Premessa
La documentazione, gli articoli di giornale, i video e quant’altro inerente il caso Orlandi, è un po’ come un caleidoscopio: a seconda di come si gira, a seconda di come si guarda, offre chiavi di lettura e notizie che ti chiedi come sia possibile non aver rilevato prima.
Rileggendo la sentenza del giudice Adele Rando, quella del 1997, emergono dei dati che a loro volta portano alla luce ulteriori fatti e, in un certo senso, provano a rispondere ad alcune delle domande che per anni ci siamo posti e, in più occasioni, sono finite al centro di diatribe tra le varie posizioni. Ho sempre ritenuto che gli eventi legati all’immediatezza della scomparsa siano i più rilevanti, nonché quelli dal maggior potenziale rivelatorio. Parimenti, le risultanze investigative dei primi anni, al netto della concreta volontà depistante, dovrebbero consegnare un quadro più manifesto, delle forze che orbitano intorno al sequestro Orlandi.
Anche il termine sequestro, ad esempio, è ciclicamente oggetto di diatriba. Una diatriba che nasce da una personalissima interpretazione che si vuole conferire al termine. Mi duole dover contraddire autorevoli penne, ma conferendo ad un termine un connotato semanticamente inesatto, senza spiegarne la motivazione, si rischia di fuorviare il lettore, al quale si consegna un’informazione fallace del termine che, nella quotidianità, non è ad esclusivo utilizzo del caso Orlandi.
Se ci riferiamo ad una persona che nell’immediatezza, o in un momento successivo si trova nella condizione di non poter tornare a casa, anche qualora in quella situazione si trovi a causa di scelte sbagliate, Ci troviamo, ad ogni modo, davanti ad un sequestro. Fattispecie che può essere solo aggravata dalla coercizione o dall’inganno.
Il termine è corretto sia dal punto di vista giuridico sia da l punto di vista linguistico. Partendo da “sua santità” il Dizionario Zanichelli, passando dal Garzanti, al Nuovo Devoto (Le Monnier) e via discorrendo, la definizione condivisa del termine è:
Atto di chi sottrae e/o trattiene qualcuno con la forza, con l’inganno: architettare un rapimento; il famoso rapimento di Elena. SIN. ratto, sequestro, prelievo. (Zanichelli – Lo Zingarelli)
Portare via con sé qualcuno con la violenza o l’inganno: l’Innominato fece r. Lucia (Garzanti – Grande Dizionario Italiano)
Accomodato l’italiano passiamo alla legge. Il rapimento in giurisprudenza, si configura con il reato di sequestro di persona, disciplinato dall’art. 605 del Codice penale. Il sequestro di persona rientra nei reati volti a limitare la libertà personale dell’individuo, ovvero la privazione totale o parziale della libertà di movimento e di spostamento. Cito testualmente:
La norma in esame punisce la privazione della libertà personale per una durata di tempo apprezzabile, e costituisce una ipotesi di reato permanente. Per la configurabilità del delitto è richiesto che il soggetto passivo non possa riuscire da solo a recuperare la libertà, anche qualora il soggetto passivo non si attivi in tal senso, quando la libertà non sia recuperabile con immediatezza, agevolmente e senza rischi. Il reato si consuma nel momento in cui la libertà personale viene privata per un tempo apprezzabile, in maniera tale da superare la soglia di offensività. La norma richiede il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di privare il soggetto passivo della libertà personale. È prevista l’applicazione di circostanze aggravanti specifiche qualora il soggetto privato della libertà sia un ascendente, un discendente o il coniuge, o qualora il soggetto agente sia un pubblico ufficiale, se il fatto è commesso con abuso dei poteri. Qualora il colpevole cagioni la morte del soggetto passivo minorenne si applica la pena dell’ergastolo. La disposizione in esame disciplina inoltre l’applicazione di una circostanza attenuante specifica, da riconoscersi nei casi in cui vi sia ravvedimento operoso da parte dell’autore del delitto.
Il delitto di sequestro di persona consiste nella privazione o restrizione volontaria della libertà personale fisica di una persona, quale illegittimo impedimento posto volontariamente ad una persona al fine di privarla delle sue possibilità di locomozione e movimento.
La condotta tipica è rappresentata dal compimento di atti idonei a privare qualcuno della propria libertà personale, i quali possono consistere in atti di costringimento fisico, in atti, anche moralmente, violenti, o fraudolenti. Tali atti possono avere natura commissiva, come ad es. il legare una persona, od omissiva, quali ad es. non liberare il soggetto passivo prolungandone la privazione della libertà personale, ecc.
