Vuoi andare in pensione prima? Scordatelo. Questo dice il disegno di legge di bilancio per il 2024. Così, proprio quelli che hanno vinto le elezioni promettendo di eliminare la tanto vituperata Legge Fornero, con la nuova legge di bilancio firmano la peggiore stretta sulle pensioni degli ultimi anni. E non soltanto la Legge Fornero resiste, ma le roboanti dichiarazioni di alcuni membri dell’attuale Governo vanno in fumo. Non si cancella quasi nulla della riforma pensionistica varata nel 2012 dal Governo Monti anzi, come un caterpillar, il Governo Meloni riduce le possibilità di uscita dal mondo del lavoro e conferma gli attuali importi pensionistici da fame. Al momento, lo sappiamo, questo benedetto disegno di legge è all’esame del Senato e dovrà essere approvato entro la fine dell’anno anche dalla Camera. Il suo testo può essere modificato, ma il governo ha già annunciato urbi et orbi che nessuno dei partiti della maggioranza presenterà emendamenti. Modifiche o meno, contrariamente a quanto promesso nel programma elettorale, è chiaro a tutti che la coalizione di centrodestra ha deciso di rendere meno vantaggioso il pensionamento anticipato.
E per capire quanto svantaggiosa possa diventare questa opzione, conviene ripassare un attimo proprio la famosa legge Fornero che i destrorsi promettevano di superare. L’allora Ministro del lavoro del governo Monti, la professoressa Elsa Fornero, nel 2011 modificò parecchi dei vecchi requisiti per andare in pensione. La sua riforma trasformò il sistema pensionistico italiano da retributivo (che era) a contributivo (che è). Teoricamente il sistema contributivo, che nel nostro paese era già stato in parte introdotto nel 1995, prevede una maggiore flessibilità di pensionamento: considerando che il valore della pensione dipende dai contributi versati, si potrebbe andare in pensione prima dei termini previsti dalla legge accettando magari mensilità più basse. Quindi, il sistema contributivo permetterebbe di ritirarsi dal lavoro a proprio gradimento, ma non senza fare i conti con alcune limitazioni imposte dallo Stato, non solo per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico tout court, ma anche per tutelare le categorie più deboli.
La legge Fornero prevedeva l’accesso alla pensione appena raggiunti i 67 anni di età, oppure subito dopo aver maturato i requisiti contributivi: 42 anni e 10 mesi di versamenti per gli uomini, e un anno in meno per le donne.
Da allora ad oggi vari governi hanno introdotto requisiti di volta in volta più flessibili per consentire a una parte dei lavoratori di andare in pensione anche senza rispettare i requisiti previsti dalla “Fornero”. Ed è proprio sulle norme per il pensionamento anticipato che il governo Meloni propone alcune modifiche che lo renderanno meno accessibile e meno conveniente. Perchè? Innanzitutto dal 2024 per andare in pensione in anticipo sarà necessario avere diritto ad un assegno pari ad almeno tre volte l’assegno sociale INPS, anziché 2,8 volte com’era previsto finora. Questo limite dovrebbe garantire che chi lascia il lavoro non finisca in povertà, ma può essere un serio ostacolo per quanti vorrebbero semplicemente smettere di lavorare, avendo magari a disposizione altri redditi per evitare l’indigenza.
Chi sceglie di rinunciare all’uscita, invece, potrà beneficiare del bonus Maroni: quel premio che garantisce a chi posticipa l’uscita dal mondo del lavoro un aumento di stipendio netto attraverso un esonero contributivo che per il 2023 è pari al 9,19%, Questa misura dovrebbe essere riconfermata. Ma si registra una forte stretta sulle finestre di uscita, che vengono dilatate: infatti si allungano i tempi necessari tra la maturazione dei requisiti e la pensione, passando da 3 a 7 mesi per i dipendenti privati e da 6 a 9 mesi per gli statali.
Di male in peggio, nel testo non sono previsti aumenti per le pensioni minime, neanche per gli over 75. Per quanto riguarda la rivalutazione delle pensioni in rapporto all’inflazione, si prevede di intervenire sul meccanismo dell’indicizzazione rispetto alle modifiche apportate lo scorso anno. Nello specifico, per l’ultima fascia, quella con i trattamenti oltre 10 volte il minimo, si prevede la riduzione della rivalutazione dal 32 al 22%, a fasce invariate. Rispetto alla prima bozza, non ci sarà l’aumento della rivalutazione dall’85 al 90% per i trattamenti tra 4 e 5 volte il minimo. Di fronte a simili disastri, fa sorridere la novità inclusa nella bozza del disegno legge: la possibilità, valida fino al 2025, assicurata ai lavoratori di riscattare in modo agevolato i “vuoti contributivi”. Un sistema molto simile a quello del riscatto della laurea: si potrà riscattare un periodo massimo di 5 anni, in unica soluzione oppure fino a 120 rate mensili, ciascuna non inferiore ai 30 euro.
