Dieci giorni esatti dopo lo scadere dell’ultimatum dei presunti rapitori di Emanuela Orlandi, il SISDE, la Squadra Mobile e la DIGOS di Roma ebbero la netta sensazione di aver imboccato, finalmente, il filone investigativo giusto. Quello che avrebbe potuto, dopo poco più di cinque settimane dalla inspiegabile e inquietante scomparsa della quindicenne cittadina vaticana, dare una svolta alle indagini, fino a quel momento impantanate nelle sabbie mobili della richiesta di scambio della ragazza con il detenuto Mehmet Ali Ağca, il terrorista turco condannato all’ergastolo per aver attentato alla vita di Papa Giovanni Paolo II a piazza San Pietro, mercoledì 13 maggio 1981.
Sabato 30 luglio 1983, infatti, il direttore del Raggruppamento Centri, Giorgio Criscuolo, inoltrava al vice direttore operativo del servizio segreto civile, Vincenzo Parisi, un appunto riservato in cui si registrava una rilevante novità dal punto di vista investigativo: «Per ultimo, riservatamente si segnala che la locale Squadra Mobile ha ricevuto notizia confidenziale secondo la quale il bidello della scuola di musica, peraltro al suo paese di origine sin dalla chiusura dell’Istituto, avvenuta il 26 giugno u.s., avrebbe una figlia dedita alla prostituzione».
L’appunto venne controfirmato dal vicedirettore Parisi, il 31 luglio 1983, a dimostrazione che il suo contenuto era particolarmente sensibile.
L’informativa del capo Raggruppamento Centri del SISDE faceva riferimento a Franco De Lellis, 46 anni all’epoca dei fatti, dipendente dell’ACOTRAL (l’azienda regionale di trasporto pubblico laziale), che di pomeriggio, terminato l’orario di lavoro, faceva il factotum (e non il bidello) alla scuola di musica sacra Tommaso Ludovico Da Victoria, in piazza Sant’Apollinare 49, frequentata da Emanuela Orlandi. De Lellis è spostato con Giuliana De Ioannon, 44 anni, anche lei impiegata alla scuola di musica, ma nella segreteria della direttrice suor Dolores, addetta alla fotocopiatrice. Come abbiamo più volte scritto, i coniugi De Lellis – il giorno della scomparsa della ragazza – festeggiavano i loro 25 anni di matrimonio e per questo la lezione di canto corale del maestro monsignor Valentino Miserachs Grau terminò con un quarto d’ora di anticipo rispetto al normale orario (fissato alle ore 19). I De Lellis avevano due figli ambedue maggiorenni: P. e M. Tutti e due frequentavano la scuola di musica di suor Dolores. Tutti e due conoscevano Emanuela Orlandi.

L’attenzione della polizia e dei servizi segreti, quel sabato 30 luglio 1983, andò sempre più concentrandosi sulla giovane e avvenente figlia dei de coniugi De Lellis. La ragazza, 23 anni all’epoca dei fatti, aveva una personalità complessa, tormentata, che destava forti preoccupazioni nei genitori e non pochi sospetti nella mente degli inquirenti. In quelle ore, il palazzo di Sant’Apollinare, dove aveva sede la scuola di musica della vittima, iniziò a essere visto in un’ottica diversa: più venivano interrogate le varie persone che frequentavano o lavoravano nell’istituto diretto da suor Dolores, tanto più quel palazzo veniva visto, sempre di più, come luogo o scena del delitto. Il cerchio si stava stringendo proprio intorno a una ristretta cerchia di persone che erano “di casa” a Sant’Apollinare. Giovani e meno giovani, donne e uomini, tutti laici, che – per varie ragioni e motivi – gravitavano in quell’ambiente circoscritto, all’ombra del Vaticano. Un microcosmo che poteva nascondere un segreto inconfessabile.
«Il bidello – proseguiva l’appunto del SISDE – è stato rintracciato ed ha confermato la circostanza asserendo che la figlia e il genero [A.M, il marito di P.] sono dediti alla droga, alla produzione di film pornografici di cui l’uomo curerebbe gli effetti sonori e che si sarebbero spesso recati a trovarlo nell’istituto. Sono in corso ulteriori accertamenti al fine di localizzare la coppia [P e A.M] e stabilire eventuale loro responsabilità nella scomparsa della Orlandi». È l’unico documento del SISDE, fra tutti quelli prodotti dal Servizio, in cui – per la prima e unica volta – si fa espresso riferimento a dei presunti responsabili della sorte della Orlandi.
