Premessa
Molte persone mi hanno contattato chiedendomi come sia possibile che i casi di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi non siano collegati dal momento che i due “ceffi” dell’identikit, frutto delle deposizioni degli amici dell’Orlandi, siano stati riconosciuti dalla signora Vittoria Arzenton e da una vicina dei Gregori. Inoltre, il fatto che questi orbitino negli ambienti della Banda della Magliana, non può essere un caso.
Non ho detto che i casi non siano collegati, ma che secondo la mia opinione non lo sono. Come ribadisco dal primo scritto, per il caso Orlandi, ma anche per la scomparsa di Mirella Gregori, le soluzioni tranchant non hanno valore e trovo più utile proporre una cronaca cronologica a fine divulgativo, piuttosto che azzardare l’ennesima soluzione o l’ennesimo complotto. Sarebbe non solo inutile ma, probabilmente anche dannoso. Per rispondere alle domande di cui sopra è prima necessario comprendere modus agendi delle organizzazioni criminali.
Mafia e criminalità organizzata
Mafia e criminalità organizzata non sono la stessa cosa. La Banda della Magliana non è un’associazione di tipo mafioso. Si, Wikipedia riporta una notizia sbagliata. La criminalità organizzata, come da nome, consiste in un gruppo di criminali che, al fine di acquisire e mantenere il predominio in una determinata zona, si organizza. I suoi membri si coordinano, hanno una gerarchia, mansioni e, di norma, si dotano di un regolamento interno, inviolabile.
La criminalità organizzata di stampo mafioso, comunemente mafia, alle caratteristiche sopraelencate aggiunge l’obiettivo del predominio politico. I mafiosi si considerano membri “dell’altro Stato”. Un’organizzazione criminale ha rapporti con il mondo politico ma rimane ferma nella sua connotazione ed attività. Al contrario, le mafie, vogliono penetrare quel sistema ed integrarlo al proprio interno. Le mafie, operano spesso avvalendosi dell’ausilio di queste bande.
Stessi uomini, motivi diversi
Perché l’eventualità che i “brutti ceffi” fossero collegati alla Banda della Magliana non dimostra che le sparizioni delle due ragazze siano collegate? La risposta è abbastanza semplice. Provo a esemplificare la “Banda della Magliana”.
Pensate ad una scuola e ai suoi componenti: ci sono gli studenti, divisi per classi. Poi ci sono i professori che sovrastano gli studenti a livello di capacità decisionale, sopra ai professori, nel plesso scolastico, ci sono il preside e vicepreside. Sono però presenti altre figure, in maniera stabile e continuativa: i bidelli e il personale di segreteria. Ogni tanto c’è qualche esterno che per tempo limitato frequenterà l’istituto per lezioni di approfondimento o progetti.
Ora facciamo la trasformazione: il plesso scolastico è Roma, il preside il capo della banda, il vicepreside il secondo. I professori sono i membri effettivi, i “fondatori”. Gli studenti sono persone che, a seconda della maturità e dell’applicazione possono ambire a posizioni più o meno prestigiose.
Per diventare membri a tutti gli effetti dovranno, come a scuola, applicarsi e superare dei test e degli esami. Rispetto alla Banda vera e propria, sono tutti quei piccoli criminali che si fanno carico, a seconda della classe, delle azioni criminali comuni e a maggior rischio di arresto: spaccio, incendio di auto e negozi, reati contro il patrimonio, spedizioni punitive etc. Gli studenti migliori diventano professori, quelli sufficienti restano ancorati alle stesse mansioni, quelli incapaci sono bocciati, ossia morti.
Le figure dei bidelli e della segreteria, in una banda sono i collusi. I bidelli sono coloro che puliscono lo sporco, ad esempio i soldi; il personale di segreteria, rappresenta chi può esercitare influenza rispetto al mondo politico e istituzionale, di cui sovente è membro. Gli esterni, quelli con cui si fanno i progetti a tempo, sono le altre bande con cui, a seconda della bisogna, ci si spalleggia o si fronteggia.