Con questa esplicazione, i dubbi dovrebbero essere evasi. I sostantivi rapimento, ratto o sequestro, in riferimento alla scomparsa di Emanuela Orlandi, fuorché nel caso si sia recata volontariamente a svolgere un’attività che l’ha condotta alla morte, senza mai cambiare idea e senza essere stata sottoposta ad angherie o drogata, rappresentano la terminologia più appropriata.
La riunione fantasma
«Era quindi reiterata in data 7.3. 95 la medesima commissione rogatoria nella quale parimenti si sollecitava la partecipazione agli atti dell’A. G. rogante, formulando stavolta espressamente i quesiti da sottoporre ai testi, quesiti che concernevano indagini eventualmente svolte all’interno del Vaticano, acquisizioni documentali ivi pervenute e non trasmesse, modalità di attivazione e funzionamento della linea telefonica riservata, possibili trascrizioni o annotazioni delle telefonate effettuate, nonché il riscontro di una riunione asseritamente avvenuta presso la Segreteria di Stato nell’immediatezza della scomparsa di Emanuela e alla quale avrebbero partecipato S.E. Card. Casaroli, Mons. Re e Mons. Martinez, circostanza questa che aliunde dagli atti emergeva».
Acquisiamo da queste righe estratte dalla Sentenza istruttoria di proscioglimento, la convinzione del giudice Adele Rando, convinzione risultante da informazioni a lei pervenute, di un’avvenuta riunione relativa alla scomparsa di Emanuela Orlandi che avrebbe avuto luogo “nell’immediatezza della scomparsa”.
Siffatte parole non sono regalate a un fortunato giornalista durante un’intervista e neppure confidenze fatte a un collega o ad un amico: sono fissate nere su bianco nelle conclusioni di una Sentenza, vale a dire in un documento ufficiale, generalmente redatto con estrema attenzione e con un’accurata selezione della terminologia, “immediato” significa, da dizionario Lo Zingarelli: “che avviene subito, senza intervallo di tempo: soccorso immediato; pagamento immediato”. Se la dottoressa Rando ha ritenuto importante inserire questa precisazione la fonte, come da evidenza, è indiscutibilmente più che attendibile.
Preso atto di ciò, la logica ci conduce a ritenere che, se una riunione è intercorsa nell’immediatezza della scomparsa, ossia o la medesima sera o il giorno successivo, quanto sostenuto da monsignor Viganò, vale a dire che la sera del 22 giugno 1983, il centralino Vaticano ricevette la telefonata, corrisponde al vero. Questa circostanza, può essere avvalorata da di chi vi scrive, perché suggerita in un documento di cui la sottoscritta detiene copia e che non allego, avendo garantito la non pubblicazione.
Una riunione non determinata dalla telefonata che i sequestratori avrebbero fatto al centralino nelle suddette tempistiche, non essendosi la famiglia precipitata a darne notizia, non potrebbe indicare altro che una diretta responsabilità della Santa sede, rispetto il destino della cittadina vaticana.