L’appunto del direttore del Raggruppamento Centri Criscuolo dava conto in modo strigato di quanto stava emergendo in quelle ore dagli interrogatori dei coniugi De Lellis resi alla DIGOS di Roma nel corso della giornata del 30 luglio 1983. Ma i verbali del signor Franco e della signora Franca erano molto più ricchi di informazioni, fatti e circostanze molto interessanti. In particolare, il padre di P. non solo confermò che la figlia frequentava l’ambiente del cinema, anche spinto, ma che fu proprio perché «sollecitato» da lei, che anche lui, il signor Franco, entrò in quel mondo e venne scritturato per fare la comparsa in almeno tre pellicole. In una di queste, risalente al 1982, venne «invitato per due giorni a fare la comparsa nella figura di un sacerdote, dietro un compenso di lire 200 mila».
De Lellis spiegò in questo modo il suo ruolo di comparsa: «Effettivamente ho avuto un contatto col mondo del cinema. Infatti, lo scorso anno e precisamente in questo periodo estivo, sollecitato da mia figlia, andai negli stabilimenti cinematografici De Paolis sulla via Tiburtina, per assistere ad alcune riprese di un film girato dal regista Bruno Mattei dal titolo “Nerone e Poppea”. Preciso che mia figlia era interessata alle riprese delle schiave di Nerone». La pellicola in questione è proprio “Nerone e Poppea”, un film diretto da Bruno Mattei, girato insieme al produttore francese Antonio Passalia in contemporanea ad un altro film dello stesso genere “Caligola e Messalina”, tutti e due del 1982.
«Li facemmo tutti e due insieme – dirà anni dopo Mattei nella sua intervista pubblicata nel dossier di Nocturno Cinema “Il sopravvissuto – Guida al cinema di Bruno Mattei”, numero 45, Anno XII, aprile 2006 – A lui serviva firmarne uno per avere dei finanziamenti dalla Francia. Portò tredici attori che erano tredici delinquenti, presi da luoghi infami di Parigi, qualcuno di loro faceva pure il porno».
“Nerone e Poppea” venne scritto, sceneggiato e firmato da Mattei dietro lo pseudonimo di Vincent Dawn. «La pellicola contiene molto sesso – precisano Giordano Lupi e Ivo Gazzarrini nel loro “Bruno Mattei. L’ultimo artigiano”, Edizioni Il Foglio, 2013 – diverse sequenze voyeuristiche che realizzano l’identificazione tra lo spettatore e l’attore maschile e alcune scene sadiche smorzate dal carattere grottesco dell’opera. Alcuni critici sostengono l’esistenza di una doppia versione hard, sia per il mercato greco che per quello inglese, ma non c’è certezza». “Caligola e Messalina” e “Nerone e Poppea” «vengono girati in quattro teatri di posa alla De Paolis, in sei settimane. Sono due opere omogenee, dirette dalla stessa mano, dove lo stile di Mattei è evidente e il ruolo di Antonio Passalia pare quello di aiuto regista al massimo di regista della seconda unità».
Fra gli interpreti di “Nerone e Poppea” figura una tale Patricia Derek, che potrebbe essere il nome d’arte della figlia di De Lellis, la quale – tornando al verbale del signor Franco, il padre – conobbe il suo futuro marito, A.M, sempre su un set cinematografico: «Ritengo che mia figlia abbia preso parte a diversi altri film. Per quanto è a mia conoscenza – affermava De Lellis nella sua testimonianza del 30 luglio 1983 – non meno di 3 film. Uno di questi tre, se ben ricordo, è intitolato “Pierino che casino” [in verità era “Che casino… con Pierino!” del 1982, con la regia di Adalberto Bitto Albertini]: in particolare, preciso che mentre veniva girato questo film mia figlia P. ha conosciuto il marito, M.A, di anni 27, allora fonico del film».
La signora Giuliana, moglie di Franco De Lellis, nella sua testimonianza sempre alla DIGOS e sempre del 20 luglio 1983, aggiunse ulteriori particolari sui rapporti della figlia con A.M: «Abbiamo due figli, M. di anni 19 e P. di anni 24 [non ancora compiuti], coniugata dallo scorso anno (luglio 1982) con M.A. […] Purtroppo abbiamo capito solo lo scorso ottobre che la ragazza era dedita, così come il marito, al consumo di droga. Per essere più precisi, il 4 ottobre dello scorso anno, mia figlia ed il marito vennero arrestati per uno scippo di una catenina nel quartiere Parioli. La ragazza rimase in carcere per soli 10 giorni e venne credo assolta per insufficienza di prove, mentre il marito vene condannato e mi risulta essere stato in carcere fino al dicembre successivo. In questa circostanza, ci rendemmo conto che i due giovani erano tossicodipendenti […] Dopo il fatto dello scippo e il carcere, la P. e l’A. si separarono di fatto, anche per seguire, ciascuno per proprio conto, un periodo di cura».