Sul pensionamento anticipato l’attuale disegno legge presenta tre principali proposte: modifica dei requisiti minimi per la pensione contributiva anticipata; innalzamento dei requisiti di età per l’accesso a Opzione donna e Ape sociale; modifica di “quota 103”. Và detto subito che l’assegno sociale oggi è pari a 503,27 euro, quindi per andare in pensione in anticipo bisognerà aver versato contributi che garantiscano almeno 1.509 euro lordi di pensione al mese, contro i 1.409 euro attuali. Sembra uno scherzo, ma non lo è.
E come si modifica l’APE sociale? Introdotta nel 2017, questa misura relativa all’Anticipo PEnsionistico permette di andare in pensione prima solo ad alcuni soggetti (caregiver; disoccupati; lavoratori con mansioni gravose; disabili almeno al 74%). Fino a quest’anno, per accedere all’APE sociale era necessario aver compiuto 63 anni; il nuovo disegno di legge vuole aumentare dal 2024 questo requisito a 63 anni e 5 mesi. Invariati i requisiti contributivi, che però per le donne scendono di 1 anno per ogni figlio (contandone al massimo 2). L’importo massimo riconosciuto a chi vi accede è di 1.500 euro lordi mensili, e resterà tale fino al raggiungimento dei 67 anni (come diceva la legge Fornero), momento dal quale sarà calcolato il nuovo importo della pensione.
Una modifica simile è stata pure proposta per Opzione Donna, formula che consente alle lavoratrici di andare prima in pensione, a patto che accettino il ricalcolo integrale col metodo contributivo della loro pensione. L’introduzione di alcuni nuovi requisiti di accesso ha limitato notevolmente la platea di possibili beneficiarie: del resto, il piano del governo è aumentare l’età minima per accedervi, tenendo fissi gli almeno 35 anni di contributi versati necessari, ridotto di un anno per ogni figlio nel limite di due anni. Fino al 2023 il limite era di 58 anni di età per le dipendenti e di 59 per le lavoratrici autonome, mentre dal 2024 riguarderà le lavoratrici con almeno 61 anni di età. Nelle intenzioni del governo questa forma di pensionamento anticipato dovrà essere riservata solo ad alcune categorie di lavoratrici: licenziate o dipendenti in aziende con tavolo di crisi aperto presso il Ministero; persone con disabilità pari o oltre il 74%; donne che assistono, da almeno 6 mesi, persone disabili conviventi ex L.104/1992. Tutti i requisiti dovranno essere maturati entro il 31 dicembre 2023.
Proprio Giorgia Meloni ha già detto, nella sua conferenza stampa di presentazione, che “Ape Sociale e Opzione Donna saranno sostituiti da un unico fondo per la flessibilità in uscita, che consente di andare in pensione a 63 anni d’età, con 36 anni di contributi”. Però nella bozza della Manovra non c’è traccia alcuna di questo fondo, mentre restano entrambe le misure. Modificate, ma restano.
E per quanto riguarda la “Quota 103“? Il governo ha deciso di confermarla per il 2024, permettendo il pensionamento anticipato ai lavoratori con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi versati (sommando 62 con 41 si ottiene, appunto, 103). La “Quota 103” è stata già introdotta dal governo Meloni con la legge di Bilancio per il 2023 e, come le precedenti “quota 100” e “quota 102” degli anni 2019 e 2022, è stata pensata per garantire maggiore flessibilità in uscita dal lavoro rispetto alla Legge Fornero. Per avere un termine di paragone, “quota 100”, approvata dal governo Conte sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle (in vigore per tre anni) ha consentito la pensione anticipata ai lavoratori con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi versati.
La nuova “quota 103”, nella versione all’esame del Parlamento, prevede però una penalizzazione rispetto a quella attuale: l’assegno pensionistico andrà determinato solo con il sistema contributivo, che comporterà una perdita per chi accede alla misura (sappiamo tutti, infatti, che il calcolo retributivo è più conveniente per il lavoratore). Chi farà accesso a “quota 103” non potrà ricevere un assegno superiore a quattro volte l’assegno pensionistico minimo, cioè circa 2.255 euro lordi mensili, per tutto il periodo in cui avrebbe dovuto lavorare se fosse andato in pensione con i requisiti della Legge Fornero. Con queste limitazioni è probabile che saranno in pochi a utilizzare la nuova formula della “quota 103”. Eppure, secondo le stime del governo, alla fine del 2024 ci saranno 17 mila pensioni in più grazie a questa nuova norma. Gli oneri per le casse dello Stato saranno pari a 112 milioni di euro, che saliranno a 804 milioni nel 2025, quando sono previsti 25 mila pensionamenti anticipati in più con la nuova “quota 103”. Del resto, fu proprio il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a dichiararlo durante la conferenza stampa di presentazione: “Per quanto riguarda i pensionamenti anticipati ci sono delle forme rafforzate e restrittive rispetto al passato“. Amen.
Ricapitolando: nonostante le promesse fatte in campagna elettorale, il governo Meloni ha proposto di rendere meno conveniente il pensionamento anticipato e di restringerne la platea dei beneficiari. Le nuove norme, se entreranno in vigore il prossimo anno, saranno più severe rispetto a quelle introdotte dal precedente governo Draghi (sostenuto da Lega e Forza Italia) e anche da tutti i governi precedenti.
Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil, sostiene che “vengono peggiorate tutte le misure in essere: ‘quota 103’ con il ricalcolo contributivo; si allungano le finestre di uscita per pubblici e privati; si mette un tetto massimo all’assegno”. Risulta ben chiaro, dunque, che “Nonostante i tanti slogan e le promesse elettorali, questo governo sulle pensioni è addirittura riuscito a fare peggio della legge Monti-Fornero. Con le misure previdenziali contenute nel testo bollinato della legge di bilancio, non solo si sposta il traguardo pensionistico per tutti, ma non ci sono risposte per giovani, donne e per chi è attualmente in pensione”.
E a proposito dei giovani, lo scenario resta terrificante: “Sarà più difficile anche per i giovani accedere alla pensione – dice la Ghiglione – condannati ad attendere da 71 anni in avanti”. Per la Ghiglione “la modifica delle aliquote di rendimento per i pubblici è sbagliata e ha profili di incostituzionalità. Dopo il tanto lavoro svolto, anche durante il covid, dalle lavoratrici e dai lavoratori a partire da quelli del comparto sanità, questa è la ricompensa dell’Esecutivo”.
Marcello Pacifico, presidente nazionale ANIEF, dice: “La nuova bozza della Legge di bilancio 2024 effettua tagli alla spesa pensionistica per circa 2,7 miliardi di euro allo scopo di recuperare risorse per altre misure, come ad esempio il taglio del cuneo fiscale. È una riforma che quindi penalizza tutti coloro che speravano in novità significative che favorissero l’accesso anticipato alla pensione o che ne incrementassero l’importo: non solo, infatti, vengono rivisti al rialzo i requisiti per l’accesso alle misure di flessibilità, ma viene ulteriormente peggiorato il meccanismo di rivalutazione rispetto a quanto già era stato fatto dalla scorsa legge di Bilancio. Per i lavoratori della scuola è una disfatta“.
Ma cosa dice lei, la gongolante vincitrice di ogni più fantasiosa ipotesi sulla risistemazione delle pensioni? Elsa Fornero si è già espressa: “E’ una manovra senza una rotta, che non ha niente di quel che serve veramente al Paese, cioè il sostegno alla crescita”. E da economista pura, continua: “Inasprire i requisiti previdenziali non può che essere la risposta all’andamento demografico e occupazionale. Mi rendo conto che sia difficile dirlo a chi si aspettava di andare in pensione a un’età inferiore, ma non ci sono risorse”.
E affondando ulteriormente la lama, afferma: “Quello che sta succedendo ora sulle pensioni è un percorso che paga il conto del populismo e delle illusioni alimentate negli anni passati.” E non dimentica la staffilata agli avversari peggiori: “Quando si dice ‘superare la riforma Fornero sarà un obiettivo di legislatura’ si cerca una scappatoia, peraltro non onesta nei confronti dei cittadini. Il motivo è che chi lo afferma sa benissimo che l’anno prossimo il debito sarà persino più alto, mentre responsabilmente si dovrebbe già cominciare una fase di discesa. Vogliono continuare a illudere gli italiani ritenendoli dei creduloni“. E lanciando uno sguardo al futuro, la professoressa ammonisce: “Nella manovra, come anticipo della riforma fiscale, c’è poco: E quello che c’è è in parte destabilizzante. Non si aiuta l’economia nel breve termine perché le risorse sono temporanee ma si destabilizza il futuro perché si creano maggiore incertezza e maggiore debito“.
Il nostro viaggio nella sfiducia e nello sbigottimento vuole concludersi con alcuni punti particolarmente mortificanti, a cominciare dai giovani, sui quali tutti dicevano di voler intervenire quando era necessario raccogliere voti, e oggi cadono nel baratro dell’adeguamento all’aspettativa di vita che, bloccato fino ad oggi, riprenderà a produrre i suoi effetti con la prospettiva di uscire dal lavoro a 70 anni e con pensioni da fame, viste le basse e discontinue retribuzioni.
E vogliamo finire col bluff delle pensioni minime: il meccanismo della cosiddetta perequazione per chi è già in pensione sembra destinato a riproporre quanto fatto per il recupero dell’inflazione del 2022, cioè pochi spiccioli a chi percepisce oggi una pensione minima di 563,73 euro. Forse si arriverà, per le pensioni minime, a 650 euro lordi solo per i pensionati ultra-settantacinquenni.
Quindi, ancora una volta, non parliamo di una vera riforma ma di un insieme di misure che, come negli anni passati, servono solo a fare cassa con le risorse del sistema pensionistico per finanziare interventi come quello del ponte sullo stretto di Messina o per la corsa agli armamenti. E qui le braccia cadono talmente in basso da non riuscire neanche più a vedersi i polsi. E se a questo tragicomico scenario aggiungiamo le previsioni per le insufficienti risorse destinate alla Sanità pubblica, (o meglio, per il suo definitivo smantellamento), il quadro diventa ancora più tetro. Insomma: nonostante Halloween sia già passato, i nostri mostri restano tutti ai loro posti. Peccato.