Tutte le scuole presenti sul territorio italiano hanno una loro organizzazione interna ma devono in ogni caso, rispondere e attenersi sempre a quanto stabilito (ufficiosamente) dal Ministero della Pubblica Istruzione, la mafia. Cosa c’entra con tutto questo con i casi Orlandi-Gregori? In una scuola ci si conosce tutti. Se nello stesso paese le scuole sono due, anche solo di vista, si conoscono anche quei frequentatori e facilmente se ne percepiscono i ruoli.
Come a scuola anche nelle bande si possono selezionare per certe attività “studenti” particolarmente portati. Potrebbe essere il caso dei “due ceffi” riconosciuti, ad esempio, come validi adescatori. È probabile che si siano ritrovati a dover svolgere la loro solita attività in due luoghi diversi, per motivi diversi e per mandanti diversi. Non di rado il braccio, chi commette un determinato crimine, non è a conoscenza del “disegno superiore”
Alcune osservazioni
È ovvio che certezze non ce ne sono e forse, non ce ne saranno mai. Quarant’anni sono un periodo temporale troppo lungo. Qualsiasi verità si raggiungerà, lascerà sempre degli aspetti di incompiuto e di non meglio definito. Risulta maggiormente propedeutica a una possibile definizione del quadro d’insieme, l’indagine storica e non l’inchiesta giornalistica.
Tuttavia un’indagine si è aperta nella Città del Vaticano e una Commissione parlamentare di inchiesta è stata attivata dallo Stato Italiano, facendo così convergere necessità storiche e necessità giornalistiche, da queste ultime non si può attualmente soprassedere.
Mi muoverò dunque dall’analisi dei fatti storici, attualmente a disposizione, in attesa degli sviluppi che si potranno registrare nei prossimi mesi. Non è di libera fruizione l’intera documentazione raccolta nelle precedenti indagini e sappiamo che esistono interrogatori e documenti ufficiosi e altri secretati. A ciò va aggiunta l’immensa quantità di posizioni, tutte supportate da prove e fogli timbrati, che pretendono -ognuna- di essere la verità definitiva e logicamente valida. Non è così. Ad oggi l’inconfutabile non è protagonista di nessuna linea giornalistica.

Alessandro
Come noto, Alessandro è il nome che viene fatto al citofono e che convince Mirella a scendere per l’incontro al Monumento del Bersagliere. All’epoca la ragazza aveva un fidanzatino, Massimo, con cui aveva avuto una lite la sera precedente, durante la festicciola organizzata al bar di famiglia per celebrare la ristrutturazione. Nonostante sia accompagnata dalla testimonianza di diverse amiche, emergerà che la Gregori non era del tutto indifferente all’ex compagno di classe, arrivato nella sua sezione l’ultimo anno delle scuole medie.
Quel giorno però, almeno per quanto è dato sapere, al citofono non ha suonato Alessandro ma qualcuno che si è spacciato per il ragazzo o, come ha più volte ipotizzato la sorella Antonietta, qualcuno che diceva di essere con Alessandro.
Sappiamo che il compagno di scuola, come richiesto, richiamerà al bar dei Gregori la sera della sparizione, alle ore 20.30, dichiarandosi del tutto ignaro degli avvenimenti esplicati dai genitori di Mirella. Il pomeriggio lo aveva trascorso con amici e aggiunse che Mirella non la vedeva da un paio d’anni.

Alessandro, come si legge nel procedimento n.1147/85 A.G.I., e 25/85 P.G., si identifica in Alessandro De Luca, che agli inquirenti dichiara di non incontrare la Gregori da oltre cinque mesi. Il ragazzo fornisce agli inquirenti indicazioni riscontrate sui suoi movimenti nel pomeriggio del 7 maggio.
Risulta infatti che il ragazzo, nel pomeriggio del 7 maggio 1983, si trova a casa dell’amico Raffaele Luongo, in viale Libia. È dunque confermato che la persona che ha suonato il campanello non era Alessandro, quantomeno l’Alessandro identificato dalla Gregori.