Fu così che P., dopo le disavventure giudiziarie e la separazione dal marito, decise di intraprendere un percorso di riabilitazione in un centro terapeutico. Ancora la signora Giuliana: «Il 18 marzo 1982, P. entra nella comunità di “Fratello Sole” a Santa Marinella [si sbaglia, era a Santa Severa] e ne esce circa tre mesi dopo», dove rimase fino alla fine di maggio 1983. In questa comunità (fondata nel 1978 da padre Ludovico Pesola insieme a un gruppo di volontari), P. conobbe varie persone, fra cui una coetanea con gli stessi problemi di droga, originaria di Bolzano. Franco De Lellis, a verbale, spiegò come entrarono in contatto con quella comunità terapeutica: «Inoltre dal momento che la S.V. mi invita ad essere più preciso sull’argomento, intendo dirvi che per tale attività illegale [della figlia P.] sia io che mia moglie abbiamo più volte invitato la figliola ad abbandonare il marito o quanto meno a separarsi, così consigliati da Padre Ludovico dell’Ospedale Gemelli e dai responsabili del Centro Droga “Comunità Fratello Sole” di Santa Severa, diretto dal suddetto Padre Ludovico e a noi indicato dalla USL di via Tiburtina», dove la figlia e il marito si recavano «per farsi somministrare il metadone».
La situazione era molto delicata e complessa e i De Lellis da mesi cercavano una soluzione per allontanare la figlia dalla spirale della droga e, soprattutto, dal marito il quale – a detta del signor Franco – non aveva nessuna intenzione di disintossicarsi: «Il nostro intervento in tal senso è stato sempre molto sofferto in quanto mentre mia figlia si dichiarava disponibile alla disintossicazione, il marito al contrario dichiarava di non aver bisogno di disintossicarsi e di voler continuare la sua vita nella maniera che a lui faceva più comodo».
Il regista Bruno Mattei, all’epoca 51 anni, conosciuto nell’ambiente dei film di genere di serie B, instancabile lavoratore capace di girare due titoli in contemporanea per contenere i costi e massimizzare i profitti, nel 1983 aveva già una lunga gavetta e una consolidata carriera alle spalle nel cinema di genere di serie B (horror, nazi erotico, porno, mondo movie, splatter, tonaca movie, peplum, ecc.) a basso costo. A vent’anni, come assistente alla regia aveva mandato a quel paese un intoccabile del cinema impegnato italiano, Gillo Pontecorvo, al termine della lavorazione del cortometraggio documentario “Pane e zolfo” del 1959. Aveva debuttato come regista 13 anni prima, nel 1970, con “Armida, il dramma di una sposa”:
«un film – come sottolineano Lupi e Gazzarrini – sono in pochi ad aver visto e che può dirsi di Mattei soltanto a metà. Nel corso della sua carriera dirige parecchi film di genere, sperimentando ogni tipo di produzione a basso costo».
Il suo pseudonimo più usato era Vincent Dawn, amava le auto BMW tanto da averne due: una verde metallizzato e una di colore grigio metallizzato. In quei giorni, nel periodo più rovente delle indagini sul caso Orlandi, Bruno Mattei era rimasto a Roma a lavorare insieme all’amico e collega Claudio Fragasso alla sceneggiatura del film “Rats – Notte di terrore” che uscirà nel 1984:
«Siamo stati tutto il mese di luglio del 1983 a scrivere la sceneggiatura. Lui a scrivere a penna e io battevo a macchina».
