Non è che dobbiamo andare a scomodare Virginia Wolf per analizzare la sindrome della paura.
Che poi, con la “paura” vera e propria, il famoso dramma teatrale broadwiano non c’entra un fico secco, così come la mitica Virginia Wolf non è un personaggio esistente, ma è solo un gioco di parole, con uno dei brani della sound-track “Chi ha paura del grande lupo cattivo?”, destinato a simboleggiare il lupo cattivo, terzo incomodo presente nella esistenza di coppia di George e Martha, usurata dalla noia, dalla abitudine, dalla quotidianità. Ma era il 1966 e i motivi di crisi delle coppie erano sufficienti per mettere in piedi una pièce teatrale divenuta poi anche un famosissimo film.
Nel 2023, non lontano dal ventennale del film, invece ci tocca chiederci “chi ha paura del terzo polo?”
Tranquilli, non state per accingervi a leggere un discorso stucchevolmente apologetico sul duo Calenda-Renzi, e neanche una digressione esoterica sul simbolismo che si nasconde dietro il numero “tre”, dalle vicende bibliche alle gerachie massoniche.
Ma una riflessione sul concetto di terzietà merita di essere fatta.
Dalle parti di Via della Colonna Antonina e dalle parti della sede di Azione, se solo sapessimo dov’è, si parla spesso di riformismo e a volte anche di socialismo democratico, e la cosa non può che far piacere se ci fossero le mille garanzie richieste sulla genuinità delle affermazioni.
Calenda parrebbe più un liberaldemocratico, ma in fondo con il socialismo liberale le distanze non sarebbero incolmabili.
Il problema casomai è se i due leader della nuova area di centro-sinistra sono davvero sinceri, quando si definiscono “riformisti”, o se utilizzano tale termine come un cappotto alla moda da indossare a tutti i costi e fa niente se la taglia non è quella giusta.
Perché, lo abbiamo già detto più volte, spesso, dalle parti di chi “riformista” non lo è mai stato, sul vero significato del termine si fa grande confusione.
A turno, negli anni della seconda Repubblica (ora terza), nell’intero arco politico, si sono definiti “riformisti” tutti quanti, da Berlusconi a Di Maio, confondendo il “riformismo” come il processo di ammodernamento dello stato o di parti di esso. Si è confuso il nobile termine con la riforma del fisco, o della sanità o della giustizia o delle infrastrutture.
Tutte robe che non c’entrano un fico secco.
Il “riformismo”, quello autentico e classico, quello che nasce nel movimento socialista con Turati e che segna oltre 100 anni di storia italiana, quello che a cavallo tra l’Ottocento e il secolo scorso creava nelle sezioni socialiste le scuole elementari per la alfabetizzazione delle masse più povere, e che agli inizia degli anni Ottanta, con Craxi, ha portato l’Italia a essere la IV potenza mondiale, si propone un processo di ammodernamento evolutivo della società, delle persone, delle genti, verso più alte vette di sentimenti chiamati pace, solidarietà, equità, fratellanza, giustizia sociale. Sono valori destinati alla crescita delle persone e del tessuto sociale.
Ma, tornando al Terzo Polo, la questione è un’altra, perché in fondo, al di là di qualche perplessità, non v’è dubbio che ci sia più vicinanza ai valori riformisti tra Italia Viva e Azione che in tutto il resto del panorama politico.
La questione vera è che da diversi anni su questo paese pesa una pesante eredità, (la tautologia è voluta, rafforza).
Potremmo dire che trae origine da Mariotto Segni, quando si era messo in testa che il nostro paese doveva trasformarsi in una Repubblica a sistema politico maggioritario.
Potremmo dire che deriva da Berlusconi, così offuscato dai suoi deliri di essere il più grande statista della storia, da desiderare di voler eliminare partiti, deputati e senatori, o quantomeno ridurne i poteri per non disturbare il manovratore (il Premier,lui stesso),
Potremmo dire che ce l’ha mandata anche Veltroni con la sua passione per tutto ciò che era Yankee tanto da iniziare la sua campagna elettorale del 2008 con lo slogan “Yes we can” scimmiottando Obama, tanto da creare il PD per scopiazzare i “Democratici Usa” con tanto di asinello stelle e strisce, tanto da fare da sponda a Berlusconi nei suoi folli progetti di ridurre il sistema politico italiano a un bipartitismo.
L’aborto di tali strampalate idee, l’eredità che pesa sulla nostra democrazia, è il “bipolarismo”.
Diciamo strampalate perché i modelli politici sono lo specchio delle società che rappresentano e non vi è dubbio che una società come la nostra si è evoluta su una tradizione parlamentare e pluralista e non certo su modelli di esemplificazione politica come il maggioritario.
Diciamo strampalate perché una delle pagine più nere della nostra storia repubblicana, la riduzione dei parlamentari, è figlia di quelle idee e di quei modi di pensare.
Ma davvero non vi rendete conto che il bipolarismo è il vero problema del nostro paese?
Il duello politico è inasprito e l’odio supera il confronto. Non si alternano proposte ma solo accuse. Non si vota “per qualcosa” ma contro qualcuno. Ovunque è una guerra.
