Premessa
Non ci possiamo fare niente, siamo tutti umani, troppo umani. Dal più contenuto, al più passionario, ognuno di noi sviluppa sentimenti e sensazioni in relazione a qualsiasi evento, anche quando non ci riguarda. Lo vediamo quotidianamente, quando commentiamo l’articolo di giornale o l’ultima canzone diffusa dalla radio. Accade anche con i casi di cronaca: solidarizzi con tutti, ti dispiaci per molti; poi c’è quel caso che, senza un motivo razionale, senza un motivo apparente, ti coinvolge emotivamente più degli altri, ne fai quasi una questione personale. Il mio è il caso di Josè Garramon.
Pur citandolo con insistenza, il racconto della tragedia del piccolo Josè Garramon, ho continuato a posticiparlo. Avrei voluto trattarlo in prima persona, guardando l’intera vicenda dai suoi occhi, forse un giorno lo farò, non adesso. Josè Garramon deve prima avere giustizia e verità. La storia del bambino uruguaiano, morto a chilometri dalla sua casa, merita un racconto quanto più dettagliato ed asciutto, e a questa auto-imposizione cercherò di attenermi. La vicenda Garramon, passata spesso sotto silenzio, sottotono, potrebbe nascondere tutta una serie di fattori, di non detti, di varianti, che si potrebbero rivelare fondamentali anche per altre vicende dell’epoca, nonché disvelare una storia completamente diversa da quella che ci è stata consegnata.
La sentenza Garramon
Non posso soprassedere dal chiarire alcuni punti e alcuni principi.
Per la morte di Josè Garramon è stato fatto un processo, passato in giudicato con sentenza di omicidio colposo nei confronti di Marco Accetti. Sentenza problematica nella sua emanazione per detta degli stessi giudici. Tuttavia le sentenze vanno rispettate, e tant’è.
D’altra parte la nostra Costituzione e il nostro stato a regime democratico ci permettono ancora di non condividerle e di poter muovere critica.
La sentenza Garramon, si badi bene, si pronuncia limitatamente alla causa della morte, non da notizia alcuna rispetto il come, il quando e il perché quel bambino si trovasse in quel luogo così lontano da casa. Sostenere che, dal momento che vi è stata sentenza, vi è stata giustizia, dimostra non solo ignoranza, ma anche una certa dose di malafede. Finché non ci sarà verità, non potrà esserci giustizia.
Ne Bis in Idem
Riporto fedelmente
Il Ne bis in idem processuale è il principio che si desume dal disposto dell’art. 649 Cod. proc. pen., che sancisce il divieto di nuovo giudizio per l’imputato assolto o condannato in via definitiva per lo stesso fatto, anche se considerato diversamente per titolo, grado o circostanze.
Principio analogo, con valenza gerarchica superiore, è espresso dall’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), il quale dispone che “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.
L’art. 4. Prot. 7, CEDU (rubricato “Diritto a non essere giudicato o punito due volte”), infine, dispone che “1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. 3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione”.
- La sentenza non impedisce l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona [649c.p.p.], qualora successivamente si accerti che la morte dell’imputato è stata erroneamente dichiarata
Per farla breve. Il Ne bis in Idem è un principio che va a tutelare il reo, non il reato. Pertanto, qualora emergano nuovi elementi probatori, nulla osta l’imputazione e il procedimento penale nei confronti di persone diverse dal reo già condannato e che ha già scontato la sua pena. Questi potrebbe rientrare però in eventuale processo, qualora la sua posizione e conseguentemente la sua condanna, alla luce dei nuovi elementi, dovessero risultare minori rispetto a quanto dichiarato in sentenza.
La zona Eur di Josè Garramon
Josè Garramon è un vivace bambino Uruguayano, trasferitosi a Roma con la famiglia per necessità lavorative. Il padre Carlos lavora all’ONU, precisamente per l’IFAD, un’agenzia della FAO. Vive in viale dell’Aeronautica 99, in zona Eur, con i suoi genitori, il fratello e la sorella, a breve sarebbero diventati due: la mamma Laura Bulanti è in dolce attesa.
