Il premier eletto dal popolo è la novità mattutina che dà uno scossone a Ucraina e Medio Oriente e le guerre scompaiono dai taccuini per lasciare spazio alla politica.
E, diciamocelo francamente, dire “era ora” non è una manifestazione di cinismo, i morti sono sempre i morti e ogni volta che una persona muore per guerra, fame o epidemia è una sconfitta per l’intera umanità ma, come per i lutti in casa, prima o poi arriva il momento in cui bisogna metter le emozioni da una parte e riprender la vita di tutti i giorni perché il mondo va avanti.
E dalle parti di Palazzo Chigi il mondo che va avanti significa “premierato”.
Nel pieno della bagarre sulla legge di bilancio, fatta di lacrime e sangue e tramvate tra i denti (ma non avevano detto che non ci sarebbero state più), ‘sta storia del “premierato” sa tanto di “dissuasori”, quel nugolo di pulviscolo metallico che sputano i sottomarini per distrarre i siluri avversari, lanciati sui media per distrarre la gente da quel che gli capiterà addosso nei prossimi mesi.
Ma tant’è e l’approvazione della bozza è prevista per venerdì prossimo 3 novembre e quindi ce la teniamo così com’è.
Non se ne conosce molto.
Si parla di elezione diretta del premier con turno unico e premio di maggioranza del 55% per garantire la governabilità. Norma anti ribaltone per impedire la formazione di maggioranze politicamente diverse rispetto a quella che ha appoggiato il premier eletto direttamente dai cittadini. Stop alla possibilità per il Quirinale di nominare senatori a vita.
Nel dettaglio una sintesi di quel che vogliono fare la lasciamo in coda a questo pezzo.
Quel che invece ora ci interessa è altro.
Per esempio mancano totalmente indicazioni sul metodo di elezione del parlamento.
Ma che ce frega, direte voi, l’importante è che sappiamo come si elegge il premier.
Certo, bravi, 10 più, ragionamento da berlusconiani doc, roba da neo cesarismo di maniera.
Invece a noi ci frega, e pure molto, perché si dà il caso che, da che mondo è mondo (e nel mondo della democrazia ‘ste robe risalgono ad Aristotele, qualche centinaio di anni prima del sacro avvento), le leggi le faccia il parlamento e non il premier che le esegue, (anche se con i decreti legge, e con le leggi di conversione blindate con la fiducia, di berlusconiana memoria, questo ruolo è stato invertito) e il carattere democratico di un paese lo dà la struttura pluralistica del suo parlamento.
Premesso che secondo noi la vera democrazia (quella pura, quella che nacque ad Atene e che fu concepita, più di 2000 anni dopo, dai nostri padri costituenti) passa per una rappresentanza della volontà popolare stabilita su criteri totalmente proporzionali, (senza premi di maggioranza e senza sbarramenti. Il quorum per eleggere è già uno sbarramento naturale) se dobbiamo per forza digerire ancora ‘sta robaccia maggioritaria avremmo per lo meno gradito saperne di più.
Perché secondo noi il parlamento è costituito su vere basi democratiche solo quando è pluralista e non inquinato da ‘ste zozzure bipolariste o peggio ancora bipartitiche e quindi una riforma seria non ha per noi senso se non garantisce, nella composizione del parlamento, questi due principi: proporzionalità e pluralismo.
Ma vogliamo andare oltre.
Alla luce di questi sacri principi, ci sono altri due modifiche che ci premono e che, secondo noi, sarebbero la vera riforma del sistema politico:
1) abolizione dei nominati e delle liste bloccate e ritorno alle preferenze;
2) abolizione della legge che ha ridotto il numero dei parlamentari e il ritorno ad un parlamento nella pienezza dei suoi componenti.
Questa sì che sarebbe una riforma davvero democratica.
Sul primo punto, perché il parlamentare il voto se lo deve sudare e meritare sul suo territorio, vivendo, ascoltando e parlando con la sua comunità, recependone i disagi e facendosi carico dei loro problemi e non ‘sta storia di gente nata a Pordenone ed eletta a Caltanissetta (che non la sanno neanche ritrovare sulla cartina), e che fanno la campagna elettorale in salotto con le pantofole ai piedi e i cruciverba in mano.
Sul secondo punto perché la riduzione dei parlamentari è stata la classica robaccia grillina, fumo negli occhi agli italiani, propaganda inutile e dannosa, perché il risparmio ha inciso come un dollaro nelle casse di Paperone e la democrazia sanguina ancora.
Ecco Giorgia fai ‘ste cose e va a finire che un timido applauso te lo potremmo anche fare, perché altro che avvio della Terza Repubblica (come hai pomposamente detto sui media), dovremmo quantomeno riavvicinarci alla Prima.
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Sintesi normativa.
1.- Elezione diretta dei premier. L’articolo 92 della Costituzione viene sostituito dalla seguente nuova formulazione:
“Il governo della Repubblica è composto dal presidente del Consiglio e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al presidente del Consiglio dei ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere. Il presidente del Consiglio dei ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura”.
2.- Meccanismo della fiducia.
