Il 16 febbraio scorso è venuto a mancare il compagno Giorgio Ruffolo, uno dei padri della politica della programmazione in Italia. L’idea di pensare a riforme di struttura per consentire al paese di diventare più competitivo, più moderno e più giusto. L’idea di non pensare al governo del presente e alla regolazione del mercato ma ad un percorso coerente verso un futuro differente. Naturalmente semplifico, si introduceva un orizzonte temporale nuovo che potesse rendere possibili cose che apparivano assurde. In tanti criticarono questa idea considerandola utopistica, travolta al primo vento dalla forza stringente dei mercati.
Eppure quell’idea, nella sua stagione di azione, portò a “riforme” di struttura, portò a minare la dittatura del mercato con la creazione dell’Enel, a dare vita alla legge di bilancio, a portare il sistema Italia da una società industriale “per caso”, ad una potenza economica strutturata. Insomma non abbiamo realizzato l’utopia ma, pensandola, abbiamo cambiato l’esistente introducendo opportunità ed ascensore sociale.
Ruffolo quando parla della programmazione cita Rothschild, con l’esempio della partita di scacchi. I giocatori hanno una strategia di gioco, ma nel gioco l’adattano al mutare delle condizioni. Non sono le condizioni a determinare il percorso che resta nella razionalità degli obiettivi. La stagione della programmazione è tramontata in nome del suo contrario, il dominio del mercato con le sue iniquità, delle sue urgenze sempre stringenti, sempre senza alternative, sempre necessarie.
Se, e dico se, si prende un provvedimento spot, come il superbonus 110%, con l’orizzonte temporale di oggi, poi ti trovi domani a fare di conto e a chiudere tutto. Ma se quel provvedimento lo inserisci in scelte di tempo futuro, sulla rigenerazione urbana, sul recupero dei centri storici, sull’efficienza energetica che l’Europa stessa ci chiede, puoi argomentare anche in ragione della capacità dell’edilizia di coinvolgere imprese locali, con materie prime locali, essere moltiplicatore di sviluppo, ma devi avere le riforme di struttura: le regole territoriali. Le nostre città sono “vecchie”, le nostre città hanno centri storici vuoti. Un superbonus per tutti poteva essere un superbonus per i centri storici: riportare gente nei centri storici inibisce il bisogno di consumo di nuovo suolo; salva la nervatura delle identità locale.
I temi su questo sono invece: la contabilità, l’astuzia di chi arriva prima, l’incertezza oltre oggi, i vincoli europei e di fatto, se finisce tutto di botto, un vantaggio delle rendite. Non si fa un provvedimento per fare, non si mutano le regole in corsa e qui sono mutate in serie.
La programmazione nascondeva certo il rischio dell’utopia dei fini, ma oggi siamo alla dittatura dell’istante.
Programmare è fare gli ombrelli quando non piove per averli in caso di pioggia, correre a fare ombrelli sotto il temporale è la politica dell’istante. Non dobbiamo cambiare i condomini, ma le città.
Mancano i socialisti