di Lorenzo Muratore
I rapporti tra crisi ed agire sociale aprono un campo vastissimo di analisi dei fenomeni ed anche di riflessione teorica, nelle scienze sociali e in sociologia, dagli albori di tali discipline e fino ad oggi, negli anni della globalizzazione. Io intendo riferirmi al filone di studi, che inizia con le riflessioni weberiane sulla crisi dei valori e sul politeismo moderno che giunge a noi, nell’ambito degli studi sul cosiddetto individualismo maturo o compiuto. Il punto di partenza del ragionamento non può che evidenziare l’elevata problematicità del rapporto tra l’agire umano e la crisi, intendendo quest’ultima come il frutto della tensione tra conflitto, principi e valori di riferimento, scelta. In questa prospettiva, il pluralismo ed il politeismo moderni rappresentano un’indubbia conquista, perché liberano l’attore sociale dall’imposizione autoritaria e monolitica dei valori del passato, ma, contemporaneamente, producono un’altrettanto indubbia sofferenza, perché, come scriveva Weber, «chi sta nel ‘mondo’ (nel senso cristiano) non può sperimentare in sé nient’altro che la lotta tra una pluralità di serie di valori, ognuna delle quali, di per sé considerata, risulta vincolante. Egli deve scegliere quali di questi dèi vuole e deve servire, oppure quando l’uno e quando l’altro». I valori non costituiscono infatti un mondo trascendente dotato di un’interna connessione necessaria, ma si organizzano in una molteplicità di sfere in lotta reciproca. Il valore non sussiste perciò più indipendentemente dalla scelta che lo assume come criterio direttivo di un atteggiamento dell’uomo, ma sussiste soltanto in relazione a una scelta».Quindi, è la scelta che ‘fa’ il valore e non viceversa, perché i valori prima dominanti e poi meno seguiti progressivamente tramontano, e a volte scompaiono del tutto dall’orizzonte sociale o, peggio, diventano addirittura disvalori, mentre altri più seguiti si diffondono gradualmente o velocemente, fino a dare origine in diversi casi ai modelli di condotta prevalenti. La scelta, inoltre, rappresenta anche la categoria fondante della scienza e della politica. Anzi, proprio la politica è il campo privilegiato delle scelte di portata collettiva, quindi non è solo il luogo in cui si determinano i rapporti di forza e di dominio, ma la politica è soprattutto il luogo della lotta tra i valori, anzi è proprio il successo o l’insuccesso in questa lotta a decidere sugli equilibri del potere e sui legittimi detentori della forza coercitiva.
Per questi motivi, all’uomo politico si addice l’etica della responsabilità più che quella delle intenzioni, perché quest’ultima tende inevitabilmente a separare, in nome di rigide convinzioni, il dato attuale dalla storia o viceversa, assolutizzando ora l’uno ora l’altro dei due aspetti, mentre la responsabilità concreta della scelta consiste appunto nella fatica, priva delle certezze del passato e delle gabbie ideologiche moderne, di legare incessantemente la situazione oggettiva a un compito, a una causa: quale sia questa causa è «questione di fede», e su questo confine lo studioso deve necessariamente fermarsi, e lasciare il campo alla fattualità e alla creatività dell’azione sociale e politica. Il peso crescente dell’individualismo come orizzonte culturale e normativo privilegiato della vita sociale e politica contemporanea, con le sue basi politiche (diritti di cittadinanza), economiche (libertà di mercato e di consumo), sociali (mobilità, istruzione, nuove opportunità di vita e di relazione), culturali (autorealizzazione, emancipazione, secolarizzazione) e il contemporaneo indebolimento di tutte le comunità tradizionali e della capacità delle istituzioni a queste collegate di orientare normativamente l’agire umano, è il motore che ha invertito, gradualmente ma incessantemente e inesorabilmente, il rapporto tra scelta e valore.