Alcune considerazioni
Alessandro fornisce almeno due versioni differenti in riferimento alla data dell’ultimo incontro con Mirella. Due ani o cinque mesi? Gli inquirenti dell’epoca verificarono l’alibi di Alessandro che risultò confermato. Confermato fu anche il fatto che quel giorno non era stata organizzata nessuna “rimpatriata delle medie” sotto il Monumento al Bersagliere; anche questo fatto è stato accertato: furono infatti sentiti diversi ex compagni di classe di Mirella alle scuole medie e tutti concordarono sul fatto che quel giorno non era avvenuta, ne era stata programmata, la rimpatriata.
Prendendo come punto fermo il fatto che Alessandro De Luca sia totalmente estraneo alle vicende di quel giorno, nei fatti qualcuno quel giorno suonò al citofono di casa Gregori. Nessuno dei vicini ha mai palesato di aver notato una persona o più davanti al campanello dell’edificio.
Fatto particolare è che l’orario in cui l’ignoto citofonò, corrispondeva a quello in cui il portiere della palazzina, quindi un possibile e valido testimone, andava in pausa. Certo potrebbe trattarsi di una più che fortunata casualità, tuttavia l’idea della premeditazione appare più che fondata.
Le ipotesi
Per chi ha citofonato orari e abitudini del portiere, erano dati noti e ciò porta a due conclusioni logiche: o l’ignoto conosceva molto bene la palazzina e il tram tram quotidiano di quella zona, oppure era stato messo in atto un puntuale studio basato su sopralluoghi d’osservazione.
La prima ipotesi ci porta a presumere che ignoto sia o un amico, abbastanza intimo, di Mirella e/o della sua famiglia, oppure una persona che viveva nella stessa zona o che frequentava con assiduità il Bar Italia della famiglia De Vito, ubicato proprio a ridosso dell’ingresso dello stabile al n.91.
La seconda ipotesi, che si muove nell’ambito della pianificazione da parte di individui terzi, presume che il o i sequestratori abbiano svolto molteplici sopralluoghi conoscitivi, in modo da raccogliere informazioni relative alle abitudini di Mirella, dei suoi familiari, e della realtà circostante.
A questo proposito segnalo che la signora Maria Vittoria Arzenton, madre di Mirella, ebbe riscontro da una vicina di casa, Giuseppina C. (Da T. Nelli) che nei giorni precedenti la scomparsa, aveva più volte notato, seduto su una panchina rivolta all’uscio del palazzo, un signore di circa 35-40 anni, capelli scuri e pelle olivastra. La donna riconoscerà questo individuo in uno dei due uomini di cui era stato diffuso l’identikit.
Sulla base di queste notizie provo a esporre qualche interrogativo. Chi era al citofono? Famiglia ed inquirenti negli anni hanno sostenuto la teoria dell’inganno, ovvero che dall’altra parte del ricevitore ci fosse o qualcuno che si è finto Alessandro, oppure qualcuno che diceva di essere con Alessandro. Personalmente fatico a immaginare questo tipo di soluzione. Ho provato a mettermi sia nei panni di Mirella, sia nei panni di un ipotetico rapitore.
Nei panni di Mirella I
Rispondo al citofono e rimango stranita dall’interlocutore, al punto che affermo che non sono disposta a scendere finché non mi viene dato riscontro circa l’identità della persona con cui sto parlando. Per quanto io possa essere giovane ed ingenua, dopo che mi sono venuti dubbi sulla persona al citofono, che non riconosco, mi sarebbe bastato un “sono qui con Alessandro, il tuo compagno delle medie”? Penso che chiunque avrebbe d’istinto risposto “E perché fa citofonare te, e non mi ha citofonato lui?”.