Nello stesso quartiere vivono, o detengono proprietà e sedi di proprie attività, personalità a noi tutti note, così come il loro profilo criminale: a 950 metri in linea d’aria, c’è uno degli appartamenti che Enrico De Pedis ebbe da Giuseppe Scimone; a 750 metri da casa Garramon e a 300 metri dal barbiere del ragazzo, in Viale Beethoven 30, c’è un locale adibito ad ufficio o sala riunioni della cooperativa edilizia Oasi, di Aldo Accetti. Sempre di proprietà degli Accetti è la palazzina di via Curzio Malaparte, qui il locale al civico 33. È destinato a sede della Cooperativa Edilizia di, Nuova Oasi, tra i cui associati anche note personalità. La proprietà di Curzio Malaparte dista 1.5km sud , rispetto alla casa di Garramon e 1 km, sempre a sud dalla casa del noto membro della Banda della Magliana, o meglio dei Testaccini.
Si tenga presente dell’incongruenza ravvisabile tra i verbali dei Carabinieri che indicano la residenza di Marco Accetti in Curzio Malaparte (di cui lo stesso Accetti afferma di non ricordare il civico) mentre nella sentenza è indicata la casa di Sant’Emerenziana n.2. Solo questo dato avrebbe potuto determinare considerazioni ben diverse nella gestione del tempo.
Josè frequenta le scuole medie all’Istituto internazionale Saint George, ama l’arte e spesso raggiunge il Vaticano per ammirarne i musei. La sua grande passione è il modellismo, con i suoi piccoli aeroplani che porta a sfrecciare nell’aria al campo di volo a meno di 100mt da casa, vicino al Bar Rosati, il bar che Marco Accetti, la persona che verrà condannata per omicidio colposo e omissione di soccorso, frequentò con una certa assiduità nel mese di settembre, tre mesi prima dell’omicidio del bambino.
«Facchini Piero […] barista presso il bar “ROSATI” […] in data 9-2-1984, presso il suddetto locale gli veniva mostrata la fotografia dell’ACCETTI Marco ed il FACCHINI faceva presente che un soggetto del genere lo aveva visto durante il periodo estivo, mese di settembre, quando serviva i clienti seduti ai tavoli posti all’esterno, nei pressi della vicina farmacia»
Tratto dal verbale redatto dalla Legione Carabinieri di Roma – Compagnia Ostia
IL Facchini, nel medesimo verbale, riferisce anche di aver riconosciuto Marci Accetti nel mese di febbraio, nei pressi di un benzinaio in viale America, intento a chiedere soldi per il rifornimento di benzina. Questa testimonianza non viene ammessa nella documentazione probatoria per i dibattimenti processuali in quanto l’imputato Marco Accetti, nel mese di febbraio 1984 era, come riportato da verbale dei carabinieri, detenuto.
20 dicembre 1983
Erano giorni che la mamma, la signora Laura, lo tormentava con la storia dei capelli. Sono così le mamme, quando siamo bambini comandano loro e ci vogliono sempre in ordine; se poi mancano pochi giorni a Natale, ci vogliono perfetti. Josè è un bambino con l’argento vivo addosso ed è intelligente, educato e per quanto si possa esserlo a quell’età, ubbidiente.
Rientrato da scuola, come di consueto, alle 16.30, si reca in farmacia, per una commissione affidatagli da Martha la governante; verso le 17.30-17.40 esce di nuovo, questa volta per accontentare la mamma. Esce di casa e percorre Viale America, tutta addobbata di luci e fiocchi natalizi, supera il ristorante Il Gattopardo e l’adiacente bar, locali frequentati con assiduità dall’eversione nera, altri 30 metri ed entra dal suo parrucchiere, al n.33 di viale America.
Josè non è l’unico ad essere arrivato agli ultimi giorni per darsi una sistemata, entra alla barberia del signor Luigi Ferrauto verso le 18.00; orario confermato anche dal dipendente Renato Scafi. Esce dal negozio intorno alle 18.40-18.45. È questo il momento in cui si perdono le tracce del bambino. Negli anni si sono succedute molte ipotesi, nessuna avvalorata. Solo di recente, grazie a qualche confronto e a qualche scivolone, si va avvalorando l’idea che il bambino non sia stato sequestrato.
L’orario, la posizione, la frenesia dello shopping e degli aperitivi prenatalizi, che affollavano le strade della Capitale, mal si sposavano con un rapimento, soprattutto a quell’ora. Non che episodi simili non si siano verificati soprattutto in quegli anni. Va però detto che in questo genere di ratto, si sono sempre raccolte un discreto numero di testimonianze.
