Dovete sapere che a Parigi esiste la rive gauche. In effetti c’è anche la rive droite, ma la prima è più famosa.
Si tratta della parte di Parigi situata sulla riva sinistra della Senna.
Al di là della sua natura prettamente geografica, il termine rive gauche è divenuto nel tempo sinonimo del quartiere intellettuale, artistico e bohémien, in quanto la riva sinistra della Senna è sempre stata, storicamente, al centro della vita letteraria, universitaria ed artistica di Parigi per la presenza dell’università della Sorbona, del quartiere latino e di Montparnasse.
A Roma invece la distinzione tra le due rive del Tevere è solo politica.
E a proposito di rive droite stanno accadendo alcuni fatti significativi.
Solo gli illusi potevano pensare che dalle parti della destra del Tevere ci fosse quella granitica compattezza tale da farne una corazzata invincibile pronta ad affrontare qualunque tempesta politica ed elettorale.
Non che dall’altro lato sia diverso, ma la verità è che la destra italiana non è mai stata compatta e non solo per le differenze ideologiche. Non è una questione di dialettica aspra tra il liberismo di Forza Italia, il populismo della Lega e il nazional-patriottismo sovranista di Fratelli d’Italia. Le divaricazioni sono ben altre e ben più profonde.
Basta vedere quel che è successo ieri.
Salvini, “il capitano”, ormai più simile ad un “capitone” per i violenti colpi di coda con i quali annaspa nella speranza di sopravvivere, ieri ha fatto un salto sulla rive droite di Parigi per incontrare Marine Le Pen.
Oggetto dell’incontro è stato un patto da stringere per le prossime elezioni europee.
La cosa ha fatto incazzare Tajani ed è stata accolta con gelo dai Meloniani.
Il perché è chiaro. Salvini cerca gloria, cerca un posto al sole e siccome non ragiona ma si muove d’istinto ha pensato di scavalcare a destra il partito della Premier.
Come mi è capitato di scrivere in altre sedi la “ragion pura”, di kantiana memoria, di tale strategia sono i sondaggi che danno in crescita Fratelli d’Italia rispetto ai suoi alleati, e quindi anche la Lega, che la vedono sempre più forte e irraggiungibile.
Insomma in questo quasi primo anno di governo vien fuori che l’unica vera premiata dal consenso sarà Giorgia, a discapito degli alleati.
E allora il “capitone” scoda e annaspa.
Ha bisogno di ossigeno e voti e, soprattutto, non si capacita di essere passato dal 40% di cinque anni fa alle briciole di oggi.
Ammolla scossoni. “Ci sono anche io”, grida strepitando e dopo aver fatto il valletto di Putin ora fa il provolone con Marine.
Al di la del folklore e della presa in giro la questione è seria perché saranno vani gli sforzi per presentarsi uniti alle elezioni europee se poi Forza Italia guarda ai Popolari Europei, che a loro volta sono alle pubblicazioni delle nozze con i Socialisti, e la Meloni guarda al gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei.
Le mura del castello di destra da tempo ormai mostrano crepe e fenditure e sarà da vedere cosa succederà alle elezioni europee.
Oltre al risibile “tutti insieme ma in ordine sparso”, però tre considerazioni finali.
La Meloni da quando presiede il governo si sforza, facendo anche un duro lavoro su sé stessa, di apparire sempre più moderata cercando di mettere nel baule i toni, le parole, i gesti, le idee il modo di fare e pensare per cancellare l’etichetta da estremista barricadera e fascistella di maniera che ha avuto sino al giorno prima delle elezioni, ma destando non poche perplessità sulla autenticità del suo camaleontismo dell’ultima ora.
Il nome “Conservatori e Riformisti” è uno sgorbio aberrante, un ossimoro clamoroso, pensato da chi non solo non conosce l’italiano, ma è totalmente ignorante di storia, filosofia e dottrine politiche.
Qualcuno che usa i termini a casaccio e che probabilmente, con la stessa confusione, tiene a casa la maionese in bagno, vicino lo spazzolino, e il dentifricio in frigo solo perché sono entrambi confezionati a tubetti.
Qualcuno che si è appropriato del termine “riformismo” solo per mettere un cappotto alla moda incurante che la taglia è sbagliata perché è un cappotto da donna.
Il “riformismo” è l’opposto speculare del “conservatorismo”. È nato alla fine dell’Ottocento per significare quei socialisti che auspicavano una svolta progressista, ripeto progressista, della società attraverso una stagione di riforme e non di passaggi rivoluzionari. Chi l’ha pensata sta cosa ha realizzato una associazione di termini da inorridire.
Se a destra, infine, ci son crepe a sinistra si affonda. Il Molise ha dimostrato tutta la fragilità della armata di Conte e Schlein e nelle prossime Regionali dell’Abruzzo sarà peggio.
Un passo avanti per distruggere il bipolarismo, la vera sciagura del paese, il tappo che, trasformando la politica italiana in una accozzaglia di odio, invettive, colpi bassi, tradimenti, accuse personali e buttando nel cestino idee, programmi, prospettive, ha chiuso in un barattolo lo sviluppo e il progresso del paese.
E come disse Totò, “ho detto tutto”
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Massimo Carugno
Vice Direttore. Nato nel 1956, studi classici e poi laurea in giurisprudenza, oggi è avvocato nella sua città, patria di Ovidio e Capograssi: Sulmona. Da bambino, al seguito del padre ingegnere, ha vissuto, dall’età di 6 sino ai 12 anni, in Africa, tra Senegal, Congo, Ruanda, Burundi, rimanendo anche coinvolto nelle drammatiche vicende della rivolta del Kivu del 1967. Da pochissimi anni ha iniziato a cimentarsi nell’arte della letteratura ed ha già pubblicato due romanzi: “La Foglia d’autunno” e “L’ombra dell’ultimo manto”. È anche opinionista del Riformista, di Mondoperaio e del Nuovo giornale nazionale. Impegnato in politica è attualmente membro del movimento Socialista Liberale.