di Domenico Savino
La profezia di san Malachia († 1148) è una lista di centoundici brevi motti in lingua latina, ciascuno dei quali indicherebbe un tratto caratteristico di tutti i papi a partire da Celestino II († 1144) fino ai giorni nostri e persino di alcuni antipapi. La profezia si conclude con riferimento ad un non meglio identificato “Pietro Romano”, durante il cui pontificato dovrebbe avvenire il Giudizio universale. Quelli che seguono sono gli ultimi 7 motti (con una possibile e plausibile spiegazione) e sotto vi è il testo della profezia:
– Pastor et nauta. (Giovanni XXIII);
– Flos florum. (Paolo VI)
– De mediaetate lunae (Giovanni Paolo I)
– De labore solis (Giovanni Paolo II)
– Gloria olivae. (Benedetto XVI) In p(er)secutione. extrema S.R.E. sedebit. (=???)
-Petrus Romanus… (Francesco???), che pascerà gli agnelli tra molte tribolazioni: passate queste, la città dei sette colli verrà distrutta, e il Giudice tremendo giudicherà il suo popolo. Fine.
Dopo la sua “Declaratio di rinuncia” (che non è una Renuntiatio!) nel libro-intervista Ultime conversazioni, il giornalista e scrittore tedesco Peter Seewald pose a Benedetto XVI, già Papa emerito, questa domanda: «Lei conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri pontefici prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa. Secondo tale lista il papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora?».
La risposta di Papa Benedetto XVI è sorprendente: “Tutto può essere”.
Salvo aggiungere: “Probabilmente questa profezia è nata nei circoli attorno a Filippo Neri. A quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito, e lui voleva solo dimostrare, con una lista lunghissima di papi, che invece non era così. Non per questo, però, si deve dedurre che finirà davvero. Piuttosto che la sua lista non era ancora abbastanza lunga!”.
I “normalizzatori” pongono l’accento su quest’ultima parte della risposta di Benedetto, cioè sulla natura spuria della profezia, nata – pare di capire – negli ambienti “oratoriani” legati a San Filippo Neri, in funzione apologetica del Papato, sotto attacco da parte protestante. Ma aggiunge: Non per questo, però, si deve dedurre che finirà davvero. Piuttosto che la sua lista non era ancora abbastanza lunga!”.
In realtà ciò che sorprende è la parte iniziale della risposta, che non bolla la Profezia come una “patacca”, ma rispetto alla quale dice che “tutto è possibile”. E in questo “tutto” ci sta anche che essa contenga una verità sul futuro del Papato, quand’anche possa sembrare “finito”, sicchè la figura del papa potrebbe assumere un profilo diverso da “come l’abbiamo conosciuto”.
Malachia, “il gioiello d’Irlanda”, che San Bernardo, suo biografo, scrisse essere di nascita nobile, visse tra il 1094 ed il 1148 e fu uomo di così grandi e forti virtù cristiane e intercessore di tanti, diversi miracoli del Cielo, da essere canonizzato da Clemente III nel 1190, ad appena 52 anni dalla morte.
Secondo di tre fratelli, dopo lunghi anni di studio divenne dapprima sacerdote nel 1119, poi nel 1123 fu eletto abate di Bangor e, infine, nel 1132 fu fatto arcivescovo di Armagh, che era (ed è) la sede primaziale irlandese.
Durante i tre anni ad Armagh, Malachia ripristinò la disciplina nella Chiesa, diventata sempre più “lassa” durante il periodo di governo di una serie di abati laici e conformò la liturgia.
Fu durante un soggiorno a Roma nel 1139, volto ad ottenere il pallio per le sedi di Armagh e Cashel, che Malachia avrebbe ricevuto la Profezia di cui trattiamo, visitando la chiesa di S. Paolo fuori le Mura, al cui interno, lungo l’intero perimetro al di sopra degli archi delle navate, si trova una serie di medaglioni, destinati a contenere fino alla fine dei tempi tutti i ritratti dei Papi che si sono susseguiti dopo San Pietro.