L’ipotesi di una persona che spiegasse a Mirella di essere con Alessandro, che magari aspettava in macchina, è stata in più occasioni proposta da Maria Antonietta, ma non funziona. Perché non scende Alessandro? Non ha la patente quindi non è costretto in macchina perché accostato “di fortuna”. Non regge l’idea che, rispondendo a Mirella, la quale afferma “se non mi dici chi sei non scendo”, lo sconosciuto abbia risposto “sono qui con Alessandro, che sta aspettando in macchina, c’è la reunion alla Statua del Bersagliere” perché a Mirella, che è giovane ma non cretina, non sarebbero tornati i conti.
Tra tutte le amiche ed amici, la avvisa uno sconosciuto che dice di essere in macchina con Alessandro? E chi è costui, cosa c’entra con la rimpatriata di terza media? Come fa Alessandro a ritenere che Mirella non sia già stata avvisata? No, Mirella avrebbe chiesto qualcosa di più e, data la deposizione ripetuta più volte dalla madre, sappiamo che non rivolse ulteriori domande.
Nei panni di Mirella II
L’altra ipotesi è che il presunto rapitore si sia finto Alessandro. Un uomo adulto avrebbe dovuto simulare la voce di un ragazzino. Ammesso che i maschi si sviluppano proprio in quegli anni, quanto verosimile può essere l’eventualità che l’ignoto abbia optato per l’eventuale scusa del “cambio di voce”?
Ancora nei panni di Mirella: un ragazzo che oltretutto un po’ mi piace, mi suona al citofono e mi dice che insieme agli altri ci troviamo sotto la Statua per una rimpatriata. Inoltre non vedo questo Alessandro da più di cinque mesi, e la mia risposta è un laconico “ah si Alessandro, ok…”? Ammettendo che non voglia esternare le mie emozioni, davvero non dico nemmeno “scusa non ti avevo riconosciuto dalla voce, da quanto! Come stai?” o qualcosa di simile.
Continuando sulla linea del non voler far trasparire le emozioni, una volta appeso il ricevitore la ragazza avrebbe dovuto, in modo naturale, almeno farsi scappare un sorriso. Invece la madre riporta che la ragazza aveva anche detto di non aver voglia di uscire. Si cambia frettolosamente la maglietta, si ravviva i capelli e, lasciando a casa documenti, borsa e soldi, esce dicendo che sarebbe rientrata subito, una cosa di dieci minuti.
Non so voi, ma quando avevo quell’età, se mi avesse citofonato a casa un ragazzo per cui avevo un certo debole, a mamma non avrei detto che sarei tornata subito, le avrei forse detto che sarei tornata presto e, nel caso la rimpatriata fosse andata per le lunghe, le avrei telefonato, quindi mi sarei portata quantomeno i soldi o i gettoni. Forse avrei indugiato anche qualche secondo davanti allo specchio
Nei panni del rapitore I
Anche rispetto all’azione del rapitore, a mio avviso, è necessario paventare tre ipotesi; quella che lo vedrebbe un maniaco isolato, mosso da desiderio personale, quella del “maniaco” nascosto dentro una persona nota e “fidata” oppure quella che lo inquadra come braccio operativo all’interno di una associazione criminale.
Nel primo caso, davvero poco probabile, il rapimento deve essere riuscito solo grazie a una fortuna spropositata. L’idea del maniaco sconosciuto funziona davvero poco: la letteratura e la psicologia criminale ci raccontano che gli individui, seriali o meno, mossi da impulsi, soprattutto sessuali, non pianificano, vengono sopraffatti dal desiderio e dalla frenesia. È la ragione per cui sono i più “facili da catturare”: l’impulsività e la non premeditazione li fanno agire in maniera approssimativa. In genere lasciano alle loro spalle un quantitativo non irrisorio di prove ed indizi.
Nel caso in questione dobbiamo inoltre ipotizzare che, per qualche motivo, lo “sconosciuto” fosse a conoscenza dell’indirizzo, degli orari del portinaio e debole di Mirella per Alessandro. L’azzardo di immaginare che abbia detto un nome “comune” (e chi non conosce un Alessandro?) e ci abbia beccato, mi pare ai limiti della fantascienza.