L’ipotesi più plausibile è che il bambino sia salito volontariamente sulla macchina di qualcuno; si ipotizza una donna. Una donna che deve aver dedicato qualche tempo a conquistare la fiducia del bambino, per poi vergognosamente tradirla. A sostegno di questa eventualità anche le riflessioni di Pierdomenico Corte e quelle del’ex ispettore Pasquale Viglione. Per ora mi fermo qui.
L’omissione di soccorso e il rientro a casa

Sappiamo che Josè Garramon muore la sera del 20 dicembre 1983, investito dal furgone Ford Transit R01011, guidato da Marco Accetti, all’epoca uomo di 28 anni. é’ una sera fredda, nuvolosa, ma non pioverà fino al giorno 22 dicembre. La dinamica dell’incidente e gli altri particolari li tratterò nei prossimi articoli. Quello che è da sapere è che Accetti, dirà agli inquirenti di non aver visto il bambino, ma di aver creduto di essere stato colpito da un sasso, o da un ramo e di aver pensato fossero stati dei teppisti:
«[…] Alle ore 19.30-20 circa, quando, pur viaggiando a velocità media, considerato anche la particolare situazione della strada stretta e buia, improvvisamente ho sentito una ventata fredda e formicolio di puntura nei capelli dovuto alla rottura del parabrezza improvviso e immediato senza avvertire alcun rumore metallico proveniente dalla carrozzeria anteriore. Ho rallentato, ho frenato, senza scendere e una volta presa coscienza che il vetro era totalmente infranto, mi sono tolto i frammenti di vetro dal corpo e dai capelli […]»
Tratto dal verbale di necessarie informazioni raccolte dalla Legione dei Carabinieri di Roma – Compagnia Roma-Ostia alle ore 12.30 del 21-12-1983.
Si noti che quanto da me già sottolineato in diverse occasioni viene confermato dal verbale dei Carabinieri che indicano Marco Accetti residente in via Curzio Malaparte e non in piazza Sant’Emerenziana n.2.
Il Ford Transit e l’autobus
Sempre da suddetto verbale e riportato poi in sentenza, veniamo a conoscenza che Marco Accetti, nel tentativo di liberarsi delle schegge di vetro si taglia in corrispondenza delle falangi; successivamente, quando parcheggia il furgone, si procura un taglio più importante alla mano, nell’azione di rimuovere i pezzi di vetro più grossi dal parabrezza.
La ferita nella zona carpale è confermata dall’amica Patrizia D.B., che affronta l’argomento con il giornalista Pino Nicotri (qui)
“Mi accorsi della sua mano tagliata, semplicemente perché quando quella notte venne sotto casa mia, io salii in macchina e lui, salutandomi, mi toccò con la sua mano “ferita” il mio braccio …e mi sporcò la manica del mio giaccone (anche il mio di color avana) …io me ne accorsi subito (era una striatura piccola di sangue) e gli dissi scocciata: “ahò! mi hai sporcata!”
Anomalia facilmente riscontrabile è che nè i carabinieri che stesero il verbale, nè i familiari, nè Patrizia, notano al volto piccoli segni, simili a graffi, tipici delle schegge di vetro.
L’Accetti presenta dunque piccoli tagli su viso e capelli procurati dai frammenti del parabrezza e un taglio più importante al palmo della mano. Il verbale informa che la giacca a vento di Accetti, di colore chiaro, è visibilmente macchiato di sangue, in parte suo (gruppo sanguigno B), in parte da quello del piccolo Garramon (gruppo 0-).
«[…] si procede al sequestro della giacca a vento di colore beige di marca Mc Ross, di pertinenza dello stesso Accetti in quanto la stessa presenta numerose macchie di sangue su lato sx all’altezza della tasca e del quarto bottone procedendo dal basso verso l’alto, nonché altre vistose macchie sulla tasca dx e lato posteriore stessa altezza. Pertanto la giacca regolarmente reportata verrà depositata presso la cancelleria della Procura della repubblica di Roma […]»
Dalla documentazione risulta che il sangue del bambino avrebbe raggiunto l’Accetti al momento della rottura del parabrezza.

Constatato l’entità del danno e realizzato che il furgone non era più nelle condizioni di transitare, MFA guida per km. 4.8 al fine di nascondere il mezzo tra i cespugli, temendo, a detta sua i ladri. Curiosa la necessità di percorrere così tanta strada alla ricerca di cespugli, quando ci si trova a ridosso di una pineta. Marco Accetti parcheggia il Ford Transit, lasciando le chiavi inserite, in via Dobbiaco 50 (oggi n.59). In una via che non presenta particolare boscosità; ma anche su questa scelta avremo modo di riflettere.
