Uno schianto nel cielo e Prigozhin non c’è più.
Un missile ha abbattuto il suo jet privato che avvolto dalle fiamme è precipitato al suolo. Tra gli 8 corpi identificati quello del comandante della Wagner.
Non in Mali, non in Nigeria, non nel quadrante orientale dell’Ucraina, ma tra Mosca e San Pietroburgo, a pochissimi chilometri dalla Finlandia e a migliaia di chilometri dalle zone dove l’armata mercenaria del “cuoco di Putin” era solita fare lo sporco lavoro sporco per lo Zar di tutte le Russie.
In un’area dove non c’erano tensioni o situazioni di allerta e da dove un missile della contraerea non poteva essere lanciato per sbaglio.
Una operazione chirurgica talmente precisa che un secondo aereo sempre della Wagner, della stessa marca e modello Embraer Legacy 600, che viaggiava in parallelo sulla stessa rotta, è stato risparmiato ed è atterrato senza conseguenze.
Lo hanno cercato, lo hanno trovato e lo hanno colpito. Volevano lui e lo hanno ucciso.
Dieci i morti, sette passaggeri e tre dell’equipaggio, ma la identificazione di Prigozhin è arrivata a tempo di record ed è stato dichiarato ufficialmente morto.
Non volevano dubbi e incertezze sulla sua esecuzione, senza incognite, senza misteri.
“La slealtà è uguale alla morte”, aveva dichiarato Putin qualche settimana fa e l’affronto di due mesi prima, quando la Wagner marciò su Mosca e si fermò un pelino prima di invadere la capitale, è stato punito e ha reso le parole di Vladimir una sinistra profezia, una gelida dichiarazione di morte.
La condanna è stata eseguita.
Qualcuno, in nome e per conto della Wagner, tuona: ”Prigozhin è morto, ora conseguenze disastrose.” E dal canale Telegram dei mercenari partono epitaffi celebrativi: “Il capo del gruppo Wagner, eroe della Russia e vero patriota, Yevgeny Viktorovich Prigozhin, è morto a causa delle azioni dei traditori della Russia. Ma anche all’Inferno sarà il migliore! Gloria alla Russia!”.
Non sappiamo se quelli della Wagner saranno capaci, senza il loro capo, di reali e concrete azioni ritorsive e quanto esse potranno essere devastanti.
Prigozhin non era un’eroe e le imprese della sua brigata sono tristemente note per ferocia e crudeltà ma non si può ignorare che in qualche parte del mondo, qualcuna molto vicina a noi, pericolosamente vicina a noi, ormai le rese dei conti si regolano come nel Far West, eliminando l’avversario, con guerre tra bande, agguati, tradimenti, assassini.
Con metodi ben lontani dalle regole di convivenza civile e democratica cui il progresso della umanità ci dovrebbe aver portato. Regole di cui è ancor più lecito attendersi il rispetto da parte di un capo di stato. Il pericolo è il rischio dell’emulazione e che altrove si ripetano condotte ed eventi simili.
Ma ancor più grosso e temibile è il pericolo che certe vicende di guerra e di morte possano entrare nella coscienza collettiva come fatti normali e abituali, dovuti alle ineluttabili vicende del mondo, in una sorta di pericolosissima assuefazione del genere umano alla violenza.
È per questo che aspetto di leggere i commenti del fronte Putinista italiano.
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Massimo Carugno
Vice Direttore. Nato nel 1956, studi classici e poi laurea in giurisprudenza, oggi è avvocato nella sua città, patria di Ovidio e Capograssi: Sulmona. Da bambino, al seguito del padre ingegnere, ha vissuto, dall’età di 6 sino ai 12 anni, in Africa, tra Senegal, Congo, Ruanda, Burundi, rimanendo anche coinvolto nelle drammatiche vicende della rivolta del Kivu del 1967. Da pochissimi anni ha iniziato a cimentarsi nell’arte della letteratura ed ha già pubblicato due romanzi: “La Foglia d’autunno” e “L’ombra dell’ultimo manto”. È anche opinionista del Riformista, di Mondoperaio e del Nuovo giornale nazionale. Impegnato in politica è attualmente membro del movimento Socialista Liberale.