Infine, certa che l’immagine tracciata dalla famiglia circa la serietà della ragazza non sia da mettere in dubbio, possiamo sostenere che la Gregori non avrebbe seguito uno sconosciuto
Nei panni del rapitore II
L’unica pista papabile circa il “maniaco” è che questo fosse una persona che Mirella conosceva bene e con cui aveva una certa confidenza anzi, una buona confidenza dal momento che sfruttò il nome di Alessandro. Questo conoscente aveva segretamente sviluppato, nei confronti della quindicenne, un‘interesse morboso e perverso.
E’ un azzardo, ma su alcuni aspetti potrebbe funzionare:
E’ un habitué, quindi non desta interesse e difficilmente viene notato, così come il vederlo interloquire con Mirella non richiamerebbe l’attenzione. Posso ipotizzare che non sia un “brutto ceffo“, ma l’esatto contrario.
E’ una persona conosciuta che si è sentita libera di suonare al campanello di casa: un amico di famiglia, un vicino di casa/attività, una persona che orbitava nell’ambiente dell’oratorio, qualche dipendente dell’Avon, con cui collaborava. Tenderei ad escludere la scuola e i coetanei; questi ultimi possono solo, eventualmente, essere corresponsabili e, nel caso, loro malgrado.
E’ possibile che al citofono non sia stato subito riconosciuto e abbia semplicemente riferito, per attirarla in trappola, che aveva visto Alessandro al Monumento del Bersagliere. Se così fosse la sua reazione e le poche domande diventano più comprensibili.
Perché alla madre riferisce i fatti in maniera aderente? Semplice: lei ha già un fidanzatino e, probabilmente, non era troppo propensa a dirle “era X che mi avvisava che il ragazzo che piace a me sta al Monumento dei Bersaglieri“. Questa non è una bugia, è un omissis decisamente lecito.
La questione dei “dieci minuti e torno” e il non aver portato con sé borsa e documenti. Anche per questo la spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che non ha alcun appuntamento, al Monumento ci va solo per incontrarlo “casualmente“. Le può bastare vederlo e scambiare due parole furtive prima di rincasare.
Il punto che invece rimane inspiegabile è chi fosse e perché si trovasse proprio davanti a casa di Mirella, l‘uomo che la vicina Giovanna C. riconosce nell’identikit dei pedinatori di Emanuela Orlandi. La sua presenza avrebbe un senso solo se in connessione con il “maniaco”.
Nei panni del rapitore III
L’ipotesi del rapimento organizzato, da uno o più individui che agiscono per conto di un’organizzazione criminale, mi appare inverosimile. Se a me, criminale di professione, viene assegnato un compito, è perché sono in grado si assolverlo nella maniera più rapida ed efficiente possibile, ovvero scongiurando il rischio di essere identificato o di fallire la missione.

Posso dunque immaginarmi di andare a suonare il campanello di casa alla mia vittima, e con quale certezza? Se mi fingessi un giovane sedicenne, sono sicuro di potermi spacciare per Alessandro, che non conosco? il ragazzo potrebbe avere un timbro particolare o un difetto di pronuncia che ignoro? Cosa mi da garanzia che quel giorno Mirella non abbia altri impegni?
Dopo giorni, se non settimane, di pedinamenti e sopralluoghi, la sottrazione non la metterei in atto laddove la ragazza è conosciuta, in pieno pomeriggio e in una zona molto frequentata. Se la malavita organizzata, come probabile, ha avuto un ruolo nel sequestro, sicuramente non è stato quello di suonare il citofono.
Stranezza
A mio avviso la vera stranezza del caso di Mirella Gregori, che vanifica ogni tentativo di ricostruzione logica, sta nel fatto che nessuno, quel pomeriggio soleggiato di maggio, alle ore 15.30-15.45, quando i negozi – la maggior parte fa orario continuato- stanno aprendo, l’abbia vista percorrere quei 300 mt. che dal bar dell’amica Sonia De Vito la dividevano dal Monumento del Bersagliere. Nessuno.
