Di Alessandro Perelli
Dell’Honduras, stato dell’America centrale, a nord e ad est bagnato dal mare dei Caraibi, confinante con Nicaragua, San Salvador e Guatemala, non si parla molto a livello internazionale. Con 9.600.000 abitanti rappresenta il secondo Paese più povero dell’America Latina, è indipendente dalla Spagna dal 1821 e dal 1982 è diventato una Repubblica presidenziale, guidata da una donna che ha una chiara idea politica per l’Honduras.
Dal punto di vista politico, nel gennaio del 2022 ha subito una vera e propria svolta con l’elezione a Presidente di Xiomara Castro, che ha raccolto i voti dal malcontento popolare nei confronti dei precedenti Governi che avevano ignorato le necessità dei meno abbienti (più del 59% della popolazione vive in condizioni di estrema povertà). Una donna coraggiosa e di sinistra, che ha come programma la lotta alla corruzione e alla criminalità, e una serie di riforme per migliorare la qualità della vita e venire in aiuto ai ceti più bisognosi, oltre alla liberalizzazione della legge sull’aborto.
Fin qui nulla di strano rispetto a quello che sta accadendo in vari Paesi dell’ America Latina che hanno voltato le spalle alla destra conservatrice e liberista. Gli Stati Uniti stanno a guardare senza interferenze esterne. Negli ultimi mesi si sono verificati due fatti importanti dalle conseguenze imprevedibili sul piano internazionale. Nell’ottobre dell’anno scorso la Presidente Xiomara Castro ha incontrato nel palazzo Apostolico vaticano Papa Francesco. Qualcosa di più di una visita di cortesia al Capo della Chiesa cattolica ben presente in Honduras.
Oltre al compiacimento per le buone relazioni bilaterali, è stato raggiunto un accordo quadro tra la Santa Sede e lo Stato honduregno. La Castro ha riconosciuto il prezioso contributo che la Chiesa offre al Paese in campo educativo e sanitario. La convergenza si è fatta ancora più ampia sul tema della lotta alla povertà con un apprezzamento reciproco sugli sforzi comuni fatti a questo proposito. Una sorta di riconoscimento da parte vaticana del ruolo ricoperto da Xiomara Castro che avrà sicuramente ripercussioni in Honduras.
Ancora più interessante e, per certi versi allarmante, è quanto accaduto pochi giorni fa, quando nonostante il pressing contrario americano, il Governo di Tegucigalpa ha annunciato che intende avviare relazioni con la Repubblica popolare cinese. Ciò implica la rottura dei rapporti con Taipei e quindi, implicitamente, il suo mancato riconoscimento, precedentemente accordato.
In un tweet Xiomara Castro ha incaricato il Ministro degli Esteri dell’Honduras di gestire l’apertura di relazioni ufficiali con la dittatura comunista. La mossa della Castro era già stata annunciata in campagna elettorale ed ha suscitato i commenti entusiastici di Xi Jimoing, che subito si e dichiarato disponibile all’apertura di rapporti economici. Un vero e proprio smacco invece per Joe Biden, che deve registrare un ulteriore insuccesso diplomatico all’interno dell’ America Latina, un territorio sempre più nel mirino dell’espansionismo di Pechino.
Un ulteriore segno di cedimento di Washington anche sul piano commerciale, in un Paese come l’Honduras, che era da questo punto di vista, solidamente sotto la sua influenza. Del resto Pechino prima di approdare a Tegucigalpa, aveva intensificato la sua presenza in Bolivia ,dove è molto attiva per le estrazioni di litio, elemento ormai fondamentale per le tecnologie all’avanguardia. Xi Jimoing sembra quasi voler restituire con gli interessi, gli intrecci della politica e del mondo economico americano con Giappone e Corea del sud, territori a lei geograficamente vicini.
Xiomara Castro è la protagonista di questo cambiamento che non può non mettere in guardia gli Stati Uniti, che devono riflettere su alcuni errori commessi in passato nel continente Americo latino come l’aiuto sostanziale offerto a Pinochet in Cile, per la defenestrazione e l’eliminazione di Salvador Allende. Il fatto che l’ Honduras si associ a quei Paesi che riconoscono una sola Cina nel mondo, e che il regime di Xi Jimoing rappresenti la Cina nel suo insieme, proprio in un momento in cui gli Usa sono impegnati a sostenere l’esistenza e l’autonomia di Taiwan, è un chiaro segnale non solo per Joe Biden ma per tutto l’ Occidente.