Recuperato gli effetti principali, MFA percorre al buio, con la mano sanguinante, circa un chilometro e mezzo al fine di raggiungere la fermata dell’autobus più vicina, in località Infernetto. A tal proposito si sottolinea che l’attuale linea Ostia-Eur non esegue lo stesso tragitto degli anni 80, Quella che arriva è l’ultima corsa, la prede, arriva a casa. Dopo mezzanotte Marco Accetti prende in prestito la 127 intestata al padre e che, per l’intero pomeriggio è stata nelle disponibilità della sorella: Laura Accetti.
Accetti decide di uscire senza medicarsi e senza cambiare giacca, a quanto riferisce sempre a Pino NIcotri l’ex fidanzata di Accetti, Patrizia D.B nell’articolo La mia verità, Marco Accetti sarebbe andato a prenderla dopo la mezzanotte, con il progetto di recuperare dell’attrezzatura fotografica nascosta tra i cespugli, in prossimità del furgone. E’ un’operazione particolarmente dispendiosa di tempo, dal momento che impiegano più di tre ore: sono le 04.00 quando, in via Cilea, i carabinieri di Ostia li fermano e li conducono in caserma dove notano le numerose macchie di sangue presenti sulla giacca di MFA e una macchia, non presente a verbale ma riferito dalla stessa Patrizia D.B, anche sulla sua giacca che all’incirca è della stessa tonalità di quella dell’ex.
L’autobus e il biglietto senza sangue
Come vedremo nei futuri articoli, il terribile omicidio di Josè Garramon e il modo in cui è giunto alla strada che lo conduce alla morte è un mistero che potrebbe essere risolto, sciogliendo i nodi di una trama complessa, con unico obiettivo di restituire giustizia e verità.
Nel verbale Marco Accetti afferma in più occasioni, di essere stato solo al momento dell’incidente, tuttavia ci sono una serie di contraddizioni ed evidenze, che portano a conclusioni differenti. Questi elementi suggeriscono infatti la presenza di almeno un’altra persona. Durante il sopralluogo e la perquisizione effettuata dalle forze dell’ordine, è rinvenuto, coerentemente con quanto dichiarato, il biglietto dell’autobus Acotral.
Negli anni ’80 il biglietto veniva fatto sull’autobus dal bigliettaio, deputato specificamente a questa mansione. Il biglietto, essendo stato l’unico fatto quella sera, e corrispondendo il numero progressivo del cedolino, dimostra che è stata effettivamente compiuta una corsa dalla zona Infernetto al quartiere dell’Eur. Il biglietto risulta emesso il 20/12/83, per un importo di L.1.300 e recante il n. 989357, serie 701/XXXI- nr.44.
I Carabinieri di Ostia, nella persona del Maresciallo Capo, Raimondo Bisogno il giorno 04.01.84, verbalizza le dichiarazioni di Giuliano Ciolfi, il bigliettaio in servizio quella sera:
«Il giorno 20 dicembre 1983, ho prestato servizio a bordo di autobus Acotral sulla linea Eur-Fermi, a Infernetto, unitamente all’autista Di Giovanno Adriano. L’ultima corda dall’Infernetto a Roma Eur-Fermi è partita alle ore 20.35 di quel giorno, per giungere all’Eur alle ore 21.15, come in orario programmato. Anche se risulta dagli atti che ho venduto un solo biglietto, non mi sovviene di Accetti Marco che mi mostrate in fotografia […]».
E’ abbastanza singolare che un bigliettaio, il quale deve intrattenersi con i viaggiatore per la durata della transizione, non noti una persona con giacca chiara visibilmente macchiata di sangue, con piccoli tagli e ferite sul viso e sulla testa, nonché una mano tagliata e sanguinante.
Ancora più incredibile è riscontrare che nonostante tutto questo sanguinamento il biglietto che l’uomo afferra con le mani lesionate e con le falangi tagliuzzate, non presenti la minima ombra di emoglobina.