Le prime menzogne vaticane
Quanto riportato, concorre a confermare che, sin dalle prime ore il Vaticano è stato a conoscenza di quanto occorso ad Emanuela Orlandi senza, nemmeno in un secondo tempo, renderne edotte le autorità italiane ma, al contrario, ostacolando deliberatamente il processo di ricerca della verità. Sempre dalla Sentenza di proscioglimento:
«Evidenziava Parisi, peraltro duramente , che l’incontro con Mons. Monduzzi, avvenuto in data 11.7.83, era stato assolutamente infruttuoso dal punto di vista degli impulsi investigativi; che era percepibile un costante riserbo della Santa Sede, che aveva di fatto precluso qualsiasi attività conoscitiva, di tal che le indagini avevano nel loro complesso risentito di ciò che il teste definiva “diaframma”; escludeva quindi nella Santa Sede qualsiasi volontà di collaborare al progresso delle attività investigative, in quanto pur “disponendo di contatti telefonici e probabilmente diversi, non rese partecipi dei contenuti dei suoi rapporti la magistratura e le Autorità di Polizia”. Ipotizzava infine il teste una sofisticata operazione di disinformazione e di depistaggio, alla quale doveva ricondursi probabilmente la vicenda Gregori. Il tenore di tali dichiarazioni […] rendeva necessaria l’introduzione di due commissioni rogatorie in data 2.3.94 e 7.3.95 davanti alla competente Autorità Giudiziaria della Città del Vaticano. Le prefate rogatorie seguivano una prima commissione rogatoria introdotta dal G.I. allora procedente in data 13.11.86 ed avente ad oggetto appunto l‘eventuale acquisizione di documenti o informazioni pervenuti direttamente al Vaticano e concernenti la scomparsa delle due giovani. L’esito era stato negativo, nel senso che si escludeva la conduzione di un’inchiesta interna al Vaticano in ordine ai fatti per i quali doveva ravvisarsi una competenza esclusiva dell’Autorità Giudiziaria italiana. Tuttavia […] congiuntamente al Giudice Istruttore titolare della terza inchiesta sull’attentato al Sommo Pontefice (cfr. voi I fase. 35 fg 8698) in ordine alle telefonate pervenute sull’utenza riservata nonché agli inutili tentativi di identificare gli sconosciuti interlocutori, riteneva che proprio quest’ultima circostanza provasse l’esistenza di qualche informatore interno alla Segreteria di Stato; esprimeva inoltre la personale convinzione che negli archivi della stessa Segreteria fossero custoditi documenti inerenti al caso».
Se quanto sinora appreso dovesse trovare conferma, la gravità del fatto e i conseguenti danni causati, in primis alla famiglia, avrebbero una portata devastante. Sono già in numero di tre le menzogne che nei primi momenti, propaga la Santa Sede: la negazione della telefonata al centralino vaticano, negazione della riunione tra il cardinale Agostino Casaroli, mons. Giovanni Battista Re e mons. Eduardo Martinez Somalo e, naturalmente la negazione delle suddette menzogne.
L’Angelus depistante di Giovanni Paolo II
A pochi giorni dalla scomparsa di Emanuela, con grande sorpresa della stessa famiglia Orlandi, che in quei primi momenti brancola nel buio, affidandosi a chiunque sembra poter fornire una minima informazione, da una finestra di San Pietro sono raggiunti da una notizia che, considerata l’autorità che la divulga, ha il sapore della certezza.
È il 3 luglio del 1983, sono intercorsi undici giorni dall’ultima volta che Emanuela è stata vista dai suoi genitori e dai suoi fratelli quando, il pontefice Giovanni Paolo II, nomina la cittadina vaticana durante l’Angelus domenicale, alla presenza di 40.000 fedeli riuniti nella piazza delimitata dal colonnato del Brunelleschi:
«Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso. Elevo al Signore la mia preghiera perché Emanuela possa presto ritornare incolume ad abbracciare i suoi cari, che l’attendono con strazio indicibile. Per tale finalità invito anche voi a pregare».
Come apprendiamo dal blog di Emanuela Orlandi, nelle note della sala stampa, l’intervento afferente la giovane cittadina vaticana, è indicato dalla voce “sequestri di persona”. Questa indicazione ci comunica che le parole di Karol Wojtyla sono state stato precedentemente soppesate. inoltre, l’intervento a braccio, talvolta insidioso, non è mai stata una prerogativa del papa polacco, che era solito leggere le sue dichiarazioni. Quel 3 luglio non fa eccezione; nulla induce a ritenere che l’intervento stilato, non abbia goduto dell’usuale e meticolosa attenzione, da sempre riservata ai discorsi scritti.
L’accento va piuttosto posto su quello che si è portati a desumere dalle parole di Wojtyla:
Qualora si assumano per verità le parole asserite dal pontefice, piuttosto che si ritenga che lo stesso sia stato ingannato, quindi nella buona fede delle sue pubbliche dichiarazioni, non possiamo che concludere che le stesse comprovino l‘effettività di una preventiva ed accurata indagine.
Qualora sia venuta meno l’indagine e il pontefice, al cospetto di 40.000 persone, si fa portatore di un messaggio non rispondente a verità, dobbiamo concludere che si va prefigurando una volontà depistante fraudolenta e dolosa.
In ambo i casi appare indubbio che tanto per comunicare l’esito delle indagini, quanto per progettare un depistaggio, una riunione preventiva deve aver avuto luogo.
