In Italia mancano all’appello 30.000 medici e 250.000 infermieri. Questo il dato che emerge dal 18° Rapporto Ufficiale presentato due giorni fa dal Centro per la ricerca economica applicata alla Sanità.
Il rapporto del CREA, organismo indipendente dell’Università di Roma Tor Vergata, spiega che se si volesse colmare questo terribile gap sarebbe necessario aumentare la spesa corrente del SSN di 30,5 miliardi di euro. “Malgrado le immissioni di personale – vi si legge – l’Italia continua a disporre di un numero di infermieri rispetto alla popolazione notevolmente inferiore agli altri Paesi europei: 5,7 infermieri per 1.000 abitanti in Italia, contro i 9,4 della media di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Per quanto concerne i medici, l’Italia ne risulta avere 3,9 ogni 1.000 abitanti, contro i 3,8 dei Paesi europei di riferimento”.
Passando ai conti, il CREA calcola che per sviluppare il territorio secondo il PNRR servono tra i 40mila e gli 80mila infermieri, ma trovarli oggi è difficile: l’attrattività della professione è bassa, e solo l’1% degli studenti sceglie questo corso di laurea, contro una media del 3% negli altri paesi UE. Molti i fattori che dissuadono i ragazzi dall’intraprendere questa professione: la retribuzione, che è il 40% inferiore rispetto alla media europea, nonostante l’enorme mole di lavoro a cui sono sottoposti gli infermieri, saltata agli aocchi di tutti con la pandemia; pochi posti messi a bando nelle università per la laurea in infermieristica, tra i più bassi nelle posizioni dei Paesi OCSE; pressochè inesistenti possibilità di carriera. E questa carenza non si colma nemmeno con infermieri provenienti dall’estero: nel nostro Paese questa specifica forza lavoro si ferma al 4,8% contro il 25,9% della Svizzera o il 15,4% del Regno Unito e l’8,9% della Germania.
«Il Rapporto conferma l’allarme che da tempo stiamo lanciando – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi – Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche – e ne avvalora le soluzioni che abbiamo già proposto. Per aumentare l’attrattività della professione si deve prevedere nei LEA (livelli essenziali di assistenza) la branca specialistica assistenziale per uniformare le prestazioni a livello regionale e nazionale; deve essere valorizzata la formazione infermieristica negli atenei, con l’istituzione di lauree magistrali a indirizzo clinico e apposite scuole di specializzazione; va riconosciuta la specificità del ruolo svolto dagli infermieri professionisti nelle organizzazioni sanitarie, con migliori remunerazioni». «È necessario – sostiene ancora Mangiacavalli – superare il vincolo di esclusività per consentire una modalità di lavoro più agile agli infermieri dipendenti, che sono la maggioranza di quelli attivi nel nostro paese. Cosa questa che in altri Paesi UE già avviene da tempo».
«È necessario raggiungere almeno il 7,5% di valore della spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL, considerato che la media dei Paesi OCSE è 7,2%. Senza ulteriori risorse il sistema sarà presto incapace di garantire servizi e prestazioni adeguati, puntuali e di qualità. Il rischio è concreto, perchè al finanziamento della sanità pubblica mancano 50 miliardi di euro per raggiungere i valori degli altri Paesi UE, rispetto ai quali la spesa sanitaria italiana registra, nel 2021, una forbice del -38% circa (75,6% della spesa contro una media europea dell’82,9%) – afferma Barbara Cittadini, Presidente nazionale di AIOP – Associazione italiana ospedalità privata – Da anni l’agenda politica italiana trascura la sanità, con ridimensionamenti del personale e scelte programmatiche errate, in un generale impoverimento degli asset del sistema sanitario di cui oggi tutti paghiamo le conseguenze. Senza risposte adeguate alla domanda di salute della popolazione, con investimenti in progettualità, strutture, tecnologia e risorse umane, si dovrà passare al cosiddetto universalismo selettivo, che privilegia l’accesso dei più fragili, con un grave impatto sull’equità del sistema sanitario».
Secondo Cittadini «per garantire una risposta puntuale alla domanda di salute della popolazione bisogna risolvere criticità improcrastinabili e drammatiche per i cittadini, quali liste di attesa, mobilità passiva non fisiologica e rinuncia alle cure, per avviare poi un radicale intervento sull’intero sistema del welfare sociosanitario italiano, e segnatamente con nuovi standard organizzativi e strutturali, il totale aggiornamento delle tariffe e la vera tutela degli operatori”.