di Alessandro Perelli
C’erano tanti motivi per conoscere i risultati delle elezioni politiche (si poteva votare anche online) in Estonia, la piccola repubblica baltica resasi indipendente dall’Urss nell’agosto del 1991. Il principale, però, era rappresentato dal consenso che avrebbe raccolto la premier uscente Kajà Kallas e il suo Partito delle Riforme (aldilà del nome conservatore e liberale). Questo piccolo Stato, con un milione e trecentomila abitanti, confinante ad est con la Russia e bagnato a nord ed a ovest dal mar Baltico, che lo separa dalla Finlandia aveva, nei mesi scorsi, costituito all’interno dell’ Unione Europea e della NATO (dei quali fa parte), proprio grazie all’ azione della Kallas, una delle componenti più risolute per l’attuazione di meccanismi concreti di solidarietà all’ Ucraina invasa da Putin, non solo adottando immediatamente le sanzioni e anticipando l’invio di armi, ma aggiungendo di proprio (e con gli altri Paesi baltici) ulteriori restrizioni riguardanti i visti turistici e la soppressione di attività culturali con la Russia.
Più che le questioni interne, sono state le questioni internazionali che hanno fatto da sfondo al voto di domenica 5 marzo, quando i lettoni hanno scelto con le loro preferenze il nuovo Riigikogu, il Parlamento della capitale Tallinn.
Per Kaja Kallas si è trattato di una vittoria netta, superiore alle aspettative. Il suo partito si è confermato largamente al primo posto, raccogliendo il 32% dei consensi. La leadership della Premier esce rafforzata e la sua riconferma, dopo le trattative politiche che sono già iniziate, appare scontata. Ha indubbiamente giovato all’affermazione sua e del suo partito, essere riuscita con il suo carisma politico e personale, a rendere grande e importante sulla scena europea, il suo piccolo Paese (il territorio è pari a circa il doppio della Lombardia), in virtù dell’impegno e della determinazione, con cui ha governato.
C’era un punto interrogativo importante a cui questa prova elettorale doveva dare risposta: il risultato dell’Ekre, il partito di estrema destra guidato da Martin Helme, che i sondaggi davano in grande crescita. Dell’Ekre si parlò molto quando, nell’estate del 2021 firmò la “Carta dei valori” sovranista e antieuropeista insieme, tra l’altro, agli italiani Lega e Fratelli d”Italia. Inoltre si rese protagonista di iniziative contro gli omosessuali e altre chiaramente xenofobe. In generale si rivolgeva alla folta comunità russofona e, pur condannando l’invasione Ucraina, era favorevole al mantenimento di relazioni con la Russia. Il partito di Helme, pur classificandosi al secondo posto, si è fermato al 16,1%, senza registrare l’exploit che molti si aspettavano.
Gli altri partiti (stabili i socialdemocratici al 9,6%) si sono divisi il resto dei 101 componenti del Riigikogu. Ma il dato fondamentale è che Kaja Kallas oggi si trova in una solida posizione per costruire una coalizione di maggioranza, con la sua riconferma come Premier. Una coalizione che avrà probabilmente un’unica discriminante: quella di non contenere all’ interno l’ Ekre. Così, infatti, si sono espressi quasi tutti i partiti (di destra, centristi e socialdemocratici), possibili alleati del Partito delle Riforme ed entrati in Parlamento avendo superato la soglia di sbarramento del 5%.
Kaja Kallas, la quarantacinquenne, leader dei liberali e dei conservatori, aggiunge così questo successo a una carriera politica particolarmente brillante. Figlia d’arte (il padre era stato Primo Ministro e Governatore della Banca Centrale e uno dei protagonisti dell’indipendenza dall’ Urss) ha saputo fare del realismo una delle componenti fondamentali del suo fare politica. Nella sua storia familiare ha avuto anche parenti deportati in Siberia, a causa della lotta per l’indipendenza. È convinta che Putin, in questo momento, non oserà attaccare l’Estonia, ma è altrettanto convinta che, se prevarrà la logica della violenza e della sopraffazione contro Kiev, gli appetiti dei regimi totalitari potrebbero risvegliarsi in tutto il pianeta.
La sua scelta di affiancarsi al mondo occidentale per rafforzare la democrazia e la libertà anche nel suo Paese, appare irreversibile. Le sue prime dichiarazioni, oltre al ringraziamento ai lettoni che la hanno votata, hanno riguardato il suo proposito di aumentare le spese militari del 3%, di alleggerire la tassazione per le imprese, di preparare una normativa che consenta le unioni civili per persone dello stesso sesso, coerentemente con le sue promesse in campagna elettorale.