L’Amerikano e il documento del riscatto
La controversa figura dell’anonimo telefonista, noto con il nome di Amerikano, fa il suo ingresso a due giorni esatti dall’appello del pontefice; circostanza che solleva più dubbi circa un possibile coinvolgimento della Santa Sede nell’organizzazione di un depistaggio dai connotati internazionali. Per la prima volta, dal 22 giugno, colui che si mette in contatto non agisce con l’obiettivo di prendere tempo o confortare la famiglia, come nel caso di Pierluigi e Mario ma, l’anonimo al telefono rivendica il sequestro in qualità di forza politica che, come merce di scambio, richiede la liberazione del terrorista turco, e attentatore di papa Giovanni Paolo II, Mehmet Alì Agca.
Se il Vaticano sta depistando è riuscito nella geniale operazione di unire l’utile al dilettevole: da un lato mantiene celata la verità circa le reali circostanze che hanno determinato il non ritorno a casa di Emanuela, dall’altra si rinsalda la posizione del pontefice, ancora vittima di spregiudicate forze facenti capo al blocco orientale comunista.
Tra le molteplici comunicazioni dell’Amerikano, vado a sottoporvi quella di cui si fa portavoce l’avvocato Gennaro Egidio, ricevuta in data 25 novembre, ma comunicata in forma epistolare a monsignor Re, alla questura e al Reparto Operativo dei Carabinieri, in data 2 dicembre. Riporto fedelmente come da lettera, (blog Emanuela Orlandi) l’elenco delle informazioni riferite e delle richieste avanzate.
- Esisterebbero probabilità che Emanuela Orlandi sia viva;
- Restituirebbero il corpo di Mirella Gregori della quale rivendicarono il rapimento con una lettera al giornalista americano Richard Roth della CBS in data 24/10/1983;
- Direbbero i nominativi di persone che essi asseriscono di aver soppresso;
- Sarebbero disposti allo scambio di Emanuela Orlandi contro un documento riservato della Segreteria di Stato del Vaticano e della Presidenza della Repubblica in relazione alla eventuale liberazione del detenuto Alì Agca, l’unico nel quale sembrerebbe abbiano interesse, entro tre/quattro anni;
- La eventuale liberazione di Emanuela Orlandi dovrebbe avvenire contestualmente alla consegna del documento, termini dello scambio da fissarsi;
- Dimostrerebbero la esistenza in vita di Emanuela Orlandi quando constateranno progresso in questa trattativa.
A questa missiva dell’avvocato Egidio, si aggiunge quanto perviene al giornalista americano Richard Roth, eletto dall’Amerikano, suo portavoce per gli ambienti statunitensi. Il 6 dicembre 1983 reporter riceve una busta, all’interno una cassetta contenente il seguente messaggio:
«Imminente scarcerazione e consegna di un detenuto associato questo carcere statunitense […] trattative con funzionari statunitensi […] ci troviamo a sospingere la programmazione per l’01/05/84, riservandoci la possibilità di restaurare una nuova data di inizio e trasferimento in territorio statunitense della nostra volontà di scarcerazione e consegna dei detenuti Mehmet Alì Agca Celebi Bagci Omar. Coscienti degli interessi e volontà del governo statunitense e… Vaticano dell’uso propagandistico nei confronti di determinati stati europei […] trasferimento del detenuto Mehmet Alì Agca […]».
Questo messaggio merita qualche riflessione. Una volta ascoltato il nastro, Richard Roth, comunica che la voce incisa appartiene ad una donna dallo spiccato accento americano. Possiamo immaginare come negli anni ’80, l’italiano medio che tutt’oggi presenta una certa difficoltà con gli idiomi stranieri, potesse ricondurre un accento straniero, sempre e genericamente all’inglese. Molto più difficile è credere che un madre-lingua quale Richard Roth possa essere ingannato da una persona che scimmiotta l’inglese yankee. Ho pertanto motivo di ritenere che l’autrice del nastro sia un’americana.
Quanto pare emergere è la richiesta della liberazione di un detenuto nelle carceri americane, a cui dovrebbe seguire l’invio oltreoceano di Agca e Celebi per i quali, la telefonista, conosce l’interesse che Vaticano e Governo statunitense provano, dal momento che gli stessi risultano spendibili al fine di esercitare una pressione propagandistica su determinati Stati europei.
Si tratta pertanto di un’evoluzione del depistaggio da parte dei telefonisti per infittire e ingarbugliare ulteriormente la trama o, piuttosto, ci troviamo al cospetto dell’ingresso di nuove forze determinate a consentire a USA e Vaticano di svolgere il loro gioco dal quale anche i depistatori sono intenzionati a trarne vantaggi?