La scelta è sempre “o noi o loro”, senza alternative, in una forbice che diventa mannaia.
In ognuno dei due poli il fenomeno ricorrente è la massificazione. Con le formazioni politiche più piccole che si devono forzatamente confondere, e nascondere, dietro quelle più grandi, perdendo così la loro identità e spesso la loro dignità.
Le regole della democrazia sono spesso espiantate dalla “legge del più forte” e forze politiche che hanno più storia, più cultura, più valori, più idee, più progetti di autentiche cattedrali del deserto, tenute insieme esclusivamente da logiche di potere, solo perché piccole, sono ridotte alla semi-clandestinità e all’anonimato perché l’elettorato, alla fine, vota seguendo i sondaggi e i sondaggi si ricordano solo di chi è forte non di chi è significativo.
Se i padri costituenti, che capivano molto più di questa classe politica, scelsero di essere una Repubblica Parlamentare, che favorisse il pluralismo con un sistema elettorale proporzionale, una ragione c’era e forse già immaginavano che un sistema maggioritario, e bipolare, avrebbe portato a un abbrutimento della vita politica, a una scomparsa del dibattito, alla estinzione del confronto e avrebbe fatto del parlamento non una fucina di idee ma un campo di battaglia dove contare i morti e non catturare prigionieri.
Davvero non vi siete mai chiesti se non è questo il principale motivo per il quale la gente si allontana dal voto perché non sentendosi né di destra né di sinistra tra la “zuppa e il pan bagnato” preferisce il digiuno e se ne resta a casa?
Davvero non vi siete mai chiesti se non è forse a causa del bipolarismo che il paese, dal 1994, è in discesa vertiginosa sotto il profilo etico, economico, culturale, politico e sociale arretrando in tutto i campi e su tutti i settori?
La conclusione è ovvia, almeno per noi.
Qualunque forza, partito o formazione politica si proponga e sia destinata a scardinare il bipolarismo, a creare posizione terze (e perché non quarte), a creare alternative e ad allargare il dibattito e il confronto deve essere vista con favore.
E non solo per il bene di partiti o movimenti socialisti, destinati altrimenti alla semiclandestinità, ma per il bene dell’Italia.
E allora: “noi non abbiamo paura del Terzo Polo”.
2 commenti
Non possiamo ovviamente escludere che la gente si allontani dal voto non sentendosi né di destra né di sinistra, ma all’interno dell’astensionismo può esservi anche una fascia che “non sa quello che vuole”, in quanto disabituata a compiere scelte, e anziché esprimersi direttamente sull’una o altra formazione governativa preferirebbe il proporzionale, demandando così agli eletti di decidere chi deve governarci (prendendosi la responsabilità di tale loro opzione).
Qui si dice che deve essere vista con favore “qualunque forza, partito o formazione politica si proponga e sia destinata a scardinare il bipolarismo, a creare posizione terze, e perché non quarte”, ma io credo invece che siamo arrivati ad una fase in cui molti problemi si sono talmente acuiti – esacerbati, estremizzati – al punto di richiedere, o esigere, risposte dell’uno o altro tipo, ossia altrettanto “radicali”, il che non può succedere con posizioni “intermedie”.
La cosiddetta terzietà politica, ossia il non essere né di destra né di sinistra, poteva a mio avviso andar bene quando detti problemi non erano ancora “sfuggiti di mano”, com’è invece successo causa anche il sopravvenire di contingenze e criticità imprevedibili, pure nella loro portata e concomitanza, e non si tratta quindi di assegnare colpe a “destra e a manca”, ma sta di fatto che oggi le soluzioni “intermedie” paiono rivelarsi ormai insufficienti o quasi.
Secondo questa mia logica, ovviamente opinabilissima, l’odierno PSI, anziché allearsi in modo organico e sistematico con la sinistra, avrebbe potuto legarsi a suo tempo al Terzo Polo, allora Italia Viva – peraltro anch’essa dichiaratasi appartenente alla sinistra, se ben ricordo, mentre la terzietà prevederebbe di per sé stessa l’equidistanza – ma il farlo adesso, nell’attuale frangente storico, mi sembrerebbe abbastanza tardivo, per le ragioni avanti esposte.
Circa il sistema elettorale, se si vuole temperare il bipolarismo, tornando a qualche forma di voto proporzionale, la via da seguire mi parrebbe quella del Presidenzialismo, col candidato sostenuto da liste singole, o in coalizione, ciascuna col proprio simbolo, salvaguardando in tal modo governabilità e rappresentanza (è del resto un po’ anomalo che si eleggano direttamente Sindaco e Presidente di Regione, e non chi è chiamato a guidare il Paese).
Paolo Bolognesi 25.03.2023
Concordo con l’ Avv. Carugno sulla necessità che nuove formazioni politiche abbiano spazio e riconoscimento di dignità espressiva, perchè l’essenza della democrazia è da rinvenirsi nella partecipazione e nella pluralità; il sistema elettorale attuale ha sortito esiti politici impopolari e infruttuosi per il Paese e ha reso scettico l’elettorato, di fatto esautorato della propria prerogativa di scelta dei rappresentanti politici nazionali.
Avv. Caterina Cazzato