Se il governo del premier eletto non ottiene la fiducia del Parlamento dopo il voto, il capo dello Stato deve procedere allo scioglimento delle Camere. Nel testo, il terzo comma dell’articolo 94 della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Entro dieci giorni dalla sua formazione il governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al governo presieduto dal presidente eletto, il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al presidente eletto di formare il governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”.
3.- Norma anti ribaltone.
Per ostacolare successivi ribaltoni, nell’articolo 94 della Costituzione viene invece aggiunto un nuovo comma. Nel caso di premier sfiduciato e dimissionario, il capo dello Stato potrà così assegnare un nuovo incarico solo allo stesso premier eletto alle urne o a un parlamentare della maggioranza che ne attui il programma votato dagli elettori. Il testo aggiunge infatti:
“In caso di cessazione dalla carica del presidente del Consiglio, il presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il governo del presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”.
2 commenti
Noi ci troviamo oggi nella situazione che vede l’elezione diretta dei Sindaci e dei Governatori, mentre questo non avviene per il Capo del Governo, vale a dire la figura posta a guida dell’intero Paese, il che ha per me il sapore di una certa qual contraddizione, così come del resto il fatto che i consiglieri comunali e regionali vengano eletti con le preferenze, differentemente dai parlamentari (nella quota dei collegi plurinominali a liste bloccate).
Per superare tale asimmetria, a meno di tornare al sistema precedente per Sindaci e Governatori, il che mi sembrerebbe in ogni caso piuttosto irrealistico, non mi sembra affatto irragionevole prevedere l’elezione diretta del Primo Ministro, col candidato a tale carica sostenuto da liste o loro coalizioni elette col sistema proporzionale, e con le preferenze, in modo che il Primo Ministro si trovi ad avere l’indispensabile contrappeso parlamentare.
I voti delle liste di coalizione che non raggiungessero la soglia di sbarramento dovrebbero venir suddivisi tra le altre liste della medesima coalizione, il che libererebbe il piccoli partiti dalla “spada di Damocle” del voto utile, in maniera di mettere insieme rappresentanza e governabilità, e attribuirei al Primo Ministro il potere di sciogliere le Camere, che mi pare essere l’argine più naturale ed efficace contro gli eventuali “cambi di casacca” in corso di legislatura.
Paolo Bolognesi 02.11.2023
Il richiamo alla Prima Repubblica, che conclude questo articolo, a me sembra ragionevole, perché torna sempre utile, e talora anche parecchio utile, avere esempi o riferimenti coi quali potersi confrontare, e la prima considerazione che traggo da tale raffronto è il costatare che, salvo miei improbabili errori di memoria, in quell’arco non breve di tempo, dal secondo dopoguerra fino a Tangentopoli, non si contano Governi Tecnici, com’è poi avvenuto nel prosieguo, e non una sola volta, il che potrebbe significare che il meccanismo si è inceppato o quasi, e si rende pertanto necessaria una qualche “revisione” (come pare stia adesso succedendo con la proposta del Premierato).
Il mio ragionamento parte dall’idea che la guida del Governo dovrebbe sempre essere di natura politica, quale espressione del voto popolare – ancorché al suo interno possa poi prevedersi la presenza di figure tecniche – il che mi pare essere l’obiettivo del Premierato, ossia il Primo Ministro investito di mandato popolare, e se il candidato a tale carica viene sostenuto da liste o loro coalizioni votate con sistema proporzionale, ci sarebbe a mio vedere spazio e valorizzazione anche per i partiti “minori”, perché la loro percentuale può risultare “appetibile” prima delle urne (mentre potrebbe rivelarsi semmai ininfluente quando gli Esecutivi si formano a posteriori, cioè a voto avvenuto).
Non mi convince invece il premio di maggioranza, e vedrei preferibile il cosiddetto “listino”, sulla falsariga di quello vigente nei sistemi elettorali di alcune Regioni, ovvero un gruppo di candidati che l’aspirante alla Presidenza si porta con sé, una volta che risultasse eletto, e che sono verosimilmente persone di sua fiducia, il che mi pare aver senso, e quanto allo sbarramento per le liste di sostegno, io non lo vedrei necessario perché le liste che non raggiungessero una soglia minima di consenso non avrebbero propri rappresentanti in Parlamento (l’importante sarebbe, come già dicevo, che i voti non venissero persi, bensì suddivisi nella coalizione di appartenenza).
Quanto alle norme antiribaltone, volte a contrastare i “cambi di casacca”, io penso – ma è soltanto la mia modestissima opinione – che lo strumento più efficace in proposito possa rivelarsi il mettere nella mani del Capo del Governo la decisione di poter sciogliere le Camere, un “potere” che può funzionare da deterrente per chi ritenesse di passare ad altro ed avverso, o concorrente, schieramento politico, posto che, ove detti “trasferimenti” si moltiplicassero al punto da indebolire la maggioranza, lo scioglimento delle Camere porterebbe automaticamente alle urne, e chi avesse cambiato casacca si troverebbe così a dover affrontare nuove elezioni (col rischio di non venir rieletto).
P.B. 03.11.2023