Le rivelazioni Enrico De Pedis
Dal volume di Ferruccio Pinotti, Giancarlo Capaldo, La ragazza che sapeva troppo – Come il caso Emanuela Orlandi è stato coperto in Vaticano per 40 anni, Solferino, 2023, riferisce, di una conversazione intercorsa in un ristorante Kosher il 21 gennaio del 1988, in zona Campo dei Fiori, tra il bandito della Magliana e il colonnello della polizia e capo di dipartimento presso il Ministero dell’Interno, Piero Giarratana. Conversazione successivamente riferita al dr. Giancarlo Capaldo dal traduttore e membro dell’intelligence bulgara Marcevski, il quale riporta questa circostanza anche in un suo libro autobiografico pubblicato in Bulgaria nel 2002 quindi, in un periodo che precede le dichiarazioni di Sabrina Minardi. Riporto testualmente:
Giarratana: “Vi siete sbarazzati della Orlandi tramite una betoniera?”.
De Pedis:“Sarei stato pazzo a sbarazzarmi di un ostaggio come quello. L’avrei fatta portare all’estero e sarei diventato ricco”.
Collega di Giarratana: “Renatino, uno dei vostri ha cantato. E ci ha detto che la Emanuela Orlandi è stata uccisa, i vostri hanno buttato il cadavere in due sacchi o nel mare di Ostia, oppure, diceva, in una betoniera”.
De Pedis: “Maggiore, ci conosciamo da un secolo, dai tempi quando tu eri tenente. Come ti pare, un cattolico come me sarebbe in grado di ammazzare una quindicenne? Oppure che avrei permesso il suo omicidio? Per la scomparsa di quella Emanuela Orlandi voi dovete rovistare tra i porporati, tra i cardinali! Anche se c’entravamo noi nel rapimento, io non permetterei mai di ammazzare una gallina d’oro come questa ragazza. L’avrei nascosta da qualche parte, o in Inghilterra o in Francia, oppure nei paesi arabi dopo un lavaggio del cervello, dopo una convinzione ben recitata o dopo un matrimonio felice all’estero. Così dopo 15, dopo 20 anni la tirerei fuori per chiedere un bel riscatto dal Vaticano, o farei un accordo con il giudice: eccovi la ragazza e mi scagionate da questo o quel delitto. Ecco come si agisce con una rapita di simile categoria, per di più cittadina vaticana. E per mascherare la cosa, sai come avrei agito: avrei buttato in mare o nella betoniera, come dici tu, due sacchi davanti ai miei uomini per camuffamento, mentre nei sacchi metto immondizie dai cassettoni del quartiere e qualche mattone. Ecco come si fa per nascondere le tracce. A proposito di Emanuela Orlandi cercate tra i cardinali e non tra di noi”».
Non esiste alcuna documentazione che possa dimostrare che questa conversazione sia realmente intercorsa e nè che quanto sostenuto corrisponda al vero. Un alone di mistero avvolge questo fantomatico “colonnello Piero Giarratana” rispetto al quale si trovano notizie rispetto ai suoi hobbies e ad un passato di attività al Ministero dell’interno. Circa un trascorso, nel corpo della Polizia di Stato, tra l’altro ad un importante grado, non è stato possibile risalire ad informazione alcuna.
Conclusioni
Rivedendo queste differenti situazioni, possiamo giungere a una serie di conclusioni armoniche:
- E’ molto probabile che una riunione sia intercorsa nell’immediatezza del sequestro, così come si delinea plausibile la telefonata sopraggiunta la sera del 22 giugno in Vaticano, di cui ha dato notizia mons. Viganò.
- Il Vaticano si trova a dover chiarire se è sua responsabilità solo essere stato fortemente reticente per tutti questi 40 anni o, come molteplici attori di differenti ambienti asseriscono, ne è in buona parte il responsabile.
- Nell’eventualità che si riesca ad avere un riscontro , che possa confermare questo dialogo, potremmo muovere le seguenti constatazioni: lungi dal De Pedis dichiararsi incensurato (al contrario, ipotizza come poter utilizzare un ostaggio del calibro dell’Orlandi al fine di chiedere sconti alle ovvie condanne che pendono sulla sua testa) lascia emergere il ruolo di manovalanza da lui rivestito e, ancora una volta, ancora una persona, indica come ruolo di ricerca il Vaticano.
