Gian Paolo Pelizzaro & Rossella Pera
«Ho conosciuto nel 1979 i cugini di Emanuela Orlandi, Pietro e Giorgio Meneguzzi. Nel 1982 sono andato alla Presidenza del Consiglio. Nel luglio-agosto 1982 incontrai Monica Meneguzzi, sorella dei citati Meneguzzi. Nel 1983, conobbi Vincenzo Parisi, tramite il quale entrai nel SISDE, formalmente entrai nel Servizio il 16 aprile 1983 presso il Raggruppamento Centri».
È l’ultima deposizione di Giulio Gangi, romano, nato il 21 giugno 1960 e morto il 2 novembre dello scorso anno, per dieci anni agente del servizio segreto civile. È il 23 ottobre del 2008 quando tre magistrati della Procura di Roma, i sostituti procuratori Andrea De Gasperis, Simona Maisto e Roberto Staffa, mettono a verbale le dichiarazioni di Gangi, convocato quella mattina presso l’ufficio della compianta dottoressa Maisto (scomparsa dieci giorni prima di Gangi, il 23 ottobre 2022, in seguito a una grave malattia) nella cittadella giudiziaria di Piazzale Clodio, nell’ambito del procedimento penale sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori.
Gangi a verbale citava il prefetto Vincenzo Parisi: vice direttore del SISDE dal 27 aprile 1980, era la mente strategica del servizio segreto civile nato meno di cinque anni prima con la legge di riforma del comparto dell’intelligence 24 ottobre 1977 n° 801. Stimatissimo da Oscar Luigi Scalfaro, Parisi venne promosso prefetto nel marzo 1984 e quindi nominato direttore del SISDE e poi (il 22 gennaio 1987, sempre con Scalfaro al ministro dell’Interno) capo della Polizia. È morto prematuramente il 30 dicembre 1994, all’età di 64 anni. Parisi in veste di capo della Polizia era stato sentito come testimone dal giudice istruttore Adele Rando, nell’ambito dell’inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi. Era il 9 febbraio dl 1994:
«All’epoca del fatto per cui si procede e cioè nel giugno ’83 rivestivo la qualifica di vice direttore del SISDE ed avevo la direzione operativa dell’organismo, in assenza del titolare della direzione, prefetto Emanuele De Francesco, che nello stesso periodo esercitava le funzioni di Alto Commissario Antimafia e di Prefetto di Palermo».
In chiusura di verbale, a domanda specifica del magistrato, l’allora Capo della Polizia smentì la notizia diffusa dai familiari della ragazza scomparsa circa le modalità di reclutamento dell’avvocato Gennaro Egidio: «Non conosco l’avvocato Egidio né mi risulta che l’organismo abbia suggerito alla famiglia Orlandi di chiederne il patrocinio». Questo sembra, pertanto, avvalorare quanto ebbe a dichiarare lo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi, al compianto Andrea Purgatori nella intervista pubblicata dal “Corriere della Sera” il 28 luglio 1983 (titolo “Colloquio fra il giudice e lo zio di Emanuela”) e cioè che fu proprio lui, Meneguzzi, e non un funzionario del SISDE a far nominare l’avvocato Egidio «Sono stato io a nominare l’avvocato Egidio, perché lo ritengo più adatto a questo genere di cose del mio legale abituale, l’avvocato Gatti».
Purgatori, di fronte al nome di Egidio evocato da Meneguzzi, ebbe a manifestare delle perplessità: «Se, infatti, è vero che Gennaro Egidio si è occupato del caso Rothschild-May-Guerin […] è anche vero che l’avvocato Adolfo Gatti, un penalista tra i più conosciuti, si è occupato del rapimento Bulgari. Dunque quale sarebbe il “genere di cose” per cui lo zio di Emanuela ritiene più esperto Egidio? Questioni internazionali, economiche, valutarie? Possibile, visto che il legale […] ha una consumata esperienza nelle “court”, oltre che nei tribunali italiani, tanto che si è trovato a Londra per seguire il caso Calvi». Le evidenze consegnano l’indicazione dell’avvocato Egidio allo zio della giovane cittadina vaticana. Escluso il SISDE, ad oggi resta un mistero invece chi, e per quale motivo, si occupò per anni del pagamento degli onorari del professionista.
L’articolo di Purgatori affrontava anche altre singolarità: a partire dall’atteggiamento all’apparenza evasivo dei genitori della ragazza e dai motivi che li spinsero – soprattutto dopo il primo appello di Giovanni Paolo II del 3 luglio 1983 – a non apparire in prima persona: «Protagonista involontario di questi 35 giorni del sequestro di Emanuela nella veste di portavoce ufficiale della famiglia Orlandi, Mario Meneguzzi ripete ormai di non sapere nulla e aggiunge un “no comment”».
