Cvd ” , l’acronimo che abitualmente si usa per “come volevasi dimostrare”, riferito al ballottaggio dalle elezioni presidenziali turche di domenica 28 maggio questa volta non è sufficiente a spiegare un risultato, certamente atteso, ma che merita ulteriori riflessioni. Il 52% con cui Recep Erdogan si è garantito la riconferma fino al 2028 lo pone infatti a capo di una Turchia spaccata in due dove potra’ governare con una buona maggioranza, visti anche i risultati delle elezioni oer il rinnovo del Parlamento, ma dove dovrà necessariamente fare i conti con una opposizione coesa e che, in questa ultima occasione, ha mancato di poco la sua defenestrazione democratica. L’ affluenza ai seggi e’ stata un po’ in calo rispetto al primo turno dove aveva sfiorato il 90% ma comunque la percentuale di votanti del 85% della scorsa domenica (come diramato dalla TV di Stato) conferma una grande partecipazione popolare a una consultazione considerata di grande importanza anche al di fuori dei contini della Turchia. Lo scrutinio ha fin dall’inizio visto Erdogan in vantaggio sullo sfidante Kemal Kilicdaroglu con un margine che però si e’ costantemente mantenuto molto basso tanto da fare prevalere l’incertezza fino alla fine quando si è stabilizzato sui quattro punti di differenza. Al di la’ degli scontati commenti entusiastici del vincitore che ha parlato di “vittoria della Turchia” e di Kilicdaroglu che ha espresso “tristezza per il futuro del Paese” e’ opportuno soffermarsi sugli effetti interni e esterni del voto. Dal punto di vista interno e’ probabilmente prevedibile una leggera attenuazione dei metodi antidemocratici e illiberali con cui Erdogan ha trattato quelli che non la pensavano come lui ignorando le spinte dei giovani, delle donne, della società civile verso il rispetto nei diritti civili. Nei cinque anni del precedente mandato Erdogan si è reso responsabile, con la scusante di preservare l’integrità dello Stato, di vere e proprie persecuzioni politiche con arresti, condanne e privazione dei più elementari diritti tanto da causare numerose vittime. Questi metodi, oltre al controllo dei principali media, gli sono tornati utili in quanto hanno indubbiamente penalizzato le iniziative e la campagna elettorale degli oppositori. Lo spaventoso terremoto che ha colpito il Paese a febbraio si è rivelato un’altra occasione di distribuzione del consenso con gli aiuti che, guarda caso, sono andati in tempi rapidi ai sindaci espressi dal suo partito e da quelli alleati. Sul piano internazionale la Turchia, di cui Erdogan ha cercato di risvegliare l’orgoglio e il protagonismo, continuerà a rivestire il ruolo impostato dal Presidente, a metà strada tra l’adesione ai valori occidentali (con la richiesta di entrare nell’ Unione Europea e l’appartenenza alla NATO) e il mantenimento di buoni rapporti con Mosca anche dopo l’aggressione all’Ucraina senza partecipare alle sanzioni contro Putin. Forte del fatto di essere l’ultima barriera contro le migrazioni in terra europea dei clandestini proveniente da oriente ribadira’ il suo ricatto all’occidente per aver finanziamenti e mano libera nel Mediterraneo soprattutto riguardo alle risorse energetiche di questo mare. Ma non potrà sottovalutare il fatto che quasi la metà dei turchi abbiano avallato con il voto di domenica 28 maggio proprio le scelte opposte alle sue sia dal punto di vista interno che internazionale. Recep Erdogan sembra quindi più un “sultano dimezzato” che dovra’ misurarsi con un Paese spaccato in due e con un’opposizione democratica che si è ritrovata unita pronta a rinnovare la sua sfida nel 2028 e che nel frattempo non stara’ solo a guardare ma giorno per giorno si confrontera’ con lui sul piano dei risultati. Sullo sfondo di una situazione economica sempre più preoccupante e con la progressiva svalutazione della moneta.