Risulta ad ogni modo singolare la modalità indicata dal dandy rispetto al finto smaltimento di un cadavere. Quest’ultimo racconto, che ha più il sapore della fiaba, lascia la speranza che, se si dovesse prospettare un suo effettivo coinvolgimento nella scomparsa di Emanuela, in realtà si sia comportato esattamente come dice “avrebbe fatto” così da poter sperare che qui, da qualche parte, qui sulla Terra, Emanuela Orlandi viva.
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16 commenti
Dottoressa Pera, io ho smesso di seguirla da quando ho capito che lei ha le idee confuse. Eppure sarebbe bastato leggere il libro di Pino Nicotri, “Emanuela Orlandi, il rapimento che non c’è”, per comprendere quante fandonie lei e i suoi “eroici” colleghi” vi siete e vi state ancora inventando. Spero che le nuove indagini del Vaticano e della Procura di Roma giungano a qualche soluzione significativa, così da svergognare lei e le sue tesi inconcludenti. Cancelli pure questo commento e mi stia bene.
Rossella brava brava brava! Fenomenale in ogni cosa che fai. Il signore qui sopra dovrebbe mostrare un po’ più rispetto per una che da sola ha combattuto le ndrine ma quelle brutte mi piacerebbe vedere lei e sto Nicotri, a da sola è stata in guerra in Palestina e tra Azerbaijan e Armenia in Nagorno senza vanterie, volontariato in moltissimi settori, sempre il sorriso, sempre una parola gentile. Mi aveva detto che le aveva affidato questi casi che non conosceva tanto, si è messa in pari subito e vi sfa dando del lungo! Signor Mario, se lei avesse a che fare di persona con la Pera si guarderebbe bene da sputare ancora le sue sentenze che per avere la sua cultura deve far passare tre vite.
Adesso mi dice la soluzione dell’Orlandi?
Signor Barbato a me sembra invece che lei la dottoressa Pera la segue molto da vicino. non c’è un articolo senza i suoi commenti. Perchè continua a leggere e a commentare se tutte le volte dobbiamo sorbirci sotto gli articoli il suo commento sempre sempre uguale perhce non sta con nicotri a dufendere de pedis? . Nicotri cosa avrebbe detto di giusto che sono 30 anni che non arrivato a niente. La sua idea più geniale è stata dare la colpa allo zio e a fare la figuraccia che ha fatto perchè era la pista sbagliata. ho letto tutti i libri di nicotri e ha cambiato idea ogni volta. A me sembra invece che la dottoressa è l’unica a avere le idee belle chiare e ad ogni articolo consegna un pezzo del quadro. mi sa che lei però non se ne è mica accorto tutto preso a criticare con la stessa frase.
Il fatto che la Pera indaghi sulla criminalità organizzata o che sia stata in territori di guerra, non vuol dire nulla. Non metto in discussione la sua volontà e, forse, la sua bravura. Sto sottolineando come quei pezzi che lei mette insieme non formano un puzzle completo, ma creano una babele di confusione. Mi chiedo come si possa pubblicare articoli dove prima si parla del Sisde, poi di Meneguzzi, poi della pista cinematografica, poi di Accetti, e adesso si fa un salto indietro nella storia e si parla di nuovo della pista terroristica, della pista della banda della Magliana, dei ricatti al Vaticano e di tutte quelle ipotesi strampalate che hanno solo fatto perdere tempo prezioso ai magistrati e che da anni sono stati definiti depistaggi e basta. L’intuizione giusta l’aveva avuta l’allora magistrato Margherita Gerunda, la prima pm a occuparsi del caso Orlandi, la quale, a Nicotri, si disse convinta che Emanuela fosse finita vittima di un delitto a sfondo sessuale e che il colpevole andava cercato nella cerchia delle sue conoscenze. Lo confermò pure l’avvocato degli Orlandi, Gennaro Egidio, il quale affermò, sempre a Nicotri, che la scomparsa della ragazza era molto più banale e meno cervellotica di quanto i media hanno voluto far credere. Anche lui sospettava della cerchia familiare di Emanuela Orlandi. Tutto ciò che è stato raccontato in questi anni, la pista politica, la pista criminale, la pista vaticana, la pista marziana sono racconti romanzati buoni solo per stampa, televisione e per il blog della Pera che crede di scoprire una verità seppellita sotto una sagra di menzogne. Le stesse che sta dicendo lei.
