di Alessandro Palumbo
è una città di frontiera, cantava Ivano Fossati negli anni 80. Così è sempre stato, città di frontiera tra l’Europa e il resto dell’Italia. Una città che ha attraversato periodi differenti ma che ha sempre caratterizzato la storia italiana.
La Milano della ricostruzione postbellica, che rappresentava la voglia di rinascere dell’intero Paese.
La Milano della grande immigrazione, con le case popolari e le fabbriche, che aveva il volto del processo di industrializzazione del Paese.
La Milano degli anni 70, cupa, grigia, insanguinata dalle bombe e dai delitti. Una città impaurita che rappresentava una Italia in ginocchio, ma poi la Milano della rinascita, Milano da bere la chiamano con una certa superiorità gli intellettuali a la page. Ma quelli della mia generazione che hanno conosciuto e visto gli anni 70, la città spettrale, silenziosa e impaurita di quel periodo, sanno che gli anni 80 sono stati anni meravigliosi, anni di ricchezza, non solo materiale, ma culturale, scientifica, anni di gioia, anni colorati, in cui la speranza aveva il volto di una Milano che si sviluppava, una Milano di investimenti, dove ognuno poteva pensare di vivere, lavorare e crescere.
Poi è tornato il buio, il buio di Tangentopoli, l’arresto di una intera classe dirigente, una città messa alla berlina, che si fermava e con lei il Paese.
Specchio di una isteria collettiva costruita sulle macerie di una classe politica incapace di leggere i grandi cambiamenti geopolitici e circondata da lacchè e profittatori (perchè se la violenza dei magistrati è indubbia è anche vero che il livello di cialtroneria di chi viveva parassitariamente alle spalle della politica era esponenziale).
Con Tangentopoli non solo Milano, ma l’intero Paese entrava in quella che pomposamente è chiamata Seconda Repubblica, un momento di degrado civile ed economico.
Così è arrivata la giunta leghista che ha fermato la città, ne ha bloccato ogni in iniziativa trattandola come un paesotto, e poi le giunte di un Sindaco che diceva di essere un amministratore di condominio, con una città che cresceva ma non si sviluppava.
Ora Milano cosa è? Cosa rappresenta per il Paese? Un traino? Un punto di riferimento? Un danno come un alto dirigente del PD l’ha definita?
Cercare di capire cosa sta succedendo ci può aiutare a capire l’evoluzione del Paese?
La vulgata ci dice che Milano è una città attrattiva, di mille iniziative, alla avanguardia sul fronte culturale, politico, una città multietnica ed ecologica.
Ma è realmente così?
Purtroppo Milano rappresenta si un punto di riferimento, ma per quel fenomeno che è definito gentrification.
Lo sviluppo immobiliare è in mano a grossi investitori per lo più esteri, cosa che in se non rappresenta un male se ci fosse una pianificazione urbanistica e territoriale, in una parola ci fosse una politica a guidare gli investimenti e non solo la volontà speculativa. La cancellazione dei quartieri popolari di Isola e della zona Nord di Milano ha visto l’insediamento di favolosi interventi di pregio architettonico che hanno fatto lievitare i prezzi a cifre stratosferiche. Oggi queste zone sono proibitive per chi non sia un magnate o un comunista con rolex. La politica immobiliare in mano a speculatori ha fatto si che comprare un appartamento di 90 mq in zone periferiche possa costare anche 7/800.000 euro con una edilizia popolare ferma , con gli affitti, in una città che si dichiara attrattiva, per la stessa metratura, che arrivano anche a 2000 euro mensili.
Da qui il fenomeno della gentrification che rappresenta l’espulsione non solo dei ceti popolari, ma anche della classe media che si sposta sempre più in hinterland, che conseguentemente sta crescendo di prezzo, causando una spirale dei prezzi in alto e favorendo una rendita edilizia parassitaria.
Abbiamo già detto di una edilizia popolare ferma, che ha creato aree di degrado periferico con abitazioni dove è alta la percentuale di occupazioni e di morosità, con conseguente situazione di manutenzione azzerata. Abbiamo quindi una città con un’area centrale di estremo lusso o adibita a soli uffici con un contorno periferico malandato.
La grande questione del nuovo stadio con relativo abbattimento del vecchio Meazza è l’ennesimo esempio di pianificazione urbanistica lasciata ai privati con la creazione di una altra area di grande pregio (operazione al momento in stand by grazie alla mobilitazione dei comitati di quartiere).
Questo fenomeno ha creato molti impatti sulla mobilità. Ogni giorno 700.000 persone usano il treno per entrare a Milano, con un servizio al limite delle possibilità infrastrutturali, senza contare le migliaia di autovetture che ogni giorno entrano in città creando ingorghi e inquinamento (nella totale assenza della vigilanza urbana)-
L’assenza della città metropolitana in ogni scelta di politica dei trasporti e della pianificazione urbanistica (posizionamento dei servizi, delle grandi strutture sanitarie etc.) è un altro dei problemi di una città che continua a pensarsi ancora nei confini della vecchia città amministrativa.
Se questa è attrattività possiamo anche capire cosa vuol dire multietnicità, centinaia di locali esotici e migliaia di persone che alloggiano sotto i ponti della ferrovia, che bivaccano nei dintorni della Stazione Centrale, migliaia di persone in coda al Pane Quotidiano o all’Opera San Francesco (e qui la vera multietnicità che comprende anche molti italiani).
La risposta del Comune è un arroccamento, si stanno realizzando ulteriori linee metropolitane, con gli stessi limiti di una pianificazione locale, nel frattempo si blocca l’ingresso in città, si vogliono porre balzelli per l’ingresso in città estendendo il pagamento non solo nelle aree centrali, ma in tutto il territorio cittadino e si vogliono porre a pagamento tutti gli spazi cittadini, anche nelle zone più periferiche e degradate della città per il parcheggio delle autovetture (dove sono i parcheggi sotterranei?).
Si dirà che sono gli stessi problemi di tutte le grandi città e che Milano sta solo anticipando quello che avverrà. Forse è cosi, ma non è forse compito della politica intervenire perché le scelte non siano così penalizzanti e esclusive (altro che inclusività), abbiamo davanti le piazze francesi e britanniche che bruciano, con la classe media che impoverita scende in piazza con violenza, vogliamo arrivare a questo? Non è forse il caso che Milano cominci a ragionare e a pianificare interventi a livello metropolitano perché la sostenibilità sia anche sociale ed economica Tornando ad essere un modello positivo per il nostro futuro? Dimenticavo, da più di 12 anni Milano è amministrata dalla sinistra, qualche domanda ce la vogliamo porre ?
Alessandro Palumbo