“Houston abbiamo un problema” disse con voce ieratica, e non si rivolgeva alla divina Whitney, ma al centro di controllo della Nasa che stava seguendo il loro volo verso un innocuo allunaggio sul satellite preferito dagli astromanti.
Era il 13 aprile del 1970 e l’Apollo 13 (ma guarda un po’), faceva la coda alle imprese dell’Apollo 11 (e poi dell’Apollo 12) che il 20 luglio del 1969 aveva violato la Luna.
A pronunciarla fu John Leonard “Jack” Swigert Jr, pilota del modulo di comando che annunciava un guasto ai sistemi di gestione dell’ossigeno liquido non rilevati dai computer.
Indubbiamente i computer di allora erano una sorta di caffettiera a carbone rispetto a quello che oggi riesce fare un banale smartphone ma la vicenda, all’epoca, fece enorme scalpore e quella che sembrava la più routinaria delle missioni spaziali divenne il “fallimento di maggior successo” della storia della Nasa, per il pericolo corso dagli astronauti che furono salutati come trionfatori all’ammaraggio nelle acque del Pacifico.
Sebbene oggi sulla luna non ci si va più, e non ci si affaccia neanche un paio di metri al di fuori dell’atmosfera, oggi siamo divenuti egualmente il pianeta dei computer e, in un futuro più o meno molto poco lontano, rischieremo probabilmente di esser soppraffatti da schermi e tastiere, come adombra Dan Brown nel suo romanzo “Origin”.
Provate a pensare a un blocco planetario dell’energia elettrica e provate a pensare al miliardo di cose che non riuscireste più a fare senza l’aiuto delle intelligenze artificiali.
A cominciare dal prelevare i soldi al bancomat o passare i prodotti alla cassa dei supermercati per fare la spesa e già scivoliamo nel drammatico fermandoci alle cose più banali dell’esistenza, se poi pensiamo alle partite su Dazn, i programmi fitness o al registro elettronico in vigore nelle scuole so’ cavoli amari.
Ieri abbiamo avuto un problema e non c’erano delle Whitney Houston da chiamare. Abbiamo rischiato grosso.
Un manipolo, non si sa quanto grande, di hacker ha penetrato i sistemi informatici di non so quante migliaia di servizi e aziende pubbliche e private dell’intero globo.
In Italia ce ne siamo accorti perché si è rischiato seriamente di non vedere il derby (non ne valeva la pena. Ndr), e l’abbiamo buttata a caciara ma nel resto del mondo l’hanno presa sul serio.
Sugli schermi spuntava una scritta, “Se si desidera recuperare i file e evitarne la perdita, inviate 2.0 Bitcoin. Invia denaro entro 3 giorni, altrimenti divulgheremo alcuni dati e aumenteremo il prezzo“, e giù con il blocco del p.c., diventato uno scatolone inservibile che quelle di tonno, portate in parlamento dai 5Stelle, erano più dignitose.
Pensare che la madre delle estorsioni fu il ratto delle Sabine vien da ridere, ma non è il caso.
Il tema è un altro e che siamo tutti figli della cybernetica è assodato ed è inutile spiegarne le ragioni.
Pensare che siamo arrivati al punto che anche lavastoviglie, forno, frullatore e sextoys sono legati dalle coordinate di “Alexia” o “Ehi google” ci dà la consapevolezza di quanto questa dipendenza sia piena e assorbente.
Quello che invece ci vede inconsapevoli e la enorme fragilità dei sistemi informatici.
Sono anni, ormai, che chi è appassionato del settore sa che la sicurezza cybernetica ha confini fragili o meglio non li ha. Non si fa a tempo a inaugurare nuovi sistemi di protezione che gli Anonymus li violano entrando ovunque, spesso senza fare danni, ma lasciando le tracce delle loro scorribande per togliersi lo sfizio di dirci: ”sono entrano in casa tua, sappilo.”
Negli ultimi anni sono stati violati sistemi informatici che sembravano impenetrabili, quello della Nasa, quello della Cia e puranco quello del Vaticano che, con tutti i segreti che racchiude, è sempre stato considerato il più sicuro del mondo. E i russi, con gli attacchi informatici, ci condizionano le campagna elettorali.
Essere figli della silicon valley è ormai un processo sociale inarrestabile dal quale non si può più tornare indietro.
Senza whatsapp o telegram non potremmo più vivere specie perché non sapremmo più come fare per incontrare l’amante.
Ma dobbiamo essere consapevoli che siamo meno sicuri oggi di quanto lo fossimo ai tempi di Ottaviano Augusto, di Carlo Magno, delle Crociate o di Cesare Borgia e che un blocco dei sistemi informatici dell’intero pianeta sarebbe davvero la fine del mondo.
Quando Giovanni scrisse l’Apocalisse non so cosa immaginò, ma sicuramente non avrà mai pensato che si sarebbe potuto racchiudere nei pochi centimetri quadrati di una scheda integrata.
Il covid ci ha dimostrato che i confini sono un tratto di matita su una carta geografica.
Un banale raffreddore si è trasformato in una minaccia talmente potente che ci ha, di colpo, ricordato che, di fronte a certe sciagure, sulla terra siamo un unico popolo senza distinzioni di razze, religioni o colori della pelle.
Un cataclisma informatico sarebbe peggio, molto peggio: sarebbe l’Armageddon del pianeta.
1 commento
Ti vorrei rassicurare sul fatto che l’allarmismo legato a questo episodio è solo parzialmente fondato. Ha fatto bene chi si è messo subito in allerta per tamponare un attacco serio, ma legato ad una specifica piattaforma dedicata alla simulazione di ambienti hardware per l’uso di sistemi operativi su architetture diverse. Tipo di far girare Windows su Linux o viceversa. Nella realtà non esiste la possibilità di aggirare i sistemi di sicurezza più attuali, se non attraverso la sottrazione di informazioni per le quali in genere è sempre il fattore umano a metterle allo scoperto. In questo caso una falla nel software in questione, resa nota da tempo dal produttore e riparata da una patch dedicata, è diventata la porta di accesso a causa della mancata adozione da parte degli utilizzatori. È quindi un problema di mentalità e non di possibili scenari apocalittici. I disastri più gravi derivano quasi sempre dalla sottovalutazione dei rischi. Se la casa automobilistica ti dice che la tua macchina ha un problema ai freni e tu non la porti a sistemare, se poi sbatti e ti fai male la colpa di chi è? Potrei portare esempi grandi e piccoli, dal Vajont ai disastri dei terremoti che in Turchia fanno stragi e in Nuova Zelanda o in Giappone nemmeno un ferito. La prevenzione vale in tutti i campi, smartphone inclusi.