No scusi ma che discorso sta a fare? Deve decidere cosa dire perchè se lei non è d’accordo con la pista è un conto ma la pista di nicotri non ha portato a niente e se la pensavano così anche la maisto e egidio non significa niente. sono passati 40 anni e la loro idea noon ha dato proprio niente, pino nicotri cambia dal primo libro a oggi 200 versioni tranna difendere depedis che è l’unica sua coerenza insieme al linciaggio e alla violenza verbale cin cui aggredisce tutti quelli che la pensano diversa.
la dottoressa Pera invece è molto coerente primo perchè ha sempre scritto che avrebbe battuto tutte le piste cosi da informare chi legge di tutta la storia. ha anche sempre detto quale è la sua opinione e se lòei imparasse a leggere e a capire cosa una persona sta dicendo forse il puzzel lo riesce a chiudere. io non sono un cervellona ma almeno capisco cosa sta cercado di dirmi una persona quanddo scrive
Bisognava seguire solo una pista: quella familiare e basta. Se gli inquirenti lo avessero fatto già nel 1983, anziché perdersi dietro a ipotesi a metà tra una spy story e un romanzo di Dan Brown, il caso Orlandi sarebbe stato risolto da moltissimo tempo. Non capisco per quale motivo volete a tutti i costi rendere complesso un caso che nasconde una verità semplicissima, la stessa che ogni anno costa la vita a centinaia di ragazze adolescenti che però non finiscono al centro di intrighi e cospirazioni solo perché non abitano in Vaticano. Se si parla di tanto di Orlandi è perché qualcuno, all’epoca, approfittò della cittadinanza della ragazza per mettere in cattiva luce papi e cardinali. Tra questi c’è pure Pietro Orlandi il quale ha insinuato che Woytila fosse un pedofilo per poi andare su tutte le furie quando un documento della Procura di Roma ha dipinto lo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi, come di un predatore sessuale che aveva fatto delle insiste avance sessuali su Natalina Orlandi tanto che l’allora fidanzato denunciò tutto ai carabinieri. Il ragionamento è logico: se lo zio ci ha provato con la nipote più grande, cosa impedisce adesso di sospettare che ci abbia provato anche con la più piccola e che quel tentativo sia finito tragicamente? Vi faccio notare che già nel 1990 su Mario Meneguzzi correvano strane voci di corridoio nel Parlamento dove l’uomo lavorava. Non posso dire però i contenuti di quelle voci di corridoio. Sono riservate. Voi continuate pure a seguire piste da guerre stellari, vedrete che vi troverete sempre meglio. Buon proseguimento.
La pista familiare in realtà è stata seguita e non ha portato a niente. Nicotri non ha dimostrato niente. E’ la sua idea e la accetto e rispetto lei faccia altrettanto comn chi non la vede come lei, ovvero tutto il mondo tranne nicotri
Signor Barbato, io ho sempre permesso libera discussione e critica rispetto ai miei articoli. Benissimo che lei stimi Pino Nicotri e ne condivida le posizioni. Non è accettabile però, che lei, forte di voci di corridoio faccia pubbliche affermazioni, nemmeno ipotesi, affermazioni sulla figura di Mario Meneguzzi. Dette sue parole, la informo, prefigurano il reato di diffamazione, oltretutto mezzo internet ovvero con l’aggravante. Anche rispetto a Pietro Orlandi lei fa delle dichiarazioni, facendole passare per verità e certezze; anche qui si prefigura la diffamazione, oltretutto la sua dichiarazioni va oltre ciò di umanamente accettabile asserendo che all’epoca si approfittò, inserendo Pietro in questo fantomatico manipolo di persone, della cittadinanza della ragazza per mettere in cattiva luce il pontefice. All’epoca Pietro Orlandi era un ragazzo giovanissimo che, come il resto della famiglia ripose tutta la sua fiducia in un’istituzione che, come sotto agli occhi di tutti, lungi dal rispettare quei principi di verità a cui lei stesso pare appellarsi. Non ho intenzione di permettere la diffamazione di nessuno, tantomeno de una famiglia che da quarant’anni lotta e soffre mentre c’è chi non solo ostacola la verità ma addirittura beffeggia.