L’attenzione veniva quindi rivolta a un dettaglio emerso nel corso della revisione degli atti compiuta dal nuovo titolare delle indagini, il sostituto procuratore Domenico Sica, subentrato pochi giorni dopo lo scadere dell’ultimatum (20 luglio) fissato dai presunti rapitori della ragazza alla collega Margherita Gerunda. Si tratta di un episodio che coinvolse un’altra giovane donna di casa Orlandi la quale, stando a quanto riporta l’articolo di Purgatori del 28 luglio 1983, sarebbe stata «avvicinata con una proposta simile a quella ricordata dalla signora Orlandi, distribuire cioè cosmetici della Avon».
A sortire un certo interesse sono le riflessioni che il “Corriere della Sera” esplicitava nel penultimo capoverso e che – dopo le rivelazioni della scorsa settimana circa un presunto coinvolgimento dello stesso Mario Meneguzzi nella sparizione della nipote Emanuela – riportano nuovamente l’attenzione su Natalina Orlandi. Chi scrive è rimasto particolarmente colpito nel ritrovare in questo vecchio articolo di giornale una serie di dettagli ed elementi tutti convergenti sulla figura della sorella maggiore della quindicenne cittadina vaticana scomparsa:
«Nel messaggio inciso su nastro i rapitori facevano riferimento ad un anno dell’infanzia di Emanuela, trascorso in territorio italiano. Notizia vera a metà: la sorella Natalina ha vissuto un anno in Italia, non Emanuela. Gli altri due punti del messaggio erano anch’essi riferiti a Natalina Orlandi: non porta più gli occhiali; a settembre si sposerà davanti a un sacerdote amico di famiglia. Singolare che per provare la disponibilità dell’ostaggio i rapitori non abbiano pensato a rivelare particolari su Emanuela prestando invece attenzione a Natalina».
Torniamo a Giulio Gangi
L’ex agente del SISDE era già stato ascoltato 15 anni prima, sempre come testimone, dall’allora giudice istruttore Adele Rando nell’ambito dell’inchiesta istruita con vecchio rito di procedura penale, archiviata il 17 dicembre 1997: «Sono stato sentito per la prima volta sul caso Orlandi nel 1993». Figura tragica e controversa, a tratti contraddittoria, a metà tra un maldestro ispettore Clouseau e un invasato agente Austin Powers, dotato di un innato fiuto investigativo, ma sprovvisto della benché minima prudenza e di una competenza specifica, il giovane Giulio Gangi si gettò a peso morto sul caso Orlandi, grazie a un irripetibile e crudele gioco del destino. Quella che sembrava essere per lui una straordinaria occasione per fare carriera, si trasformò in breve tempo in una fonte di guai senza fine:
«Nel giugno 1983, leggendo il giornale [il primo trafiletto sulla scomparsa della quindicenne cittadina vaticana venne pubblicato da “Il Tempo” il 24 giugno 1983] appresi del sequestro Orlandi – aggiunse Gangi a verbale – Il mio amico Marino Vulpiani mi accompagnò a casa degli Orlandi dove trovai Mario Meneguzzi. Appresi da Pietro Meneguzzi e Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, che un vigile urbano, Sambuco, e un poliziotto, Bosco, potevano sapere qualche cosa sulla Orlandi. Mi recai con Pietro Orlandi e Pietro Meneguzzi a parlare con il Sambuco e il Bosco. In particolare, il Sambuco disse che aveva visto un’auto, dapprima indicandola come Mercedes e poi come BMW scura, condotta da un uomo sui 30-35 anni, descritto come “biondino stempiato”. Precisò che l’autovettura era parcheggiata su corso Rinascimento, davanti al palazzo del Senato, sul lato opposto della strada. Il Sambuco aveva potuto notare che l’uomo parlava con una “ragazzetta” e lo aveva invitato a spostare l’auto che si trovava in divieto di fermata. Il giovane, scusandosi con il vigile, aveva detto alla “ragazzetta” che si sarebbero visti dopo».
Su tempi e modi con cui entrò in contatto per la prima volta con gli Orlandi dopo il mancato rientro a casa di Emanuela, Gangi – il 25 gennaio 1994, al giudice istruttore Adele Rando e al sostituto procuratore Antonio Albano – fornì una versione sostanzialmente identica a quella resa nel 2008:
«Ribadisco che ho iniziato a occuparmi del caso Orlandi subito dopo la scomparsa della Emanuela, circa due o tre giorni dopo, a titolo personale in ragione dei pregressi rapporti di conoscenza che mi legavano alla famiglia Meneguzzi».
