Di Alessandro Palumbo
Leggo un titolone dei giornali : Lara Comi condannata a 4 anni e 2 mesi per lo scandalo “mensa dei poveri” e mi ricordo che 4 anni fa partì una inchiesta che coinvolse una cinquantina di imputati tra cui due giovani rampanti di Forza Italia, Pietro Tatarella e Fabio Altitonante, oltre al proprietario dei supermercati Tigros.
Il titolo è in grande evidenza con foto della eurodeputata, quello che non è invece in evidenza è una altra “piccola” notizia: nello stesso processo sono state assolte più di 50 persone tra cui Tatarella, Altitonante e il proprietario dei supermercati Tigros.
Evidentemente per i giornalisti non è una notizia da dare con rilievo, non importa che nel frattempo le carriere politiche degli assolti (per non aver commesso il fatto) sia finita, che gli stessi abbiano subito decine di articoli con tanto di foto in cui il Tribunale del popolo li condannava e che in questi 4 anni abbiano subito un lungo e doloroso linciaggio mediatico, la notizia della loro assoluzione insieme a quella di altri 50 non fa notizia, non fa vendere copie, non produce like.
Questa ennesima storia, ennesima perché di queste storie, note e meno note è piena la piccola cronaca giudiziaria, ci induce a riflessioni, che ahimè sono sempre le stesse, ma questa volta con alcune varianti.
In questa vicenda quello che mi preme sottolineare non è l’ennesima fuga in avanti dei pubblici ministeri che, come spesso accade, costruiscono inchieste non sulle prove, ma su teoremi che non trovano poi riscontro alcuno, ne il tempo che occorre per rendere giustizia, 4 anni che sono una eternità per chi è sotto processo, e neanche la tempistica sospetta che vede queste inchieste esplodere in occasione di appuntamenti elettorali, in questo caso le elezioni europee, alle quali, guarda caso, aspiravano i politici coinvolti, ma il ruolo della stampa e della informazione in generale e l’atteggiamento della politica.
Come scrisse molte anni fa Cafagna in un bel libro “la grande slavina” le pericolose storture nelle indagini che, cominciate con Tangentopoli, non si sono mai interrotte, sono state possibili grazie al comportamento della stampa e dei media in particolare, che hanno trasformato le inchieste in spettacolo, con un atteggiamento assolutamente prono ai pubblici ministeri, pubblicando le loro veline, rinunciando completamente al loro obbligo deontologico che li vuole come cronisti alla ricerca di notizie , ma anche di risconti e non come semplici aiutanti di campo delle procure.
A questo atteggiamento si è aggiunto il desiderio di protagonismo nella “purificazione” della società e a volte il servile desiderio di compiacere i proprietari (una volta si diceva i loro padroni) interessati a favorire movimenti di opinione solleticando i peggiori istinti della massa.
Questa distopia da anni caratterizza le cronache giudiziarie dei media che rendono spettacolari le inchieste, sempre più spesso caratterizzate da conferenze stampa che danno per scontato quello che ancora deve passare al vaglio del giudizio; giudizio che il più delle volte avviene dopo anni con disinteresse dei media.
La cronaca giudiziaria non vede più cronisti che fanno ricerche, che pongono domande o quesiti, che cercano per loro conto i fatti, che li analizzano con spirito critico, ma megafoni di una verità giudiziaria, che alla prova dei fatti si rivela spesso non veritiera e che in quel caso trova spazio in minuscoli trafiletti.
Viene da domandarsi che razza di informazione è quella che prende per oro colato le notizie ufficiali di una parte soltanto? Possibile che la fantasia dei cronisti si attivi solamente quando si tratta di cronaca rosa?
Ma anche la politica non fa una buona figura, le inchieste troppe volte finiscono per essere sfruttate dagli avversari politici o dagli stessi concorrenti interni come strumento di lotta politica o più prosaicamente per occupare il posto lasciato libero dai coinvolti dalle inchieste.
Anche in questo caso si è assistito a questo barbaro e stupido atteggiamento.
Se non si porrà mano alla riforma della giustizia non si porranno le condizioni per una riscoperta della correttezza nella informazione e nei comportamenti politici, la condanna a furor di stampa è una barbarie, come è incivile nascondere le assoluzioni e gli errori.
“….un magistrato non solo non deve rendere conto dei propri errori e pagarne il prezzo, ma qualunque errore commesso non sarà remora alla sua carriera….e credo sia questo un ordinamento solo e assolutamente italiano”
Leonardo Sciascia