Di Paolo Dagli Orti
Si comincia a giocare d’azzardo per caso o per curiosità o per divertimento o fantasticando sulla vincita che cambia la vita o per una nuova emozione o per noia o per smania di rischio o per disperazione. Spesso diventa una fuga breve da una realtà quotidiana invivibile.
Chi comincia, dapprima, osserva il funzionamento di un gioco d’azzardo, ne apprende le regole, crede di intravvedere un certo qual ordine e così, a poco a poco, viene sedotto dal gioco stesso e subito contagiato dalla superstizione. “Era sorta in me una sensazione strana, una specie di sfida al destino, un desiderio di dargli un buffetto, di mostrargli la lingua”*.
Ognuno ha le proprie convinzioni su come gira la fortuna alterna. Ognuno ha un proprio numero o giorno o periodo fortunato per il lotto, ha un proprio sogno premonitore, un sistema scientifico vincente, i santi giusti da invocare, finanche il modo giusto per “grattare” un biglietto o muovere la leva della slot-machine! C’è chi, fraintendendo la matematica delle probabilità e dei grandi numeri, fa mille conteggi, ritenta sempre e si scervella sui numeri ritardatari come se questi avessero una memoria. Insomma, ci si comporta come se nell’azzardo ci fosse davvero lo spazio per qualche personale abilità.
Benedetto Spinoza nel 1670 annotava come gli uomini fossero “per la precarietà dei beni della fortuna, che smodatamente desiderano, quanto mai disposti alla credulità e quanto mai soggetti a superstizioni di ogni genere”.
La frenesia per il gioco si accende sia per la vincita sia per la perdita. È un’eccitazione che chiede, come in ogni dipendenza, dosi crescenti di stimoli. “Chi capita una volta su quella strada, è come se scivolasse in slitta da una china nevosa, sempre più in fretta, sempre più in fretta …” * e la strada del gioco è infinita. Ci si sottomette così ad una sorta di servitù volontaria.
Nella alternanza continua tra una vincita che lusinga e una perdita da rimediare, il giocatore permane impantanato drammaticamente sia quando vince sia quando perde. “Il profitto e il trucco sui quali è fondato e organizzato il banco, il giocatore non deve neppure sospettarli”*.
L’azzardo è un tipo di gioco che non coinvolge nessuna abilità del giocatore, né fisica né mentale ed è, propriamente, un gioco a perdere, ovvero un gioco truffaldino. Il matematico e statistico del secolo scorso Bruno De Finetti (1906-1985) definì il gioco del lotto “una tassa sulla imbecillità”.
Oggi l’invito al “gioco responsabile” è beffardo perché è come invitare il drogato a bucarsi evitando l’over-dose.
Il desiderio irresistibile, spesso improvviso e un po’ misterioso, che è alla base della dipendenza, sia da gioco sia da sostanze, è noto ai medici con la parola inglese “craving”.
Il gioco d’azzardo è stato riconosciuto come una vera dipendenza patologica in quanto vi è una similarità comportamentale tra il gioco d’azzardo e le dipendenze da sostanze. Questa patologia ha, in comune con le dipendenze da sostanze, il comportamento compulsivo che produce effetti invalidanti sulla salute oltre a conseguenze potenzialmente distruttive sulle relazioni sociali e sui patrimoni. Le dipendenze patologiche sono tutte strutturalmente uguali e sono state definite “meccanismi di autodistruzione lenta”. Il Disturbo da Gioco d’Azzardo deve, pertanto, essere considerato una dipendenza patologica “sine substantia”, senza sostanza, ovvero una “dipendenza comportamentale” non meno grave delle dipendenze da sostanze quali l’alcol, il tabacco, le droghe e alcuni psicofarmaci.
Nel 1980 l’American Psychiatric Association aveva riconosciuto il gioco d’azzardo come una vera patologia psichiatrica; nel 1994, il gioco d’azzardo patologico è stato classificato nel DSM-IV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) come: “disturbo del controllo degli impulsi”, e definito come un “comportamento persistente e ricorrente di gioco che compromette le attività personali, familiari e lavorative”, nel 2013 con la nuova versione del DSM-V il disturbo da gioco d’azzardo è definitivamente classificato come prima ed unica “dipendenza (addiction) comportamentale”.
Uno studio più recente, risultato di anni di ricerca clinica, e curato dal reparto di Medicina delle Dipendenze dell’Università di Verona afferma: “Le dipendenze patologiche interessano ogni fascia d’età e strato sociale. Sono senza dubbio una priorità sul piano socio-sanitario per i gravi danni psicofisici cui gli individui sono esposti. Le inerenti conseguenze negative provocano una sofferenza che si estende ben al di là del singolo soggetto, coinvolgendo il contesto familiare e sociale del paziente, con costi incalcolabili in termini di crescita dell’illegalità, di disperazione, degrado, distruzione dei rapporti interpersonali e scadimento della qualità di vita”. (In Sostanza, Manuale sulle dipendenze patologiche a cura di F. Lugoboni e L. Zamboni, pubblicato dal Centro Lotta alle Dipendenze e da Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona 2018).
Nel contrasto al gioco d’azzardo, deve essere ricordato il merito del governo Conte che, nel luglio del 2018, con il decreto-legge per la dignità del lavoro introdusse anche il divieto assoluto di ogni “forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo”, proprio come per i tabacchi.
Ma per chi è diventato giocatore è molto difficile convincersi che il vero guadagno sta nel non giocare.
“Avevo perso tutto, tutto … Esco dal casinò, guardo: nella tasca del panciotto trovo ancora una moneta. Ah, avrò dunque di che pranzare! pensai ma, dopo aver fatto cento passi, cambiai idea e tornai indietro e puntai l’ultima, proprio l’ultima, l’ultimissima moneta!
Domani, domani tutto finirà”*.
[Le citazioni contrassegnate con * sono tratte da Il giocatore. Dalle memorie di un giovanotto di Fedor Michajlovic Dostoevskij]