Lungo il percorso ci sono molte attività, persone e autovetture in transito. Il Monumento al Bersagliere è ubicato vicino alla casa al n.91 di Via Nomentana: 230 mt., 3 minuti se percorsi a piedi. Facendo affidamento sull’opinione della famiglia che è sempre stata fermamente convinta della sincerità della ragazza, dovremmo ipotizzare che la ragazza sia stata sequestrata in questi pochi metri.
L’unico modo possibile per prelevare una persona contro volontà, in un luogo così vivo, è dietro la minaccia di un’arma puntata. Risulta comunque un’azzardo, le traverse che incontra lungo il percorso: via Messina e via Ancona sono vie strette, con palazzi alti e molte finestre.
C’è poi quell’indicazione di Sonia De Vito, poi smentita, secondo cui Mirella sarebbe andata con amici a suonare la chitarra a villa Torlonia. Villa Torlonia è sicuramente un luogo più idoneo ad una sparizione, con i suoi 13 ettari di parco e, ai tempi una parte ancora non accessibile in quanto presentava ancora gli scavi dei lavori di ristrutturazione. Sappiamo che non fu mai perlustrata in maniera approfondita.
Anche la strada che porta a Villa Torlonia, situata dalla parte opposta al Monumento al Bersagliere è ad alta frequentazione, dista circa 900mt. e 12 minuti a piedi da casa Gregori. Anche lungo questo tragitto Mirella non fu vista da nessuno, eppure era un caldo sabato pomeriggio di maggio.
E se nessuno avesse visto Mirella camminare in su e in giù per la via Nomentana perché in realtà, dal Bar Italia non era uscita? Dalla testimonianza della signora Gregori, apprendiamo che presso il bar di proprietà dei genitori di Sonia, la figlia e l’amica erano solite intrattenersi con un uomo adulto, che la madre riconoscerà nel 1985 nella persona di una guardia del corpo di Papa Giovanni Paolo II, Raoul Bonarelli, poi scagionò lo stesso. Su questo personaggio tornerò presto.
Sonia De Vito
Inutile girarci intorno, Sonia De Vito, accusata di reticenza e falsa testimonianza, accusa che sarà poi archiviata, rimane la figura centrale e più ambigua della questione Mirella. Sappiamo che sono amiche del cuore, da oltre otto anni, e che per la famiglia Gregori è come una figlia, le vogliono molto bene. È proprio questo il motivo che farà soffrire molto i Gregori quando, subito dopo la sparizione di Mirella, Sonia e i suoi, taglieranno i rapporti di netto.
Sono molti i dettagli che permettono ai dubbi di insinuarsi. Il primo riguarda la questione di Villa Torlonia. La villa viene indicata da Sonia a Maria Antonietta Gregori, come il luogo in cui si sarebbe recata Mirella, con amici a suonare la chitarra. La De Vito negherà di aver dato tale indicazione alla sorella di Mirella Gregori che, ancora oggi, è disposta a un confronto diretto sulla questione. Con una logica ineccepibile ha infatti più volte domandato “Per quale motivo mi sarei recata in quella Villa, disturbando anche la polizia perché ci facesse entrare a controllare se Mirella, o il suo corpo, fossero lì?”.
Purtroppo chi svolse le indagini all’epoca non insistette sulla questione e, a quanto mi è dato sapere, non interrogò mai i genitori di Sonia, gestori del Bar Italia. Com’è possibile? Come è possibile che non venga chiesto ai gestori del locale chi fosse il tizio adulto con cui, al bar, spesso si intrattenevano le due ragazzine e che, dal momento della scomparsa. nessuno vedrà più. Com’è possibile che non venga domandato ai De Vito da dove arrivassero le “ingenti disponibilità” di cui è stato chiesto di rendere conto alla figlia, Sonia De Vito, come è noto da procedimento n.1147/85 A.G.I., e 25/85 P.G. Com’è possibile che questi genitori non abbiano mai notato niente e nessuno?
