E così, quasi d’un tratto, come se tutto quello di cui s’è parlato, e abbiamo scritto, fossero fiumi di caratteri buttati su un foglio a caso da stracciare nel cestino, sul caso Cospito il governo si rimangia tutto quello che invece favoleggia quando affida a Nordio la riforma della giustizia.
Il garantismo scompare con un bibidibobidibum e la faccia umana della giustizia penale diventa una maschera grottesca. Roba che quelle che mettono per il capodanno cinese, a confronto, sembrano una delicatezza sul volto come quelle sottili e sexy dei film di Tinto Brass.
Cospito è in carcere da 10 anni per la gambizzazione, nel 2012, dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi.
Mentre era in carcere è stato anche accusato di aver apposto, nel 2006, due ordigni all’interno di due cassonetti all’ingresso della scuola Carabinieri di Fossano. E per questo la Cassazione, che ha ritenuto si trattasse di strage contro la sicurezza dello Stato, lo ha condannato all’ergastolo ostativo.
Ristretto al 41 bis è, da oltre tre mesi, in sciopero della fame e in condizioni di salute gravi.
Il dossier arriva sul tavolo del governo mentre in Italia, e all’estero, si moltiplicano le proteste del mondo del pensiero e della cultura e dagli ambienti anarchici si contesta con manifestazioni violente e intimidatorie.
In queste ore è stato trasferito al carcere Opera di Milano, dove potrà essere ricoverato se le sue condizioni dovessero precipitare.
Ma il suo sciopero proseguirà a oltranza perché Cospito non ha nessuna intenzione di accettare cibo.
La sua è una protesta non per se stesso ma contro il regime del carcere duro.
Sembra di vivere un tuffo nel passato quando Gaetano Bresci assassinò Umberto I per vendicare le cannonate che Bava Beccaris ordinò contro la gente umile che protestava a Milano per la fame e l’aumento del prezzo del pane. O come quando nel 1921, con un ordigno apposto al teatro Diana di Milano, furono uccise 20 persone e ferite 80 per protesta per la incarcerazione di Errico Malatesta, Armano Borghi e Corrado Quaglino, all’epoca i leader del movimento anarchico.
E sembra soprattutto di essere nel passato per il pugno duro che il governo sbatte sul tavolo, risoluto nel diniego a qualunque cedimento alle richieste come fu risoluta le repressione di Bava Beccaris contro la povera gente o come furono risoluti i governi dei primi del Novecento nel perseguire le posizioni anti-interventiste della sinistra anarchica.
Allora, come oggi, si leggeva una smania quasi ossessiva di dimostrare che “Lo stato non cede”, una frase quasi urlata.
Indubbiamente non siamo alla cannonate ma l’approccio mentale è lo stesso.
Come dire: “non farò mai una cosa che voi chiedete con la protesta o con la forza”.
Una risolutezza che ricorda ahimé quella dei democristiani e dei comunisti determinati, nella vicenda Moro, a non trattare con le BR per la liberazione del leader scudocrociato.
E non fu un caso che Craxi rimase da solo, e isolato, nel sostenere con insistenza le ragioni di una trattativa con i terroristi rossi.
Tale profonda diversità di posizioni fu, all’epoca, il segnale marcato della totale diversità tra la cultura socialista e quella comunista e della grande affinità di quest’ultima con quella cattolica popolare. Una affinità che, non a caso, in queste stagioni della politica sembra abbia trovato la sua sublimazione.
Il non ascoltare, il non trattare è un rigore integralista che non appartiene al pensiero socialista e riformista ma non appartiene neanche al buon senso.
Perché lo Stato non dovrebbe cedere, di fronte a un fatto umano o anche di fronte a delle ragioni che hanno la loro fondatezza anche se provengono da un detenuto?
Perché da parte di chi governa non si dovrebbero soppesare argomenti, da chiunque vengano, per verificarne le ragioni e la fondatezza?
Nella vicenda in questione Cospito non ha tutti i torti.
Ha i torti di aver utilizzato metodi violenti, che un vero riformista rifugge e respinge sempre, e per tali metodi sta pagando e deve pagare. Ma il problema non è se deve espiare le sue colpe ma come deve pagare il suo dazio alla giustizia.
