Ormai manca poco. Tra poche ore poco più di 6 milioni di italiani si recheranno al voto per eleggere il loro sindaco.
Domani 14 e lunedi 15 maggio (in Sicilia e Sardegna si vota il 28 e 29, in Trentino e Valle d’Aosta il 21) si voterà in 790 comuni di cui 13 capoluoghi di provincia (Ancona, Brescia, Brindisi, Imperia, Latina, Massa, Pisa, Siena, Sondrio, Teramo, Terni, Treviso e Vicenza).
L’eventuale turno di ballottaggio è previsto nei giorni di domenica 28 e lunedì 29 maggio (Trentino e Valle d’Aosta il 4 giugno, Sicilia e Sardegna l’11 e 12 giugno).
Per quanto riguarda i capoluoghi il bilancio è attualmente a favore del centrodestra (ne governa 7 e 5 restano al centrosinistra), con l’eccezione di Latina che è retta da un commissario prefettizio.
Il convitato di pietra di questo banchetto elettorale (quasi di medio-termine) è l’astensionismo in drammatica crescita nelle ultime consultazioni regionali di Lazio e Lombardia. Nel 2022, alle amministrative, votarono solo il 54% degli aventi diritto un dato allarmante che fece presagire il disastro delle successive regionali.
Quanto alle alleanze Pd e M5S sono insieme a Latina, Pisa, Brindisi e Teram, quindi in 4 capoluoghi, mentre Azione e Italia Viva in 6 (Brescia, Vicenza, Ancona, Pisa, Treviso, Brindisi).
Dall’altra parte della barricata compattezza ovunque tranne che a Massa dove Fdi e Lega vanno separati con due candidati diversi.
Ovviamente il centrodestra conta di mantenere le città dove governa e di conquistare quelle con la bandiera avversaria e viceversa.
Ma se dovesse vincere ancora l’astensionismo, “lo stare a casa”, saranno lacrime amare per tutti.
Per la destra significherà che il nuovo corso di governo della Meloni non ha fatto breccia; per la Schlein significherà che a quella ventata di rinnovamento, rappresentata dalla sua elezione a segretaria dem, non ha creduto nessuno; per gli altri, Conte e Terzo Polo, significherà che il loro sbracciarsi nel dibattito politico non è altro che una “vox clamans in deserto”.
E allora sarà indifferente se vincerà Silvetti o Simonella ad Ancona, o Marchionna a Brindisi.
Saranno figli di minoranze, che per legge valgono per eleggere ma politicamente ed eticamente non valgono niente e, anche se alla chiusura delle urne gli eletti dai palchi dei comizi proclameranno “sarò il Sindaco di tutti” (frase simbolo della retorica delle comunali), saranno sindaci del nulla, di nessuno e di niente.
Perché hai voglia a parlare, ma la vera impresa sarà andare a riconquistare quegli italiani che si sono allontanati, quei quasi 50 milioni di abitanti che vivono nei borghi e all’ombra dei campanili delle valli alpine e appenniniche o nella basse delle nostre pianure. Quell’Italia di mezzo svuotata di tutto, pure della gioia di vivere alla quale, da decenni ormai, nessuno dà più ascolto e della quale nessuno si occupa e preoccupa.
Con buona pace della Meloni e del suo nuovo corso di governo e della Schlein e dei suoi colori arcobaleno.
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Massimo Carugno
Vice Direttore. Nato nel 1956, studi classici e poi laurea in giurisprudenza, oggi è avvocato nella sua città, patria di Ovidio e Capograssi: Sulmona. Da bambino, al seguito del padre ingegnere, ha vissuto, dall’età di 6 sino ai 12 anni, in Africa, tra Senegal, Congo, Ruanda, Burundi, rimanendo anche coinvolto nelle drammatiche vicende della rivolta del Kivu del 1967. Da pochissimi anni ha iniziato a cimentarsi nell’arte della letteratura ed ha già pubblicato due romanzi: “La Foglia d’autunno” e “L’ombra dell’ultimo manto”. È anche opinionista del Riformista, di Mondoperaio e del Nuovo giornale nazionale. Impegnato in politica è attualmente membro del movimento Socialista Liberale.