa che “il nemico del mio nemico è mio amico”.
E farebbe parimenti piacere se, volgendo lo sguardo allo spicchio opposto delle aule parlamentari, ci fosse un consenso alle idee di Nordio.
Ma ahimè anche da chi oggi si affanna a indossare cappotti laburisti, riformisti, chiamati persino socialdemocratici, si stenta a guardare con favore al garantismo “Nordista”.
Forse assuefatti al giustizialismo di Conte, forse ancora intossicati dai vecchi rigori del centralismo democratico, gli epigoni del bolscevismo all’italiana, Bonaccini in testa, non solo voltano il capo altrove come quando, pochissimo tempo fa, votarono contro i referendum sulla giustizia o come quando, con approccio parimenti inquisitorio, si schierarono per la riduzione dei parlamentari, ma addirittura contestano con aggressiva ferocia seguendo la scia dei vicini di banco guidati dall’Avvocato di Bari, che si definì degli italiani.
Perché in fondo il giustizialismo è un atteggiamento mentale, liberticida dei diritti o della democrazia.
La presunzione di innocenza “Nordista” è una questione di civiltà e non solo giuridica o sociale.
Si tratta di una cultura etica che noi coltiviamo sin da quando, figlio di Proudhon e di Saint-Simon, nacque quel grande movimento culturale che prese il nome di socialismo.
Si chiama garantismo.
Non basterebbe una vita per raccontare i fiumi di scienza e cultura giuridica che danno un fondamento al principio di non colpevolezza (o presunzione di innocenza) nei quali si sono bagnati tutti i più grandi pensatori della storia moderna che si sono cimentati nelle ragioni dell’etica, della morale e del diritto.
Potremmo spingerci addirittura a Platone e a quanto narrato, nella sua “Apologia a Socrate”, delle tre difese che il filosofo ateniese fece a sé stesso in altrettanti processi a lui mossi (abbastanza campati in aria) e che si conclusero con la sua condanna a morte.
Era il 399 a.C. ma già da allora Socrate teorizzava che una persona è da considerare innocente sino alla condanna definitiva, che le prove devono essere addotte da chi accusa e non da chi si difende e che, in mancanza di prove, una persona non può essere condannata e deve essere considerata innocente.
Quanta fatica e quanto sudore ci costarono, studenti in giurisprudenza fustigati dal severo professor Francesco Mercadante, quegli studi matti e disperatissimi nella filosofia del diritto, tutti protesi, a partire da Socrate, passando per Hobbes, Locke, Poitier, Rousseau, per finire al mio concittadino Capograssi, a cercare di capire che uno Stato nell’adottare tali principi sceglie, con scienza e coscienza, di preferire il rischio che un colpevole vada in giro piuttosto che un innocente sieda, anche per un solo giorno, in carcere.
E mai quei pensatori avrebbero potuto immaginare che, diversi secoli dopo, un certo Marco Travaglio (uno che, se non avesse avuto l’astuzia di brandire la sete di sangue che alberga, ahimé, tra la gente, dai tempi di Barabba ad oggi, sarebbe un ordinario quisque de populo,) un anno e mezzo fa con la frase: “Non c’è nulla di scandaloso se un presunto innocente finisce in carcere”, ha di fatto stracciato e buttato nel cestino secoli di sapere e, per quanto ci riguarda, anni di esperienza nelle aule dei tribunali.
Una frase che fa il paio con chi pensa che la giustizia sia un rituale sommario e non la strenua ricerca della verità perché l’importante è avere “un colpevole da linciare” e non “il colpevole da condannare”.
A ben pensare roba antica: in fondo fu la storia di Gesù.
Ma anche quella di Toro Seduto con buona pace di Custer e di noi ragazzini che giocavamo a fare il 7’ Cavalleggeri.
A proposito, il film con De Sica e la Lollobrigida era “Pane Amore e Fantasia”.
3 commenti
Caro Scorpione hai scoperto finalmente la tua dote naturale. Ne stai facendo buon uso per salvaguardare i sacrosanti principi della Democrazia. Abbi sempre fede nelle tue possibilita’ e cerca di essere anche un buon Maestro per i giovani volenterosi anche del nostro territorio. Auguroni Massimo.
Bravo! D accordissimo! Una nordista
Mi piace. Non sono un letterato ma da vecchio socialista ho sempre condiviso questi valori che sono stati persi nel nome del giustizialismo soprattutto nei nostri confronti.
Peraltro sono anch’io classe 1956, “bravi ragazzi siamo noi ad urlli del 56”.