Nei tondi, in gran parte all’epoca ancora vuoti, Malachia avrebbe “letto”, grazie allo “spirito di profezia”, i motti in latino di 112 papi, a partire da Celestino II fino ad un misterioso ultimo Papa, individuato come “Petrus Romanus”.
I tempi attuali fanno sì che la Profezia stessa riguardi proprio il pontificato in corso e, dunque, la nostra vita presente. Come si vede nella foto sottostante, vi sarebbe ancora posto per un solo Papa.
Sono perfettamente a conoscenza che la “Profezia di Malachia” ha acquistato notorietà oltre quattro secoli e mezzo dopo la sua presunta “scoperta” e cioè solo a partire dal 1595, per essere stata in quell’anno data alle stampe all’interno dei cinque volumi dell’opera “Lignum vitae”, di cui è autore il monaco benedettino Arnold de Wyon (Douai, 1554 – Mantova, 1610 c.a). E’ lo stesso de Wyon a specificare che l’attribuzione e spiegazione dei primi 74 motti, relativi a Papi e anti-Papi regnanti fino al 1590, sono opera non di Malachia, nè sua, ma dello storico e filologo domenicano Alfonso Chacón (in latino: Alphonsus Ciacconius, italianizzato in Alfonso Ciacconio 1540 circa – Roma, 1599).
Anche per questo la profezia è ritenuta da molto e da molti un falso, a partire dal bollandista Claude-François Menestrier, che nel suo trattato “Filosofia delle immagini enigmistiche” (1694), ne attribuisce la paternità proprio a Chacón, con l’intento di condizionare il Conclave che nel 1590 avrebbe dovuto scegliere il successore di Urbano VII, al fine di appoggiare la candidatura del cardinale decano Girolamo Simoncelli da Orvieto (che non sarà però eletto).
Non si ignora neppure che tale elenco conterrebbe errori che si troverebbero in opere pubblicate da Onofrio Panvinio nel 1557, e cioè la “Epitome Pontificum Romanorum a s. Petro usque ad Paulum III gestorum (videlicet) electionisque singulorum & conclavium compendiaria narratio, cardinalium item nomina, dignitatum tituli, insignia” e la “Onuphrii Panvinii Veronensis fratris eremitae Augustiniani Romani Pontifices et cardinales S.R.E. ab eisdem a Leone IX ad Paulum papam IIII per quingentos posteriores a Christi natali annos creati”.
Proprio questo particolare starebbe però a dimostrare che la riferibilità della creazione della Profezia ai circoli di San Filippo Neri è perlomeno dubbia, dato che in quello stesso 1557 egli aveva ben altre preoccupazioni, cioè di prendere il posto di San Francesco Saverio (da poco deceduto) nell’apostolato delle Indie.
Secondo Paolo Gulisano, potrebbe essere stato invece Cesare Baronio, uno dei primissimi “ragazzi” di san Filippo, che poi divenne sacerdote, cardinale e che fu uno dei maggiori storici della Chiesa, a venire in possesso della profezia. Ma nel 1557 egli non aveva ancora 20 anni.
Io credo che abbia maggiore credito la tesi sostenuta in “La Profezia di San Malachia sui Papi”da Alfredo Maria Barbagallo (appassionato conoscitore e studioso di reliquie antiche), secondo cui chi per primo la pubblicò, cioè Arnold de Wyon nel volume “Lignum vitae” – come sembra desumersi dalle sue stesse parole – avrebbe reperito l’ignoto testo di Malachia presso l’Abbazia di San Benedetto in Polirone, vicino Mantova, ove era monaco (foto sotto).
La successiva pubblicazione del 1597, curata dal monaco Cistercense don Roberto Brusca, ricopia in lingua italiana ciò che Arnold de Wyon avava già scritto in latino (foto sotto).
La notiizia relativa a Wyon ed alla pubblicazione della Profezia con l’aggiunta esposizione dei motti fino ad urbano VII a cura di Giaconio, è presente anche nel volume del 1742 “Hibernia Sacra”, ove la profezia è attribuita a Malachia.
