di Lidano Grassucci
I grandi amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: «Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?» Ma vi domandano: «Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?» Allora soltanto credono di conoscerlo.
Antoine de Saint-Exupery
Con i numeri puoi dire ogni cosa, ma anche celare ogni cosa. In America alla vigilia della crisi del ’29 il presidente Herbert Hoover sosteneva che la colpa dell’economia che andava male era della scarsa fiducia degli americani verso l’avvenire. Oggi nubi fosche si addensano all’orizzonte: guerre, nuovi grandi attori nei mercati, crisi sanitarie, nuovo protagonismo delle religioni, ma il modello Hoover resta. con l’idea che basta pensare positivo, la crisi è psicologica e c’è chi specula. Un approccio che scelgono i governi davanti a crisi che non sanno governare. L’atteggiamento del governo britannico di Boris Johnson nella prima fase della pandemia Covid. Vale per il caro carburanti in Italia dove la colpa è della speculazione, e un cartello con i prezzi evita l’assunzione di scelte.
Come se la volontà fosse capace di vincere la realtà, come se convincere basta per cambiare il corso delle cose. La narrazione è capace di cambiare il racconto. Non c’è il problema, c’è un brutto racconto dello stesso. Si cercano vie brevi per problemi complessi.
Per tornare all’esempio iniziale serviva Franklin Delano Roosevelt e un nuovo governo della crisi figlia di un approccio diverso all’economia, la crisi non aveva bisogno di Freud ma di Keynes. Così oggi ci sarebbe bisogno di una strategia economia, di una discussione economica. Seguire lo spread, sorprendersi delle performance positive dell’economia italiana è fotografare quel che c’è non immaginare quel che ci sarà. Il confronto economico è senza politica economica, anzi senza confronto.
Siamo tornati all’approccio di Hoover, con numeri che servono a sostenere la tesi psicologica.
La crisi demografica? Un dettaglio figlio della pigrizia generazionale. Le pensioni? Ci sono solo troppi vecchi, basta spostare l’età della “vecchiaia”. Non innoviamo più? Basta fare corsi di fantasia.
La cura? L’ottimismo.