di Lucia Abbatantuono.
“Jean Monnet aveva ragione?” – questo il titolo dell’ultimo libro di Marco Buti, presentato venerdì scorso al Collegio Carlo Alberto di Torino in occasione di una tavola rotonda sul tema “Costruire l’Europa in tempo di crisi”, anteprima del Festival Internazionale dell’Economia che si svolgerà a giugno nella città sabauda. Jean Monnet, padre delle istituzioni europee, sosteneva che l’Europa desse il meglio di sé proprio durante le situazioni di crisi e che fosse specialmente capace di evolvere solo dopo essersi rialzata dai periodi di più grave tensione. Marco Buti, attuale docente all’Istituto Universitario Europeo e già Direttore Generale per dieci anni nella Commissione europea per gli affari economico-istituzionali, nonché Capo di Gabinetto del Commissariato europeo per gli affari economici diretto da Gentiloni, propone una risposta a doppio taglio all’interrogativo centrale della sua analisi, e sembra in parte criticare l’affermazione ottimista di Monnet.
Insieme a lui ne hanno discusso il presidente del Collegio Carlo Alberto – Giorgio Barba Navaretti, il presidente della Fondazione Compagnia San Paolo – Francesco Profumo, il vicedirettore de La Stampa – Marco Zatterin e la presidentessa dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio – Lilia Cavallari. Introducendo il dibattito, Barba Navaretti dichiara di condividere l’assunto basilare di Monnet e ipotizza che anche lo studio di Buti voglia portarci a pensarla così: infatti Buti propone un’analisi su tre piani complementari d’osservazione, considerando l’ambito istituzionale, temporale e geografico degli eventi, e osserva la perseveranza del conflitto di fondo tra i singoli interessi nazionali dei paesi membri UE e l’interesse collettivo europeo. Conflitto che solitamente è gestito grazie al doppio sforzo congiunto del Consiglio Europeo (che utilizza un metodo comunitario di pacificazione) e della Commissione Europea (che applica invece il metodo unitario di conciliazione) ma che ad ogni modo si incentra spesso sull’attrito costante esistente tra politica fiscale e politica economica da una parte e sul periodico rifiorire di nazionalismi e sovranismi che mettono a dura prova la coesione degli stati partner dall’altra. Il piano monumentale di risanamento e sviluppo Next Generation EU, voluto dall’Europa all’indomani dell’ennesima crisi globale causata dal Covid, mira a ridurre l’asimmetria funzionale tra i membri dell’Unione, evidenziando il rilievo dell’equità fiscale e delle necessarie misure di redistribuzione della ricchezza comune.
Chiamato a dare il proprio parere, il presidente del CNR ed ex ministro dell’Istruzione Francesco Profumo non lascia margine ad alcun tipo di ottimismo: “Sono profondamente deluso perchè l’Italia sta sprecando un’occasione unica di crescita” – afferma riferendosi al PNRR – “Nella gestione della pandemia per la prima volta sia i parlamentari europei che le strutture europee hanno lavorato insieme d’amore d’accordo, davvero uniti. Nulla di ciò avvenne nel 2009 durante la grande crisi finanziaria che dagli USA coinvolse anche l’Europa. Anche il titolo dell’ambizioso programma Next Generation EU è bellissimo e lasciava sperare in qualcosa di grandioso, ma il nostro Paese non sta reagendo come avrebbe dovuto: nel 2026 avremo un debito enorme, e risollevarci sarà ancora più complesso. Il PNRR, così come stilato dai nostri governanti, non è un disegno di futuro: nessuno dei progetti in esso contenuti, che mi capita spesso di esaminare, è degno di nota. Le risorse sono divise in modo irrazionale: troppo denaro è stanziato per l’edilizia, ma a che pro? Meglio sarebbe stato dedicarlo all’istruzione, all’università e alla ricerca, perché nel 2042 avremo solo 80mila laureati rispetto ai 120mila odierni, e già oggi il Politecnico ha difficoltà ad assegnare le borse di studio annuali. Non ci sono, cioè, progetti che pensino davvero al dopodomani: siamo un Paese che ha perso il senno“.
