È stato certamente un rivoluzionario, non di quelli eroici che si rifugiano nella foresta o assaltano les barriques.
Ma che abbia cambiato, anzi rivoluzionato, un certo modo di pensare e di agire in diversi campi di quel mondo che si apprestava a chiudere il II millennio e poi ad aprire il III è certo.
Nel campo della comunicazione, innanzitutto, spezzando quel cerchio assolutista che sembrava un autentico retaggio medievale e cioè la riserva, in capo allo Stato, della possibilità di gestire le trasmissioni radio e televisive.
Diciamocelo francamente: il famigerato monopolio tv era una brutta cosa, da dittaturella terzo mondista e, anche se ai sovrappiù la caduta del monopolio è sembrato un favore fatto solo al cavaliere di Arcore, in verità è stata la sacrosanta affermazione di un principio di democrazia nel nome della libertà di informazione e di manifestazione del pensiero, nel cui solco si sono inserite anche centinaia di emittenti radiofoniche e televisive libere e indipendenti e successivamente i grandi network satellitari.
Ha rivoluzionato la politica.
Indubbiamente è stato favorito dal muoversi nel terreno morbido e poco resistente coperto dalle ceneri della prima repubblica. sparpagliate nel paese dalla sciagura di mani pulite.
Ma lui ci ha messo del suo.
Cambiando il metodo prima di tutto e mutuando nella comunicazione politica il sistema della pubblicità televisiva.
Era il suo campo e ha creato il suo terreno fertile. Non più la comunicazione forbita e dotta che ha accompagnato la politica dell’Italia post bellica (che lo avrebbe messo in difficoltà per la sua totale impreparazione politica ed ideologica), ma una collezione di spot, di slogan riducendo il messaggio politico allo stesso rango delle réclame per il brodo Star o per il detersivo da lavatrice.
E così da arte raffinata per intellettuali e pensatori la politica è stata trasformata in un avanspettacolo per guitti e suonatori di pianoforte sulle navi dove non importava cosa dicevi ma quanto facevi ridere la gente che ti stava ascoltando (altro che i nani e ballerine di craxiana memoria).
E poi stravolgendo il sistema. Fu emblematica una sua frase:”Il partito non ha alcun senso di esistere se non essere funzionale alla ascesa e affermazione del suo leader”.
La chiave di volta era tutta lì e così ci siamo ritrovati di colpo a circa 2000 anni indietro.
Al 49 a.C. quando un altro narciso, assetato di potere, e decisamente assolutista aveva deciso di marciare verso il trono di Roma con l’intento di cancellare 500 anni di storia repubblicana e instaurare nuovamente la monarchia, immemore che fu abbattuta secoli prima con la cacciata di Tarquinio il Superbo e con il solenne giuramento che Lucio Giunio Bruto ottenne dai Romani di bandire per sempre la corona regale dai colli fatali di Roma.
Se Plutarco fosse vissuto ai tempi nostri ne avrebbe scritto le vite parallele ché anche la carriera del Divo Gaio della gens Iulia di ombre ne ha avute tante come quando per farsi eleggere Pontefice Massimo fece regalie di denari agli elettori Romani in una antesignana compravendita di voti.
Ma quel che rimprovero a Berlusconi, più che la lunga sequela di leggi o tentativi di leggi ad personam è di aver completato la distruzione dei partiti, avviata dai giudici di Milano, e di aver introdotto quella sorta di neo-cesarismo di maniera con la esasperazione della figura del leader e con la estenuante ricerca di riforme che impedissero di disturbare il manovratore.
Ed ecco la introduzione dei nominati, (in parlamento per tenerli sotto controllo), ecco le varie e pessime riforme elettorali per far scomparire i partiti piccoli, tanto il bipartitismo è meglio, ed ecco i tentativi di riforme costituzionali per la elezione diretta del premier.
La cosa triste è che chi rappresentava la sinistra gli fu complice, convinto di poter fare al posto di Berlusconi quel che Berlusconi voleva fare. Una sinistra miope e bolsa che gli fu complice ma quando volle essergli avversaria non lo colpì sul terreno della politica, con temi e argomenti, ma con una delle più becere campagna giustizialiste mai viste.
Tutte iniziative, le sue, volte ordunque a celebrare la figura del leader, “Il più grande statista del dopo guerra” come più volte amava definirsi.
Ma quando mai.
Non c’è stato nulla di più vuoto, sotto il profilo politico, dei governi Berlusconi. Li chiamava liberali ma probabilmente non sapeva neanche cosa volesse dire liberale. Era talmente uomo da e-commerce che ormai appioppava etichette a tutto ciò che gli passava sottomano con una disinvoltura senza pari e così anche ai suoi governi che, anche se per la gente sono passati per liberali e riformatori, non hanno liberalizzato e riformato un fico secco e l’unica mission che si sono dati era di sconfiggere il comunismo, un refrain cantato dall’inizio della sua carriera politica sino alla fine con il suo ultimo messaggio alla assemblea nazionale di F.I. di qualche settimana fa.
Non che l’anticomunismo sia una bestemmia, anzi, ma se è solo quel che resta è una inutile etichetta demagogica e propagandistica.
E poi, e poi, c’è il calcio. L’altro spicchio di mondo rivoluzionato da Berlusconi.
E qui almeno per i primi anni c’è solo da togliersi il cappello con la sua mania di “vincere e convincere” e dare spettacolo che sin dai primi passi del suo Milan indusse il calcio italiano a cancellare le vocazioni catenacciare ormai radicate e consolidate da decenni.
Per vent’anni ha guidato la sua squadra con caparbietà e con idee fresche e innovative per poi perdersi nella tristezza del declino smantellando uno squadrone o raccontando puttanate come quando si mostrò con una foto tarocca vestito da giocatore del Mlan.
Questo è stato il suo difetto più grande: convincersi, ad un certo punto, di poter dire la più smaccata delle fregnacce e pretendere di essere creduto, ma non fu così e dal 2013 anche Forza Italia iniziò il declino lasciando spazio prima alla lega (2018) e poi a Fratelli d’Italia (2022).
Le ultime apparizioni furono uscite di scena non degne di chi pensava di essere un grande leader e se non avesse avuto un ego smisurata e una grandissima vanità la ragione gli avrebbe dovuto suggerire di ritirarsi e godersi, finché la vita glielo concedeva, la vicinanza di Marta Fascina, l’ultimo suo amore al quale, con quel bizzarro finto matrimonio che lui stesso definì “simbolico”, non le ha neanche concesso il suggello di una sincera promessa di un sentimento vero.
Ma di fronte al trapasso poi l’unico dovere resta il cordoglio e anche noi aggiungiamo il nostro pugnetto di terra sulle sue spoglie in omaggio a un uomo che comunque qualche pagina di storia l’ha scritta.