Ma perché la insinuazioni di Pietro Orlandi contro Woytila non sono diffamazioni? E poi il sospetto contro lo zio Meneguzzi non l’ho avanzato io, ma un documento della Procura di Roma che ha parlato di molestie sessuali dell’arzillo zietto contro la nipote Natalina. Quella molestia finì in una denuncia presentata da Andrea Ferraris ai carabinieri e fece rizzare le antenne anche al pm Domenico Sica che nutrì dubbi proprio sullo zio di Emanuela, facendolo pedinare dalla polizia. Se le cose non approdarono a nulla è solo perché lo zietto fu avvisato da un amico si famiglia, Giulio Ganci, e il pedinamento andò in fumo. Da allora si preferì seguire la pista bulgara abbandonando la pista familiare che non fu mai approfondita. Se lo avessero fatto forse si sarebbe giunti a qualche risultato significativo. Anche la pm Gerunda sospettava dello zio Mario, perché notava che l’uomo si recava ogni santo giorno in procura per sapere come andavano le indagini, come se avesse voluto tutelare sé stesso o qualche persona di sua conoscenza. Nessuna calunnia: parlano i documenti.
Per quanto riguarda Pietro Orlandi, lui vuole la verità su sua sorella, dicendo di indagare su larga scala. Bene! Allora perché si arrabbia se gli inquirenti ficcano il naso anche nella sua famiglia per essere sicuri che il colpevole non si annidi lì dentro? L’impressione che è che Pietro Orlandi non voglia la verità così come è, ma vuole una verità di comodo. Una verità che chiami in causa il Vaticano, colpevole o innocente che sia. Resta però da capire come mai se Pietro accusa il Vaticano di aver commesso chissà quale crimine sulla sorella, poi continui ad abitare in un lussuoso appartamento di proprietà del Vaticano, oltre a usufruire di buoni sconto elargiti proprio dalla Santa Sede? Lei le sa questa cose o sa solo ciò che le conviene?
Bisogna perchè lo dici tu? Mario non è che ti sei innamorato della dottoressa? Ogni articolo c’è il tuo commento! E tutte le volte a parlare di Pino Nicotri, ma non è che sei proprio Pino Nicotri? Critica critica state tutti a guardare cosa fa Rossella
Tranquillo, la Pera non è il mio tipo. Sto qui solo per leggere ciò che pubblica. Siamo in democrazia.
Finalmente, allora accetta che la pista famigliare di Nicotri non mi convince. C’è da ridere a immaginare lo zio che organizza il depistaggio e il Vaticano che si affanna tanto. Roba da ridere. In democrazia come dici tu siamo liberi di pensare che la pista dello zio è comica, quasi demenziale
Il signor Paolo forse non sa o finge di non sapere che le statistiche e le cronache dicono che nella maggior parte di violenza sulle donne o sulle ragazze, il colpevole è quasi sempre un conoscente della vittima. La pista familiare e amicale è la più frequente in questi casi. Non solo Nicotri, ma anche giornalisti come Nelli o criminologi come Buzzone sono convinti che quello di Emanuela Orlandi sia stato un caso di omicidio avvenuto la sera stessa della scomparsa e che il colpevole andava cercato nel microcosmo sociale della vittima. Il Vaticano non si è affannato per nulla, quello semmai lo hanno fatto solo i media che hanno riempito il caso Orlandi di false piste e di vere e proprie bufale, come nel caso del soggiorno londinese della ragazza, dando spazio a mitomani, megalomani, impostori e mistificatori. I depistaggi sono stati favoriti proprio da stampa e televisione che a forza di credere a ogni tesi cervellotica, non solo hanno contribuito a una narrazione mendace e tossica del caso, ma hanno anche indirettamente protetto il vero colpevole della morte della ragazza, che è rimasto libero e impunito. Comunque, per quel che mi riguarda, visto che siete malati di intrighi e vedete complotti dappertutto, credete pure a ciò che volete, tanto si è capito che molti vogliono una verità di comodo che porti sulla graticola il Vaticano, solo perché sta antipatico a tanti Torquemada da tastiera.
Ecco altri indizi che confermano come lo zietto di Emanuela andasse indagato più a fondo anziché mettersi a correre dietro alle farneticazioni di pseudogiornalisti in cerca di gloria. Come la Pera.
https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-un-rapporto-dei-carabinieri-attenziono-zio-mario-meneguzzi-al-magistrato-domenico-sica-3563287/
Molto interessante. Grazie