Dopo il bagno nel pessimismo realistico di Profumo, l’intervento di Lilia Cavallari assume toni decisamente più tecnici: “Ogni crisi crea profonde cicatrici nelle nazioni, e il debito così lievitato post-Covid è l’attuale grave cicatrice dell’Italia. Ma Monnet aveva ragione nel sostenere che ogni crisi ha eredità positive: pensiamo ad esempio al nuovo Codice della Crisi d’Impresa, ai nuovi uffici parlamentari indipendenti di Fiscal Council (come quello da me diretto a Roma) e non ultimo allo strumento fiscale comune Next Generation EU. Oggi abbiamo bisogno sia di capacità fiscale che di disciplina fiscale, e le si può ottenere con istituzioni politiche solide, capaci di rafforzare la sostenibilità finanziaria del debito, che dimostrino la qualità dell’intervento pubblico e trovino una politica fiscale comune europea coerente. Bisogna quindi puntare sui beni comuni strategici, e per farlo serve una solida capacità fiscale, parallela alla solidità e alla sostenibilità del debito” – entra nel dettaglio la professoressa Cavallari, mostrandosi concorde con Profumo – “Serve dapprima un’effettiva capacità di programmazione: una buona governance deve stilare programmi sul medio/lungo termine, e non fermarsi a disegni di salvataggio che si fermano alla punta del proprio naso. Inoltre, questi programmi devono essere trasparenti, perché senza trasparenza non c’è credibilità. Infine, servono controlli ex-post. Serve rigore, perché anche questo incide sulla solidità di una nazione. Tutto ciò appare come qualcosa di difficilissimo, prossimo ad uno sforzo ciclopico, ma ora come mai serve visione: è un’occasione irripetibile, e anche se il quadro di regole alla base è sfidante, il sistema offre anche notevoli opportunità che l’Italia deve saper cogliere“.
Intervenendo poi a dettagliare il proprio studio, non meno caustico si rivela Marco Buti: “La buona reazione comune europea alla crisi indotta dal Covid ha avuto basi ben diverse rispetto a quando non avvenne di fronte alla crisi finanziaria globale del 2009. Due anni fa la congiuntura europea era più che favorevole: il triangolo virtuoso Parigi/Berlino/Bruxelles ha funzionato a meraviglia” – sostiene Buti, da convinta europeista quale è sempre stato – “C’erano Macron e Merkel, il più giovane e il più anziano capo di governo europeo, che si sono dimostrati abilissimi nel programmare sul lungo termine. Insomma, le stelle erano ben allineate nonostante la pandemia, e soprattutto non c’erano all’orizzonte elezioni interne, perchè di per sè queste riducono fortemente la lungimiranza comune, a favore dei meri interessi domestici nazionali“. Superata la crisi sanitaria, oggi l’Europa affronta la crisi bellica ucraina, sulla quale Buti è pronto a offrire la propria ricetta: “Bisogna gestire i grandi dilemmi macroeconomici che tornano a galla, cercando un equilibrio rivolto a una triplice forma di sostenibilità: fiscale, ambientale e sociale. Se uno solo di questi pilastri fosse debole, si finirà col minare la tenuta complessiva dell’intero sistema. Per questo consiglio all’attuale governo di incidere con forza sulla riforma del patto di stabilità europeo, senza però provare neanche a giocare sporco: sarebbe meglio prima ratificare il MES, e poi provare dall’interno a modificarlo. Sarebbe un segnale di maggiore maturità politica: non aver ancora ratificato il MES (Meccanismo di Economia e Sviluppo) dimostra come la classe politica italiana sia ancora troppo legata agli interessi provinciali legati al bacino elettorale di turno. E la leggenda metropolitana del predominio delle banche tedesche dovrebbe essere finalmente messa a tacere, alla luce di uno sforzo comune necessario al bene collettivo e nazionale. In tale contesto non c’è spazio per ridurre la pressione fiscale, e se il governo continua a prometterlo non fa altro che dimostrare una grave incoerenza. Serve un forte senso politico-istituzionale, ben superiore a quello visto finora, che superi l’annoso clivage tra governo e opposizioni, tarlo atavico del nostro Paese“.
Conclude il dibattito Francesco Profumo, che con la sua tipica aria sorniona decide di non fare sconti a nessuno: “Sono 50 anni che l’Italia mostra di non essere capace di gestire il denaro che arriva dall’UE. Io avrei costruito il PNRR con scadenza temporali diverse, e anche un ordine esecutivo ben differente da quello impostato adesso. E’ inutile che ce la raccontiamo: bisognava prima vedere i progetti, e poi decidere se e come finanziarli. Ma prima dei progetti servono persone competenti, capaci di gestire tutto il processo del PNRR. L’Europa stessa era pronta ad offrirci l’aiuto di esperti di comprovata capacità, ma il governo italiano ha rifiutato ogni proposta a riguardo. Eppure, queste non sono cose che possono fare i ragazzini, e ormai il tempo è scaduto“.