Forse bisognerebbe ricordare alla Meloni e a Nordio che il cosiddetto carcere duro non nasce con finalità repressive e per impartire punizioni esemplari.
Il 41 bis è stato concepito solo e soltanto per ragioni di sicurezza: non permettere al capo, mediante l’isolamento, di dare ordini alla propria organizzazione, che evidentemente continua a operare in libertà, e di continuare a dirigere l’attività criminale.
Vi sembra il caso di Cospito?
Prima ancora delle condizioni di salute, che già da sole dovrebbero indurre di corsa a un ridimensionamento delle misure, è proprio su questo tema che ci si aspetta che al governo ragionino, specie da parte di Nordio.
Perché se ci sono delle ragioni vanno valutate e anche accolte.
Il garantismo non si ferma alla sentenza, come dice la Meloni, ma prosegue anche oltre e in special modo quando si parla di detenuti. Perché a chi è condannato non bisogna infliggere una pena esageratemente repressiva per renderla esemplare ma una pena giusta.
E per favore non mi liquidate con la banale accusa che i garantisti vogliono assicurare l’impunità ai delinquenti.
In una paese in cui regna la civiltà giuridica, e politica, il garantismo vuol garantire (ci si perdoni la tautologia) il rispetto e l’applicazione delle regole processuali prima che sostanziali.
Ma c’è anche un’altra cosa sulla quale, dalle parti di Palazzo Chigi, dovrebbero ragionare.
Il rigore, l’intransigenza, la repressione, generano martiri e i martiri accrescono e rafforzano chi protesta e contesta. E chi protesta e contesta non sempre è un eversivo che merita l’inferno, spesso sono persone che vivono disagi.
La storia non ricorda Bava Beccaris come un eroe, ma come un carnefice.
4 commenti
Ottimo, mi trovi perfettamente d’accordo, ma qui lo scontro non è sulla sostanza, sulla giustizia e sul 41bis; lo scontro è squisitamente politico. La destra al governo ha un’occasione d’oro per radicalizzare le posizioni e più gli anarchici protesteranno (speriamo senza fare danni gravi) più questa destra tutta dio, patria e famiglia, potrà invocare il ‘pugno duro’ e accusare chiunque si opponga e tenti di ragionare, di essere dalla parte dei ‘terroristi’ e soprattutto non lascerà molto spazio per parlare di cose altrettanto serie, ma che interessano l’intero Paese:
l’evasione fiscale, l’iniquità dei contratti di lavoro, la sanità pubblica in disfacimento così come l’istruzione pubblica, la politica estera appiattita sull’ala oltranzista della Nato (come ieri D’Alema sull’ex Jugoslavia la Meloni oggi deve fare la prima della classe per fare dimenticare il sovranismo filo Putin di ieri).
Dunque per Meloni e Salvini, uno, cento, mille Cospito.
E’ difficile dire, nel caso, cosa sia giusto. A parte il Governo, credo che sia la Magistratura a dover dirimere, codici alla mano, la questione. Non sono un buonista, che accondiscente per le opportunita’ politiche. Amo il diritto e la giustizia, quella giusta. Vedremo ma, in ogni caso, condanno la violenza, spesso strumentale e non dovuta al disagio apparente.
Compito non e’ un eroe, ma un paese civile non rende il carcere luogo di morte.Giusta la partecipazione di Bobo Craxi alla manifestazione di Nessuno tocchi Caino perche’ si faccia di tutto perche’ Cospito non muoia .I Socialisti sono per la Giustizia, perche’ la pena redime e rieduchi Prima di yutto la Civilta’
Vedendo le immagini dell’arresto soft e senza manette di Messina Denaro è invitabile paragonare le due vicende. Il boss stragista accompagnato in una passerella tipo red carpet dai carabinieri (tra cui, con accurata regia, in bella evidenza una carabiniera) e l’accanimento contro Cospito. La memoria mi suggerisce anche la sproporzionata durezza verso Massimo Bossetti l’assassino (?) della giovanissima Yara Gambirasio, circondato da agenti con un dispiego di forze tale che sembrava avessero preso El Chapo. Hai ragione, il martirio dell’anarchico è da sventare assolutamente, almeno per salvare quel residuale senso di fiducia nello Stato e nella magistratura che troppi italiani ammettono apertamente di aver smarrito alcuni lustri.