Si noti che l’incidente avviene intorno alle 19.30-19.45. immaginando un Accetti che si ferma a ripulirsi dai vetri, per poi recarsi a 4.8Km, con un tempo di percorrenza di circa 10 minuti in condizioni normali, probabilmente maggiori con il mezzo incidentato e senza parabrezza. Giunto sul posto si taglia la mano estraendo al buio i pezzi di vetro rimasti nel parabrezza, e nasconde tra i cespugli, evidentemente non troppo vicino, dal momento che più tardi faticheranno a ritrovare il mezzo, parte dell’attrezzatura fotografica. Terminata questa operazione, seguono almeno altri 25 minuti di camminata verso la fermata Infernetto. Un’impresa a livello temporale praticamente impossibile. A ciò dobbiamo aggiungere che L‘Accetti riferisce di essere tornato a casa, con le falangi, il viso e il cranio ricchi di micro-ferite a cui si aggiunge la mano tagliata, ma non si lava e non si benda.
Accetti, a mezzanotte inoltrata, ancora pieno di sangue, prende la macchina del padre e si reca a prendere la sua ex fidanzata Patrizia D.B, che nel verbale di sentenza è indicata come la compagna. L’orario, a detta di Patrizia, è intorno alle 01.00. E’ nel frangente in cui sale in macchina e MFA la saluta che il sangue che fuoriesce ininterrotto dalle 20.00 fino alle 01.00. Nonostante l’evidente problema di piastrine, ammetto che Accetti ha delle qualità di resistenza, non da cenni di stanchezza nonostante stia morendo dissanguato.
Conclusioni
Un incidente, un omicidio, un ipotetico sequestro, un sicuro inganno, sono composti da tanti elementi, e moltissimi dettagli e particolari che, per quanto piccoli, spesso disvelano scenari molto vasti. il caso di Josè Garramon è stato derubricato velocemente, e con una certa superficialità, dal momento in cui si è indagato, si è andati a processo e a condanna in terzo grado per quanto riguarda l’investimento e l’omissione di soccorso. Manca il fatto principale, o meglio il/la responsabile, la persona senza la quale non si sarebbero verificati gli eventi successivi.
Sono convinta che con un’attenta analisi, e con le giuste testimonianze, anche per Josè potrebbe esserci la svolta, gli elementi non mancano. Oggi ho messo in evidenza solo un piccolo dettaglio, un’incongruenza: la questione autobus. In sintesi: Marco Accetti sostiene che, a causa dell’impatto e della conseguente rottura del parabrezza, si trova investito da tanti piccoli pezzettini di vetro che si sono conficcati nella parte superiore del corpo, dal collo in su. Sostiene poi di essersi ferito alle falangi delle dita durante l’attività di estrazione dei frammenti e di una ferita più importante a livello carpale.
E’ pertanto impossibile che con ferite alle dita, il biglietto dell’autobus non presenti nemmeno un piccolo alone di sostanza ematica. A ciò si aggiunga che, come da verbale, il bigliettaio non riconosce l’Accetti, nonostante quello fosse l’unico biglietto emesso quella sera, e nonostante l’uomo indossasse una giacca color beige, sulla quale il sangue risalta e fosse ferito sia alle mani, sia al volto.
E’ evidente che non è Marco Accetti la persona che prende l’autobus quella sera.
Facendo un calcolo dei tempi, appare impossibile che Accetti sia riuscito a prendere l’autobus delle 20.35, nel verbale non accenna al fatto di averlo preso al limite, né ha riferito su aver corso.
Sapendo che la tratta termina in zona Eur alle 21.15, possiamo immaginare che Marco arrivi presso l’abitazione di Curzio Malaparte verso le h.21.30-21.40. Se invece si fosse recato in Sant’Emerenziana possiamo immaginare un rientro intorno alle h. 22.30. Sappiamo che non si cambia e non si lava e sappiamo anche che la famiglia Accetti è nella disponibilità di più veicoli. Perché per recuperare una sacca e stendere un telo di plastica, avrebbe dovuto attendere l’01.00 di notte? Avrebbe potuto chiedere aiuto ad un familiare o ad un amico.
Patrizia D.B. sostiene che quella sera piovesse molto, nella sentenza è scritto l‘esatto contrario ovvero che era nuvoloso ma non pioveva. Lo stesso Accetti sia nel verbale sia in tutte le dichiarazioni riportate nella documentazione, non fa mai riferimento alla pioggia. Immaginando che abbia iniziato a piovere dopo essere rincasato, a maggior ragione, perché attendere tante ore invece di tornare subito a salvare l’attrezzatura. Accetti non fa riferimento alcuno a tentativi di chiedere aiuto ad amici o parenti e, comunque sia, nell’emergenza avrebbe potuto prendere un taxi.
E’ evidente che Marco Accetti non era solo quella sera.
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