La testimonianza del vigile San Buco
Il vigile urbano citato da Gangi era il viterbese (era nato a Blera) Alfredo Sambuco, appartenente al 1° Gruppo Monserrato, quel mercoledì 22 giugno 1983 in servizio davanti all’ingresso di Palazzo Madama su corso Rinascimento. Uno degli autori di questo articolo raccolse la sua testimonianza, pubblicata in una intervista dal quotidiano milanese “L’Indipendente” il 22 dicembre 1993:
«Ero di servizio come oggi [era il 21 dicembre 1993], all’entrata del Senato. Ad un tratto, vidi quella ragazza che veniva giù da corso Rinascimento, dal lato opposto a dove ero io. Proveniva da piazza Sant’Apollinare ed era diretta verso un’automobile in sosta davanti al civico 57 di corso Rinascimento. All’epoca era tutto divieto di sosta, fino a corso Vittorio. Ecco perché m’avvicinai a loro: volevo dire all’uomo che guidava che lì non poteva sostare».
Che vettura era? «Era una BMW: un modello del 1978, mi pare una 530 (quello era un modello esportato soltanto per il mercato americano e canadese. Ne vennero prodotti 65.700 esemplari, ndr)». Era di «un colore scuro: un verde metallizzato». Che ore erano: «Erano le 5 del pomeriggio. Guardi, quando raccontai questa storia a Donatella Raffai [si riferiva alla puntata della trasmissione “Chi l’ha visto?” del 12 ottobre 1993, all’epoca diretta dalla compianta collega scomparsa all’età di 78 anni l’8 febbraio 2022] dissi che erano circa le 19. Mi sono sbagliato. Rettifico: mancavano pochi minuti alle 17. D’altro canto, questo è l’orario che riferii sia ai carabinieri sia a Domenico Sica quando mi chiamarono per interrogarmi».
Il vigile Sambuco in quella intervista ricordò anche un altro particolare: «Ad un tratto, Emanuela mi chiese dov’era la Sala Borromini. Ed io le mostrai la strada per andare alla sala dell’Oratorio San Filippo Neri, in piazza della Chiesa Nuova. L’uomo tornò all’auto e lei proseguì lungo il marciapiedi».
La versione dei fatti fornita dal vigile urbano ha suscitato, negli anni, giudizi discordanti. A noi è parsa, sostanzialmente, coerente, rispetto a quella più opaca del collega poliziotto Bruno Bosco, il quale – da parte sua – ha sempre rifiutato di farsi intervistare. Sambuco, da parte sua, prima di essere stato sentito dagli inquirenti, il 2 luglio 1983 – nove giorni dopo essere stato individuato e interpellato da Natalina Orlandi, dal suo fidanzato Andrea Mario Ferraris e dal cugino Pietro Meneguzzi – redasse una relazione di servizio, indirizzata dal dirigente della Squadra Mobile della Questura di Roma:
«Il giorno 22 giugno 1983, mentre espletavo il servizio con orario 14-21, in piazza Madama presso il Senato, verso le ore 17:00 circa notavo un’autovettura tipo BMW vecchio tipo parcheggiata sul lato destro della strada [seguendo il senso di marcia a senso unico consentito e cioè in direzione corso Vittorio Emanuele]: vicino alla stessa vi erano un uomo e una donna che discutevano e, nel contempo, l’uomo mostrava alla donna una borsa contenente presumibilmente cosmetici. Essendo la strada con divieto di fermata, facevo notare al conducente che non poteva sostare. Il predetto mi rispondeva: vado via subito. L’uomo di cui sopra, era di statura 1,70-1,75 circa, molto stempiato sul davanti. La donna molto giovane con capelli lunghi scuri».
Per tarare meglio la testimonianza del vigile urbano citato da Giulio Gangi occorre rileggere quanto ebbe a dichiarare il 18 ottobre 1985 al giudice istruttore Ilario Martella, titolare del procedimento penale (rito formale) sulla scomparsa della giovane cittadina vaticana. Dopo aver confermato quanto da lui rassegnato nella relazione di servizio del 2 luglio 1983, Sambuco dichiarò: «Sono centro del giorno, per quanto riguarda l’ora, invece, l’indicazione è piuttosto approssimativa». Da qui, l’incertezza sull’orario che aveva portato Sambuco – nell’ottobre 1993, quando venne intervistato da Fiore De Rienzo per la citata puntata di “Chi l’ha visto?” – a collocare l’episodio verso le ore 19, invece che poco prima delle 17. Circostanza, questa, poi rettificata nella citata intervista a “L’Indipendente” del 22 dicembre dello stesso anno.
