Di Dorotea Occhiuzzi
Sempre più spesso, si ha la percezione di vivere in una società, in cui è sempre più flebile il riconoscimento dei diritti sociali e la garanzia della loro effettiva realizzazione. Partiamo innanzitutto da un loro inquadramento teorico-storico: i diritti sociali o anche denominati di seconda generazione, irrompono nella storia, all’ indomani della seconda guerra mondiale, contemplati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e ulteriormente incorporati negli Articoli da 22 a 27 della Dichiarazione universale e nella Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
La nostra Costituzione li colloca in una posizione di centralità, se non addirittura di supremazia rispetto allo Stato. Tale affermazione diventa ancor più chiara alla luce dell’art. 3 disponendo che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un articolo rivoluzionario, che va oltre il mero riconoscimento dell’eguaglianza formale con il principio della “pari dignità sociale” e dell’autorealizzazione dell’ individuo senza distinzione alcuna, e si spinge oltre, attribuendo alla Repubblica il compito di agire affinché gli ostacoli che impediscano l’attuazione di tale principio vengano rimossi. La Costituzione dunque, attribuisce al potere politico, non il mero compito di “guardiano” rispetto a quello che accade all’interno della società, ma ne attribuisce l’onere di rimuovere gli ostacoli materiali che impediscono la fruizione e la produzione dei diritti.
Ed a ben guardare la situazione attuale, sembra che i diritti sociali, quali il diritto all’ istruzione, il diritto alla sanità, il diritto al lavoro, all’ inclusione abbiano perso la loro forza dirompente, nonché il ruolo di centralità nella società attuale. Quella forza dirompente che gli era stata riconosciuta all’ indomani del trentennio glorioso fino agli anni 70, favorendo innumerevoli progressi economici, sociali e culturali che non si erano mai registrati prima, come ad per esempio l’aumento in maniera esponenziale del tasso di scolarizzazione, la mobilità sociale, così come il riconoscimento di un modello in cui la sanità e l’ istruzione fossero riconosciute a tutti. Poi a partire dagli anni 90 a seguire, questa forza dirompente comincia a subire una battuta d’ arresto, giungendo alla stagnazione e poi alla recessione negli anni successivi, determinata dai tagli alle spese sociali e dalla demolizione dell’intero diritto del lavoro che ha provocato l’aumento della disoccupazione riducendone la produttività. Ma anche la scuola, l’università, la ricerca come il sistema sanitario non hanno ricevuto i giusti investimenti. La garanzia dei diritti sociali dunque, ha lasciato lo spazio alla crisi della democrazia e dell’economia, e mai come in questo particolare periodo storico, dove si promuove l’autonomia differenziata, viene fatto un ulteriore passo verso le diseguaglianze, verso la frammentazione del nostro Paese, decidendo di garantire i diritti ai cittadini in base al territorio di appartenenza. Uno scenario del genere, non fa altro che provocare uno stato di diseguaglianza economica e materiale distruttiva della democrazia, incidendo sull’ effettività dei diritti di libertà e operando come fattore di disgregazione e di rottura della coesione e della solidarietà sociale, determinando il venir meno della solidarietà, e con essa del senso di unità e di appartenenza a una medesima comunità.
Ciò si pone in totale antitesi con quello che dovrebbe fare la politica, ossia difendere la democrazia promuovendo l’eguaglianza sostanziale, inteso come principio dinamico, volto alla costruzione di un nuovo modello politico, giuridico, sociale ed economico, affidato non solo alla crescita economica, quanto piuttosto alla redistribuzione della ricchezza mediante una seria progressività del prelievo fiscale e la garanzia dei diritti sociali.
E’ necessaria, dunque, la consapevolezza, che bisogna ricostruire uno stato di benessere per i cittadini, favorirne la sicurezza, e soprattutto porre l’attenzione su settori troppo spesso dimenticati, come educazione, ricerca, cultura, sanità, sostenibilità ambientale. Solo in tal modo “i diritti sociali” riprenderanno il loro ruolo di centralità nella nostra società, favorendone la crescita, e soprattutto favorendo il pieno sviluppo della persona umana senza più distinzione alcuna.
1 commento
Grazie per questo intervento.. è socialismo. Il nostro Pertini lo definiva “libertà e giustizia sociale indissolubilmente unite”. Sappiamo quanto sia fondamentale la libertà, che senza la giustizia sociale però, diventa una “conquista vana”. Grazie ancora.