Se qualcuno ci avesse scommesso sopra non avrebbe vinto granché perché i risultati erano talmente annunciati che le quote sarebbero state bassissime. Tant’è che la destra ha stravinto a Roma come a Milano.
Il dato che invece non era previsto, almeno non nelle proporzioni in cui si è manifestato, è l’astensionismo. “Uno su mille ce la fa” cantava Morandi, qui è “uno su tre che va a votà“. Tanto è infatti, occhio e croce, la media globale: due elettori su tre sono rimasti a casa.
La cosa deve fare riflettere. Innanzitutto perchè azzera la autorevolezza dei risultati elettorali. I 519.633 voti di Fratelli d’Italia nel Lazio, che dato elettorale alla mano rappresentano il 33 e spiccioli per cento dei voti validi, rapportati ai 4.791.612 di elettori laziali diventano un risultato miserrimo e minimalista che tutto è tranne che autorevole.
E per la Lega è peggio, perché se nella SUA regione, dove è stata fondata e ha mosso i primi passi e dove infine si è radicata, raccoglie la miseria di 476.175 su 8.010.538 elettori non deve celebrare una vittoria ma deve piangere una Caporetto e qualche domanda dovrebbe pur farsela.
E se il ragionamento vale per i partiti, come anche il PD (20% circa di media), che hanno avuto risultati importanti figuriamoci quanto può essere devastante per quelle forze che hanno conseguito percentuali a una cifra, per stendere infine un velo davvero pietoso per quelle liste che hanno viaggiato al di sotto del 2%.
L’astensionismo è stato talmente forte che non autorizza nessuno a cantare vittoria e nessuno può sentirsi rappresentativo di qualcosa.
Ecco, se c’è una considerazione sulla quale una corretta analisi dovrebbe soffermarsi e poi fermarsi è il crollo della autorevolezza.
Ma quando la Meloni, nei prossimi giorni, dirà di parlare a nome degli italiani non ci sarà da chiedersi: ma di chi? di quali italiani parli? Se il risultato dei suoi primi cinque mesi di governo è stato quello di allontanare due italiani su tre dalla politica, e quindi dall’esercizio del diritto elettorale, c’è poco da festeggiare e da stare contenti perché in giro ha evidentemente sparso solo delusioni. E quando Bonaccini, tra qualche giorno, sarà il nuovo segretario del PD e, con la vocazione maggioritaria che ha in testa, parlerà a nome della intera sinistra, ma di cosa parlerà, ma di quale sinistra?
Ovviamente queste considerazioni rendono risibili tutte le altre. Quelle che portano a soffermarci, per esempio, su l’effetto egemonico dei due maggiori partiti degli opposti schieramenti, a sinistra ancor più che a destra. Oppure sul ridimensionamento del terzo polo. Oppure ancora sul fallimento dei 5Stelle che riducono la loro forza a un quarto.
Piuttosto c’è da chiedersi le ragioni di tale distacco che allontana sempre più il paese reale. Paese, sì, paese. Perché è vero che si è votato solo in Lazio e Lombardia, ma sono regioni talmente importanti, che hanno la capitale politica e quella economica dello stivale e che per i presidi istituzionali e per gli insediamenti economici che accolgono non si fa fatica a considerare il test elettorale di ieri e l’altro ieri come un test attendibile per tutto il paese.
Non vi è dubbio che i disastri che si sono abbattuti sulla comunità italiana, covid prima e guerra dopo, una bella mano a smorzare entusiasmi e interessi l’hanno data.
Ma evidentemente non è solo questo.
Probabilmente sul tappeto ci sono i problemi degli italiani che da anni giacciono irrisolti e sui quali le gente vede posarsi lo sguardo indifferente della politica incapace, prima ancora di affrontarli, di analizzarli e studiarli.
Una politica, per esempio, che non ha capito che c’è un’Italia di mezzo, quella chiamata “delle aree interne”, sparsa tra le valli alpine e quelle appenniniche o tra le piccole comunità delle grandi pianure padane e pugliesi, che da trent’anni viene lentamente, ma sistematicamente, spogliata di tutti i presidi di prossimità (per accentrare i servizi nelle grandi aree urbane) lasciata nell’abbandono del dimenticatoio. In quei territori vivono circa 50 milioni di Italiani, il 75% circa della intera popolazione e di conseguenza dell’elettorato, ai quali da anni non si da ascolto e non si danno risposte. Non c’è da meravigliarsi se poi alla fine mandano tutti a quel paese.
E infine c’è la questione della autorevolezza delle istituzioni che, dal 1994 in poi, è stata svenduta pian piano, giorno dopo giorno, demolendo quella solenne dignità che le stanze del potere dovrebbero avere.
Tra leader che hanno utilizzato le camere per farsi osannare con ovazioni da stadio e movimenti politici che, tra scatolette di tonno, striscioni e magliette da cubiste, hanno trasformato le aule parlamentari nelle ultime file del torpedone che portava la IIIC in gita scolastica e tra una legiferazione umorale e mediocre, infine, che ha portato a difendere più interessi personali e di parte che quelli della collettività, le istituzioni non sono più viste con quel sacro rispetto che meriterebbero.
Non si è trattato dunque di un trionfo.
Le vicende elettorali di questi ultimi tre giorni piuttosto, quasi fosse un triduo pasquale, sono state la marcia funebre della deuxième et troisième République.
E per le buone sorti del paese c’è solo da sperare che all’orizzonte si comincino a scorgere i profili non di una quarta, ma di una nuova prima Repubblica, di cui l’Italia avrebbe davvero bisogno.
2 commenti
Meloni, “c’è poco da festeggiare e da stare contenti perché in giro ha evidentemente sparso solo delusioni”, il termine è corretto, ho sentito amici che hanno votato Meloni e scuotendo la testa mi dicono “non è cambiato nulla”.
Tutti si aspettano un aiuto dal cielo che non può venire per ovvie ragioni e che ha l’effetto di deprimere un poco tutti.
Un’ analisi perfetta.. io vivo in provincia e depotenziamento è ormai cosa certa e quasi accettata, purtroppo. Grazie e continuate così..