Ipotizzando, quindi, che la Profezia sia vera, soffermiamoci sulla parte finale del testo, quella che, contenendo i motti dei cinque ultimi Papi fino a Benedetto XVI, si riferirebbe alla nostra contemporaneità.
I motti sono: Pastor et nauta (“Pastore e nocchiero”), Giovanni XXIII; Flos florum (“Fiore dei fiori”), Paolo VI; De medietate Lunae, “Del medio periodo della luna”), Giovanni Paolo I; De labore solis, (“Della fatica del sole”), Giovanni Paolo II; Gloria olivae, (“Gloria dell’ulivo”), Benedetto XVI.
La Profezia si chiude con due frasi, da tutti ritenute misteriose, di cui riportiamo l’immagine e di cui trascriviamo puntualmente non solo il testo, ma anche la modalità di stesura e la punteggiatura, che – come vedremo – è essenziale.
“In persecutione. extrema S.R.E. sedebit. Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus judicabit populum suum. Finis.”
Da molti interpreti si è erroneamente ritenuto che il “punto” tra le parole “persecutione” ed “extrema” e quello tra “sedebit” e “Petrus” siano due errori di stampa, perchè altrimenti la frase non sembrava poter essere tradotta con un senso compiuto.
In base a ciò si è quasi tacitamente convenuto di ricomporre le due frasi in un’unica frase, che suonerebbe allora così: “In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus judicabit populum suum. Finis. “.
La conseguente traduzione sarebbe allora la seguente: “Nell’estrema persecuzione di Santa Romana Chiesa regnerà Pietro Romano, che pascerà le pecore tra molte tribolazioni, passate le quali la città dei sette colli sarà distrutta e il giudice tremendo giudicherà il popolo. Fine”.
Tuttavia ciò costituisce una evidente forzatura del testo, ben evidenziata tra tutti da Alfredo Maria Barbagallo sopracitato il quale scrive: “ Si valuti con attenzione ed in osservazione diretta proprio la pagina 311… La formulazione complessiva finale, contenente il riferimento a Petrus Romanus, parrebbe spezzata da un imprevedibile punto di sospensione del periodo, e poi da una interruzione di esso con ripresa a capo di inizio di periodo di frase nuovo.
L’esito finale della stesura – pur non mutandone il senso profondo – sarebbe certamente differente. Perché in quel caso parrebbe di leggere, dopo Gloria olivae: “In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit.” (Punto a capo, n.d.r.). “Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus…” ecc. ecc.
Tali osservazioni sono state riportate e riprese anche da uno scrittore di chiara fama come Saverio Gaeta, che nel suo volume “Le profezie dei due Papi PIEMME Editore” a pag. 73, concorda, citandole testualmente, con le conclusioni del Barbagallo: ”Spezzare la formula finale della Profezia in due periodi distinti parrebbe acquistare, nel raffronto con l’attualità, dei significati ben precisi.
Da un lato, inserire formulariamente e pienamente Petrus Romanus nell’elenco malachiano come 112° ed estremo Pontefice della successione in esame.
Dall’altro però potenziare all’infinito la vicenda ricostruttiva del Pontificato di Gloria olivae, nell’inizio di una persecutione extrema della Chiesa i cui termini reali vanno se di interesse attentamente valutati.
Cioè, in parole povere, una cosa molto particolare: inserire la “persecutione extrema “della Chiesa in un testo in qualche modo intermedio tra Gloria Olivae e Petrus Romanus, significa leggere le difficoltà generali come relative già all’ultima fase di gestione del primo ed alla prima fase propositiva del secondo. Si conferma quindi un impressionante quadro generale che ricorda in maniera sconvolgente le vicende reali tuttora in atto riguardanti gli ultimi due Pontificati.”.
Questo elaborato ragionamento introduce alla verità, ma alla fine la elude proprio dove essa si sta svelando. Ciò per le considerazioni che seguono:
- anzitutto già la prima frase “In p(er)secutione. extrema S.R.E. sedebit.” (si veda l’immagine sottostante) contiene essa stessa un “punto” al suo interno, dopo la parola “persecutione”. Non si tratta certamente di un “lapsus calami”, ma di un “segno di separazione”, che tiene il luogo di una virgola.