Domande senza risposta
Sonia De Vito, come indicato nel precedente articolo, sarà intercettata mentre colloquia con un’amica, una commessa di un negozio di zona. Il fatto avviene nell’ex Bar Italia, al tempo “dell’intercettazione” Tavola calda “dal Baffo”.
In questa chiacchierata, riportata in una nota riservata del Sisde – resa nota nel 2016 dal giornalista Tommaso Nelli– la ragazza, palesemente turbata, afferma in chiaro riferimento alla scomparsa dell’amica Mirella Gregori, utilizzando modo verbale indicativo e non condizionale: “certo, lui ci conosceva, contrariamente a noi che non lo conoscevamo. Quindi poteva fare quello che voleva. Come ha preso Mirella poteva prendere anche me, visto che andavamo insieme”.
Nella medesima nota riservata, è possibile leggere che vi è il sospetto che anche Marco, un cameriere del Bar Italia, potesse essere a conoscenza di ulteriori elementi circa la scomparsa di Mirella Gregori. Perché non fu ascoltato? Ricordo inoltre che, nel periodo che corrisponde alla scomparsa della ragazza, al Bar Italia lavorava un altro cameriere: Giuseppe Calì. Calì Giuseppe fornirà agli inquirenti l’identikit di un individuo di pelle olivastra e capelli neri che pare combaciare con lo stesso indicato dagli amici di Emanuela Orlandi.
Di Sonia De Vito sappiamo anche che era a conoscenza dell’abbigliamento, marche comprese, indossato da Mirella Gregori, lo stesso abbigliamento che verrà elencato durante la telefonata anonima al bar dei Gregori, di cui parleremo, alla sorella Antonietta.
È altresì noto che la De Vito, più volte interrogata, ammetterà dopo essere stata messa sotto pressione dagli inquirenti, che quel giorno Mirella le avrebbe confessato di avere un appuntamento con un uomo alla Statua del Bersagliere, ma disse di non essere stata messa a conoscenza circa l’identità dello stesso. Se quanto afferma Sonia al bar mentre è segretamente ascoltata “lui ci conosceva” corrisponde al vero, allora avrebbe mentito in fase di indagine. Oppure ha mentito all’amica commessa, ovvero ha mentito entrambe le volte.
Considerazioni e interrogativi
Non essendo riuscita a trovare deposizione alcuna dei genitori di Sonia De Vito, sono portata a ritenere che non furono interrogati, assurda dal momento che il bar è locato in prossimità della casa di Mirella. D’altro canto appare inverosimile che non furono sentiti dal momento che un identikit fu fornito proprio da un cameriere del Bar Italia.
Possiamo credere che i genitori di una ragazzina di 15 anni, che ogni giorno vedono la figlia e la sua amica parlare a lungo con un loro cliente, non abbiano voluto approfondire la cosa? E’ verosimile che, con un fruitore che ogni giorno si reca al loro bar per mesi, non abbiano instaurato un dialogo anche superficiale? E le ragazzine? Appare abbastanza bizzarro immaginarle in animate conversazioni, quasi quotidianamente, con un uomo di cui non sanno il nome. Quando lo incontrano che dicono, “ciao coso”?
Circa Sonia De Vito, ovviamente, ci chiediamo il motivo che ha indotto lei e la sua famiglia a tagliare ogni rapporto con la famiglia di Mirella e a non dare nessun apporto valido alle indagini mostrandosi, al contrario, reticente nel fornire notizie che avrebbero potuto rivelarsi utili alle ricerche dell’amica.
Oggi, a distanza di quarant’anni, Sonia De Vito non vuole essere infastidita. I motivi e le ipotesi sono molteplici.
Come primo motivo possiamo ipotizzare è un silenzio figlio di minacce e paura. La ragazza e i suoi genitori videro la persona con cui Mirella si allontanò e questa, o chi per essa, ha minacciato i De Vito di ritorsioni molto pesanti qualora avessero fatto menzione dell’accaduto.