Nella sua deposizione al giudice Martella, Sambuco descrisse sia la ragazza che l’uomo che vide con lei accanto alla BMW: «Altezza all’incirca m 1,6, comunque non alta. Capelli lunghi di colore scuro. Corporatura normale, età apparente circa 18 anni [e sulle caratteristiche dell’uomo] Altezza tra m 1,75-1,80, età apparente 40-45 anni. Colore della pelle non chiaro, capelli castani, molto stempiato sul davanti». In tutte le sue testimonianze, il vigile Sambuco non ha mai parlato della Avon, dettaglio che invece emerge nelle deposizioni dell’agente di polizia Bosco. Tornando al verbale di Sambuco del 18 ottobre 1985, il giudice istruttore chiese al vigile urbano se conoscesse l’agente di polizia Bruno Bosco e questa fu la risposta del teste: «Sì, entrambi svolgiamo il nostro servizio in piazza Madama ed entrambi siamo stati più di una volta avvicinati dai familiari di Emanuela Orlandi per avere notizie attinenti alla scomparsa della ragazza».
Giulio Gangi, nella sua ultima deposizione del 23 ottobre 2008, fornì questa versione dei fatti appresi all’epoca da Bosco e Sambuco, da lui intervistati per il SISDE: «Dal Bosco appresi che l’auto era una BMW Touring giallino-verdino brillante, posizionata contro mano, condotta da un giovane che aveva le stesse caratteristiche descritte dal Sambuco. Mi disse in particolare che sul cofano anteriore della auto era posta una borsa sulla quale campeggiava una lettera “A” iniziale di una parola più lunga, borsa dalla quale, presente la “ragazzetta”, traeva dei campioncini di profumo. Il Bosco mi disse che aveva visto il Sambuco attraversare la strada e avvicinarsi al giovane. Il Bosco vide l’auto allontanarsi contro mano verso piazza delle Cinque Lune e la “ragazzetta” seguire la stessa direzione a piedi [quindi verso piazza Sant’Apollinare, come aveva dichiarato Sambuco quindi anni prima a “L’indipendente”]. Richiesi successivamente al Sambuco precisazioni sul colore della BMW, Sambuco ribadì che l’auto era scura».
Analizzando questi elementi, possiamo trarre alcune conclusioni: Bosco e Sambuco forniscono una versione dei fatti in larga parte coincidente, anche sulla incerta definizione dell’orario in cui videro questa scena quel giorno, ma con evidenti discrepanze sull’età dell’uomo visto in compagnia della ragazza su corso Rinascimento, sulla esistenza o meno di una borsa o oggetto simile con la scritta Avon – Bosco, nella sua deposizione al giudice istruttore Ilario Martella del 18 ottobre 1985, affermò di aver visto intorno alle ore 17 («debbo però dire che si tratta di un orario da me indicato in via alquanto approssimativa») un’autovettura quasi sicuramente una BMW vecchio tipo «di colore verde chiaro, il cui conducente, stando sul marciapiede nei pressi del veicolo, parlava con una ragazza, mostrandole, nel contempo, un tascapane di colore tipo militare su cui risultavano all’evidenza applicate delle lettere maiuscole (forse di plastica) costituenti la parola Avon» – e soprattutto sul colore del veicolo visto quel giorno. Per l’agente Bosco era verde chiaro. Per Sambuco era di colore scuro. Queste discordanze tendono a escludere che i due testimoni si siano suggestionati o plagiati a vicenda rimuginando su quanto vennero a sapere parlando con i familiari della ragazza scomparsa.
Se Bosco e Sambuco avessero, in qualche modo, rielaborato e ripetuto quanto appreso dai vari Natalina Orlandi e dal suo fidanzato, da Pietro Orlandi e da suo cugino Pietro Meneguzzi il 23 giugno 1983, avrebbero concordato una versione dei fatti univoca e sovrapponibile, soprattutto in merito alla Avon, dettaglio, questo, in possesso prima di tutto degli Orlandi. Sul colore della BMW ciascun testimone ha raccontato ciò che pensava di aver visto quel giorno, probabilmente sovrapponendo o invertendo i ricordi. Bosco e Sambuco, infatti, potrebbero aver visto quell’auto anche prima del 22 giugno 1983. E in effetti, agli atti della vecchia istruttoria, c’è traccia di un uomo di 51 anni ben portati (all’epoca dei fatti), stempiato sul davanti, proprietario di due BMW 520, una verde metallizzato e una grigia metallizzata, che frequentava la figlia di una coppia che lavorava alla scuola di musica sacra Tommaso Ludovico Da Victoria, con sede nel palazzo di Sant’Apollinare, frequentata dalla giovane vittima. Si tratta di una avvenente ragazza mora, dai capelli mossi, che attendeva unicamente e con frequenza irregolare le lezioni di canto corale del maestro monsignor Valentino Miserachs Grau insieme a Emanuela Orlandi.
RIPRODUZIONE RISERVATA ©