Di Fabrizio Montanari
Edmondo De Amicis intrattenne sempre ottimi rapporti con Camillo Prampolini e i socialisti reggiani. L’amicizia con Prampolini risaliva al 1891, quando lo scrittore gli aveva inviato una lettera nella quale si dichiarava socialista. Fra i due scattò immediatamente l’ammirazione e la stima reciproca.
L’impressione ricavata dallo scrittore alla vista di quell’uomo apparentemente fragile, ma in realtà deciso a realizzare i suoi ideali di giustizia sociale, si rivelò folgorante. De Amicis vide subito in Prampolini la saggezza, la forza e la fede di un Messia, che traccia la strada a un numero sempre maggiore di discepoli.
De Amicis nacque a Oneglia nel 1846, rimasto presto orfano del padre Francesco, si accostò al socialismo grazie alla rivista Cuore e critica del repubblicano Angelo Ghisleri e all’amicizia con Filippo Turati, direttore di Critica sociale.
Di famiglia benestante, dapprima cercò la personale realizzazione nella vita militare, raggiungendo il grado di sottotenente, per poi identificarsi negli ideali internazionalisti, pacifisti e socialisti. L’interesse per i problemi sociali trova traccia nelle sue opere successive a tale scelta e che segnarono il superamento dello spirito nazionalistico presente nel suo libro di maggiore successo, Cuore.
Nel corso della sua vita fu giornalista militare, scrisse libri, saggi e articoli per diversi giornali: La Nazione, Il Grido del popolo, La parola dei poveri e Per l’idea.
Turati definì il suo “socialismo spirituale”, arricchito da una autentica vocazione pedagogica. Raccomandò inoltre più volte ai compagni la lettura delle sue tante opere: Il romanzo d’un maestro, La maestrina degli operai, Amore e ginnastica, La carrozza di tutti e la raccolta dei suoi scritti su Il Grido del popolo, conosciuta come Questione sociale.
Nel 1898 venne eletto alla Camera con 1.098 voti di preferenza, carica dalla quale presto si dimise per le difficili condizioni familiari: morte del padre, della madre, incomprensioni con la moglie, suicidio del figlio Furio. Membro dell’Accademia della Crusca e del Consiglio superiore dell’istruzione, De Amicis fu certamente uno degli scrittori più amati dell’Italia post unificazione.
L’11 marzo 1908 in una camera dell’Hotel Regina di Bordighera, morì improvvisamente per emorragia celebrale. Il suo corpo fu tumulato, come da sua volontà, nella tomba di famiglia a Torino, città dove da tempo si era stabilito.
Turati, profondamente commosso, lo ricordò alla Camera con queste parole: “La sua venuta nel nostro partito sta a provare che la lotta di classe, così ingiustamente definita come eccitazione all’odio, non è soltanto l’arida formula immaginata da Marx, ma anche qualcosa di più, cioè l’ispirazione benefica verso il più luminoso ideale…i suoi scritti fecero per la cultura dei moltissimi più che non facciano centomila scuole nei comuni d’Italia. […] Egli fu un educatore del gusto, un seminatore solerte di quella sana e profonda filosofia della vita che è fatta di un vivace umorismo temperato dal pianto”.
La scomparsa di De Amicis sconvolse profondamente i socialisti reggiani. Prampolini apparve addolorato e molto provato dalla notizia. La Giustizia gli dedicò tutta la prima pagina del 12 marzo e il 14 dello stesso mese pubblicò un ricordo di Turati. Il 5 aprile, su invito della Camera del lavoro, l’on Savino Varazzani tenne al Teatro Municipale una riuscitissima conferenza su “De Amicis letterato e socialista”.
Zibordi scrisse che De Amicis seppe dare “prima il senso della bontà e del dovere e poi della solidarietà e giustizia e sempre della tolleranza e del compatimento reciproco. […] De Amicis socialista fu concorde col programma puro e tradizionale, evoluzionista e positivo di Prampolini e di Turati, dell’umile e profonda Giustizietta settimanale, e dell’alta e severa Critica sociale.
A riprova della considerazione sempre provata dai socialisti reggiani nei confronti dell’uomo e dello scrittore piemontese d’adozione, e come testimonianza della riconoscenza, dell’affetto e della incondizionata fiducia da questi provata nei confronti di Camillo Prampolini, in occasione della campagna elettorale del 1909, venne riprodotta la sua splendida lettera-ritratto dedicata a Prampolini, inviata ai socialisti reggiani nel 1905.
Tale lettera resta non solo un’importante testimonianza di ammirazione e di stima dello scrittore nei confronti del padre del socialismo reggiano, ma chiarisce perfettamente come Prampolini fosse percepito dai compagni di partito ed anche dai suoi avversari politici.
“Camillo Prampolini, già prima che io lo conoscessi di persona, m’inspirava una viva simpatia. Perché la simpatia si mutasse in affetto, mi bastò di vederlo; perché l’affetto diventasse fraterno, mi bastò un’ora di conversazione con lui.
In lui, benché da più anni combattente, mi parve di vedere impersonato quel primo periodo felice dei nuovi convertiti alla fede socialista, durante il quale la pietà delle miserie sociali, il sentimento della fraternità umana, la coscienza purificata da un nobile intento, posto fuori da ogni interesse proprio, e la visione confortatrice d’un avvenire luminoso, non ancor turbata dai disinganni e dalle asprezze delle lotte, danno all’anima una serenità quasi religiosa e la tengono come sollevata al sopra d’ogni meschinità e tristizia della vita comune.
E come potrebbe aver dubbi nella fede e odi nella lotta chi è così fatto d’animo e di cuore che se tutti gli uomini gli somigliassero non sarebbe un sogno, ma un fatto quella società d’uguaglianza, di giustizia e di pace, che è l’ideale del socialismo?
Perché del suo popolo come un padre parla dei suoi figliuoli; ragionò delle speranze comuni, e mi parve un credente che parlasse della vita futura; accennò dell’opera propria, e non lasciò trasparire altro sentimento del rammarico della propria insufficienza; discorse dei nemici, e fu più che equo, benevolo.
E nel suo viso aperto e buono, nel suo accento dolce e vigoroso vidi e sentii tutta l’anima sua: un’anima pronta sempre e subito e lietamente a qualunque sacrificio, anche al sacrificio supremo, per il trionfo dell’idea santa che la illumina e la infiamma.
E pensai: -Se un giorno vacillasse la mia fede, saprei a chi ricorrere; cercherei Prampolini; gli confesserei i miei dubbi e i miei timori, e gli direi: -Parla tornerò a credere- ed egli penserebbe, ed io vedrei un’altra volta splendere il sole”
Febbraio 1905
1 commento
Bellissimo.. grazie ” di cuore”!!!