L’ipotesi non è da scartare. La zona era popolata da molteplici individui legati alla criminalità e, da quanto riportato in un articolo di Nelli “Vladimiro F., allora portiere di un hotel della zona, il 28 agosto 1983 fece mettere a verbale: “Non frequento più molto spesso il “Bar” […] perché non mi piace la gente che vi bazzica” .
Questa testimonianza andrebbe approfondita, sarebbe utile capire se la frequentazione da parte della “gente che vi bazzica” poco raccomandabile, di cui parla il portiere d’hotel sia successiva alla scomparsa di Mirella, oppure se era una tendenza già presente.
Qualora le persone “poco raccomandabili” avessero iniziato a frequentare il locale dei De Vito dopo il 7 maggio 1983, la tesi dell’intimidazione acquista valore. È infatti pratica frequente nel mondo criminale, quella che vede la presenza stabile di “elementi noti” con funzione di perenne monito, oltre che di sorveglianza, laddove si siano verificati episodi come quello che ipotizzo in questa prima possibilità.
Un secondo motivo che contribuirebbe a comprendere l’atteggiamento della famiglia De Vito è che un loro coinvolgimento diretto. Questa eventualità conduce a sua volta a strade differenti. La prima che potrebbe immaginare i De Vito una famiglia criminale tour-court che, già inserita nell’ambiente dell’illegalità, contribuisce all’atto criminoso per un corrispettivo in denaro.
La terza eventualità potremmo inserirla in un contesto che colloca la famiglia in una posizione intermedia tra la famiglia criminale e la famiglia sotto minaccia. Potrebbe essere il caso di un prestito elargito dalla mala, che si fatica a saldare. Tendenzialmente i debitori inadempienti vengono freddati senza molte remore, a meno che non abbiano legami diretti e familiari con il racket di riferimento o abbia di meglio da offrire.
Immaginiamo che il signor De Vito sapesse dell’interesse dei criminali per giovani ragazze destinate al mercato del sesso, il padre di Sonia avrebbe potuto proporre l’amica della figlia. Mirella era infatti una ragazza di bell’aspetto e che nutriva assoluta fiducia per tutta la famiglia dell’amica.
Questa ipotesi, s’intenda, è solo un’ipotesi , sarebbe la peggiore delle verità da sottoporre alla famiglia. Questa possibilità è nata dalla certezza che sempre hanno esibito i genitori e la sorella della Gregori, affermando che Mirella non avrebbe mai mentito né incontrato uno sconosciuto. E se a suonare fosse stata Sonia, suo padre o uno dei camerieri? Sonia avrebbe potuto chiedere all’amica di dire quelle cose, liquidando il tutto con un “dai scendi che poi ti spiego” o addirittura essersi accordate in precedenza. Infatti uscita da scuola, la Gregori prima di salire nel suo appartamento si intrattiene con Sonia per qualche minuto.
La “bugia” detta alla madre sarebbe, se richiesto dall’amica del cuore, una “non bugia”. Una casistica di questo tipo spiegherebbe il motivo per cui Mirella Gregori esce di casa senza borsa e documenti, perché non indugia allo specchio e perché è convinta che in 10 minuiti sarebbe stata di ritorno. L’idea che Mirella non abbia lasciato il bar, perlomeno nell’immediato, trova supporto nella totale assenza di testimoni che avrebbero dovuto vederla transitare in quei 300 metri che la separavano dalla Statua del Bersagliere.
La ragazza che sappiamo fermarsi a chiacchierare con l’amica nel bagno del locale, potrebbe essere stata drogata o sedata e, successivamente, consegnata alla persona interessata.
Per ognuna di queste tre casistiche, potrebbe trovarsi la giustificazione per quelle “ingenti risorse” di cui si trova notizia nella documentazione presentata dal Giudice dott. Giovanni Giorgianni del Tribunale di Roma.
Nel prossimo articolo andrò a concludere il focus su Mirella, inquadrando l’amerikano, Bonarelli e lo strano episodio che coinvolse lo stesso Sandro Pertini, per poi introdurre importanti personaggi che caratterizzeranno l’intero processo nella ricerca della verità
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