Di Alessandro Palumbo
È morto il re viva il re, si dice quasi a significare che la morte sublima l’esistenza, cancellandone tutte le controversie per consegnare ai posteri e agli storici un giudizio obiettivo, scevro dalle emozioni della contemporaneità.
Ma questo non è sempre vero, i nostri tempi non hanno più questa forma elementare di rispetto, che non vuol dire dimenticare o santificare, ma semplicemente interrompere tutte le contumelie nella considerazione che il soggetto delle nostre passioni negative o positive che siano non è più, è rimesso a un giudizio superiore per chi crede o a quello della storia per noi laici.
I nostri sono tempi in cui l’astio, le frustrazioni, i rancori sono coltivati incessantemente per raggiungere la damnatio memoriae.
L’esempio più vicino è quello di Berlusconi ( quello per noi più doloroso rimane quello di Craxi che a più di 20 anni dalla morte si trascina ancora un residuo di scorie che intossicano la sinistra italiana).
Berlusconi è morto lasciando buona parte del Paese in lutto, ma trascinando una ondata di odio che rimane come una tossina difficile da curare.
Il giudizio sull’uomo è complesso, innovatore in edilizia, con insediamenti giardino che hanno consentito alle classi medie di avere case dignitose e che rappresentano sicuramente una sfida per chi ha riempito le nostre periferie di insediamenti pessimi e che ora ha in mente solo insediamenti per ricchi, innovatore nella comunicazione, ci ha liberato da un monopolio che metteva i calzettoni alle ballerine (qualcuno ricorderà Berlinguer contrario alla tv a colori perché troppo per noi italiani), innovatore nel calcio che ha trasformato in una industria spettacolo.
In politica il giudizio è più complesso, ha offerto una scialuppa a molti che erano stati marginalizzati, ha riunito Colletti, Vertone, Melograni, Lagostena Bassi, Della Valle, finendo poi per marginalizzarli e circondarsi di lacchè e profittatori, i suoi governi sono stati un fallimento in economia e nelle riforme più volte elencate, ma mai realizzate, i suggerimenti del suo avvocato Ghedini (parce sepulto) sono stati per il diritto e per la sua immagine un boomerang.
Ma questi sono giudizi che gli storici approfondiranno, quello che interessa ora è evidenziare come per una fetta importante della popolazione rimanga un delinquente, mafioso, addirittura uno stragista e questo malgrado sia stato per 30 anni sottoposto a indagini e processi come nessun altro cittadino, indagini che non sono mai approdate a nulla. Nella immediatezza della morte si sono subito organizzate manifestazioni contro i funerali di Stato, raccolte di firme e si è alimentata una propaganda contro la “santificazione”.
Ma quello che appare tra il ridicolo e lo sconcertante è che neanche la morte ha interrotto il lavoro dei PM. Processare un morto? Eh si. La Procura di Milano ricorre in Cassazione per chiedere l’annullamento della assoluzione per il caso Ruby (un caso che si trascina da 13 anni, tre-di-ci!), mentre la Procura di Firenze indaga per mafia sulle millanterie di Graviano e la famosa foto fantasma di Berlusconi con un capomafia.
È evidente che in assenza di chi non può difendersi le procure aspirano a scrivere loro la storia potendo finalmente lavorare senza contraddittorio.
Molte volte in teatro si sono visti piece che mettevano in scena processi a personaggi storici, ma ora dal teatro serio passiamo alla pochade, ma una pochade che non fa ridere.
È morto il re, viva il re.