Nella stessa e già citata introduzione alla Profezia (vedi sotto), vi sono dei “punti” dopo i numeri (es. 315. 316. & 317), che sono punti di separazione, analoghi alle virgole. Il sistema di punteggiatura “punto in alto” = pausa lunga (punto), “punto a mezza altezza” = pausa media (punto e virgola), “punto in basso” = pausa breve (virgola) fu, infatti, creato dai grammatici latini nel II secolo a.C. e fatto proprio da Isidoro di Siviglia nel VII secolo.
Nei manoscritti più antichi si è soliti segnalare solo la pausa lunga e media. Nei secoli ottavo e nono si inizia a recuperare il sistema di punteggiatura. Nel XIII secolo l’uso è confuso e sarà solo in età umanistica che si fissa un sistema rigido distintivo tra “segni di punteggiatura”;
2. se così è, l’aggettivo “extrema” sarebbe in tal modo riferito non a “persecutione”, ma a “S.R.E.”;
3. “S.R.E.”, di conseguenza, non sarebbe abbreviazione di un genitivo (Sanctae Romanae Ecclesiae), ma di un nominativo (Sancta Romana Ecclesia), che è in tal modo il soggetto della frase;
4. ne consegue che il verbo “sedebit” va riferito a “S.R.E.” (Sancta Romana Ecclesia);
5. infine “extrema”, in lingua latina, vuole anzitutto significare “estrema, ultima nello spazio, nel tempo, in ogni successione” e non “estrema” nel senso “intensità al sommo grado”, cioè “pericolosissima, suprema, difficilissima”, come ben si evince dal più comune vocabolario di latino per licei, il Castiglioni-Mariotti (vedi immagine a lato).
Fatte queste premesse, la frase in esame potrebbe (dovrebbe?) allora essere scritta per esteso così: “In persecutione, extrema Sancta Romana Ecclesia sedebit.” e potrebbe essere letteralmente tradotta come “Nella persecuzione, l’ultima Santa Romana Chiesa regnerà. ”
E’ una traduzione possibile, che lascerebbe aperta la porta all’ipotesi – dopo Gloria Olivae e un tempo di persecuzione – di un Papa, identificato come Petrus Romanus, che governi la Chiesa tra molte tribolazioni, fino al tempo in cui queste ultime siano passate, la Città dei sette colli venga distrutta e il popolo di Dio sia sottoposto al giudizio del “Giudice tremendo”.
E’ – dicevamo – una traduzione forse possibile, ma, a mio parere, poco plausibile, anche perchè persecuzione e tribolazioni sono una costante nalla Storia millenaria della Chiesa.
In ogni caso sarebbe bastato, a tal fine, inserire semplicemente dopo il Papa indicato col motto Gloria olivae, quello indicato come Petrus Romanus, specificado in quella sede tanto la condizione di “persecuzione” che di “tribolazione” del suo Pontificato, come segue:
“Gloria Olivae. Petrus Romanus, qui in persecutione sedebit et pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus judicabit populum suum. Finis.”
Invece la frase “in persecutione, extrema Sancta Romana Ecclesia sedebit” appare come un “inserto” anomalo, un vero e proprio elemento di “rottura” nella lista dei 112 Papi, che dal primo in elenco (“ex castro Tiberis”) si sussegue “sine glossa” e con implacabile sistematicità fino a Petrus Romanus (stiamo parlando del puro testo della Profezia, non delle interpretazioni dei motti che fino a Urbano VII, come scrive lo stesso Wyon prima di riportare l’elenco, non sono di Malachia, ma dell’interprete di questa Profezia, cioè Alfonso Giaconio).
Quella frase, invece, cioè “in persecutione, extrema Sancta Romana Ecclesia sedebit”, è parte della Profezia e rompe questa algida registrazione di “motti” con l’annuncio di qualcosa, accaduto a Santa Romana Chiesa durante un periodo di persecuzione.
E’ dunque all’interno di quella frase che va ricercato quell’elemento di “rottura” con l’extrema (cioè ultima) Santa Romana Chiesa, tale da determinare, come conseguenza, una sorta di “palingenesi”, il sorgere, cioè, di una “Chiesa Nuova dopo l’ultima Sancta Romana Ecclesia.”, della quale è evidenza il ripetersi del nome Petrus nel nome del primo nuovo Papa, che tuttavia è sì Petrus, ma “Romanus”, non “Catholicus”.
L’anomalia pare essere nel verbo “sedebit”.
La traduzione di “sedebit”, reso solitamente come “siederà” nel senso di “regnerà”, è verosilmente sbagliata, dato il contesto della frase: basta ancora prendere il vocabolario Castiglioni-Mariotti, per constatare che (come si vede sotto) “seděre” non vuol dire solo “sedere in trono”, ma anche prostituirsi, “esercitare il mestiere di meretrice” (accezione usata tra l’altro proprio tra l’altro in Tertulliano, il più geniale e poliedrico scrittore della letteratura cristiana prima di Gerolamo e Agostino).
Ora per non parlare della prostituta dell’Apocalisse, seduta sulla Bestia e del fatto che “le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna”, fin dal capitolo 38 del libro della Genesi è istituita una sorta di “pensiero associativo” tra lo “stare seduta” e il “prostituirsi”.
Infatti è proprio sedendosi alla porta della città di Enaim che Tamar si prostituisce: “Allora ella si tolse le vesti da vedova, si coprì d’un velo, se ne avvolse tutta, e si pose a sedere alla porta di Enaim, ch’è sulla via di Timna; poiché vedeva che Scela era cresciuto, e nondimeno, lei non gli era stata data per moglie”.
Alla luce di ciò (dando così anche un senso compiuto ad una frase altrimenti monca), il passo “In persecutione, extrema Sancta Romana Ecclesia sedebit.” credo vada tradotta come: “In stato di persecuzione, l’ultima Santa Romana Chiesa si prostituirà (cioè apostaterà)”.
Dopo di ciò, cioè dopo l’apostasia, la successione petrina sembra interrotta e al Pontefice cattolico sembra sostituirsi un “vescovo primaziale“, il Vescovo di Roma” (come ha deciso di definire se stesso Bergoglio subito dopo la sua elezione): Petrus Romanus, per l’appunto, “qui pascet oves in multis tribulationibus”, di cui i ripetuti scandali nella Chiesa, la crisi economico-finanziaria, l’I.S.I.S., la pandemia e la guerra ne sono certo manifestazioni.
Al termine di queste tribolazioni (“quibus transactis”), tuttavia, secondo la Profezia non ci attenderebbe il “lieto fine” hollywoodiano, chè anzi “civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus judicabit populum suum”.
“Finis.”… per l’appunto!
Ma c’è dell’altro che sembra confermare il legame tra il pontificato di Ratzinger, la figura di Bergoglio e questa strana Profezia, segnando un punto (piaccia o meno) a favore Cionci e del suo “Codice Ratzinger” e rendendo meno enigmatiche le recenti parole di Mons. Gaenswein, il quale ha detto che “abbiamo 265 Papi” (ignorando il 266^ che sarebbe Bergoglio).
Insomma, secondo la Profezia di Malachia dopo il pontificato di Benedetto (De Gloria Olivae) e in stato di persecuzione, extrema Sancta Romana Ecclesia sedebit, l’ultima Santa Romana Ecclesia di Roma avrebbe apostatato.
Poi sarebbe stato il tempo di un “Pietro Romano”, prima che il Giudice tremendo giudichi il suo popolo.
Ne riparleremo.
2 commenti
Una suggestione di queste ore, il non meglio specificato Pietro Romano, potrebbe essere Pietro Orlandi?
Finalmente una interpretazione molto più completa e coerente della celeberrima, ma difficilmente ben approfondita, profezia di Malachia. I miei complimenti all’autore dell’articolo e ad Andrea Cionci, che merita tutta la nostra stima e fiducia. Grazie davvero ad entrambi.