In particolare, Bruno Mattei conosceva bene A.M, il marito di P., lo aveva incontrato sui set cinematografici come fonico e tecnico del suono soprattutto in presa diretta. Ma Mattei volle specificare di non averci mai lavorato insieme. Ma più degli altri il regista conosceva P. della quale era profondamente attratto. Con lei ebbe anche una relazione più o meno clandestina. P. era una bella giovane donna con un lato torbido, oscuro, che tanto stuzzicava la fantasia di quel regista borderline, oggi personaggio cult in un certo mondo di appassionati e intenditori. Mattei, padre di due figli, abitava sulla via Cassia, all’altezza di Tomba d Nerone. Nel 1983, era già separato da Liliana Serra il cui nome compare come montatrice in tre pellicole firmate da Mattei “Interno in un convento” (1980), “L’altro inferno” e “La vera storia della monaca di Monza” (ambedue del 1981), pellicole annoverabili nel sottogenere “tonaca movie” perché ambientate in un immaginario mondo religioso-ecclesiastico caratterizzato da un infernale mix morboso, horror e hard.

Lo stesso giorno in cui vennero sentiti a verbale i genitori di P., il 30 luglio 1983 sempre SISDE aggiungeva alle informazioni alla cosiddetta pista pornografica scaturita dalle rivelazioni dei De Lellis e della loro amicizia con il regista Mattei. Facendo seguito a un appunto del 17 giugno 1983 (appena cinque giorni prima della sparizione di Emanuela Orlandi) del Centro SISDE Roma 1, la Divisione SISDE (presumibilmente Criminalità Organizzata) inviava proprio al Raggruppamento Centri un appunto in cui venivano fornite informazioni sull’attività di una strana società cinematografica di copertura, dietro la quale – sospettava l’intelligence civile – si sarebbe celato un ufficio di reclutamento di comparse per film porno. Il SISDE si accorse, in particolare, che questa società cinematografica aveva fatto pubblicare una strana inserzione sulle pagine degli annunci sul quotidiano “Il Messaggero” il 23 giugno 1983, il giorno dopo la sparizione di Emanuela Orlandi.
«In Roma, in via Angelo Poliziano 70 – si legge sull’appunto del SISDE – ha sede la E. E. “La Rassegna”, società commerciale “ufficialmente” operante nel settore foto-cinematografico pubblicitario. In realtà, la principale attività sarebbe produzione e distribuzione di materiale pornografico. Il reclutamento di “attori e attrici” avviene a mezzo annunci pubblicitari sul quotidiano “Il Messaggero”, alle voci “offerta d’impiego” e “offerta di lavoro” […] Da un controllo a campione effettuato sul giornale “Il Messaggero” è risultato che l’annuncio in questione è pubblicato nei giorni di giovedì e domenica, a partire dal 23 giugno fino al 10 luglio 1983. Nei giorni successivi, 14-17-21 luglio 1983 non compare».

La scivolosa pista pornografica del caso Orlandi, iniziata il 30 luglio 1983, proseguì in modo frenetico nei giorni successivi, attraverso una serie di accertamenti e interrogatori. Venne sentito a verbale anche M. il fratello diciottenne di P. il quale – nel suo drammatico verbale reso alla Squadra Mobile la sera di lunedì 1° agosto 1983 – squarciò il velo su una serie di questioni trattate in modo comprensibilmente cauto e diffidente dai genitori. Per prima cosa, M. confermò che le lezioni di musica terminarono prima del previsto: «Il giorno 22 giugno, ho visto Emanuela durante l’ora di lezione di canto corale, ma non ho scambiato con lei né un saluto né una parola. La lezione è terminata un quarto d’ora prima del solito, e cioè alle 18:45 circa e ciò perché il maestro, che è un sacerdote, mons. Valentino Miserachs, doveva celebrare la messa, all’interno della scuola, per le nozze d’argento dei miei genitori».
Poi M. aggiunse: «Effettivamente mia sorella P. conosceva bene Emanuela Orlandi, poiché entrambe cantavano nel coro della scuola ed erano vicine di posto, per cui non vi è dubbio che tra le due vi fosse un rapporto maggiore di conoscenza e di amicizia. Sta di fatto che all’indomani della scomparsa di Emanuela, P. telefonò in casa e parlò del fatto dicendo “avete visto che è scomparsa Emanuela?” […] Anche mio cognato A. ha avuto un contatto con la scuola di Sant’Apollinare: infatti mia sorella prima di sposarsi ritenne di presentarlo a suor Dolores e quindi lo portò a scuola». La testimonianza di M. andò avanti, fino al punto più delicato di tutta la vicenda e cioè la frequentazione della sorella P. in un certo ambiente cinematografico. Gli investigatori era proprio lì che volevano scavare, per capire quali collegamenti potessero esserci fra quel mondo e la scuola di musica sacra frequentata dalla vittima. Era proprio in quella zona grigia che si stavano coagulando i sospetti degli inquirenti. Dopo settimane spese a dare la caccia a dei fantasmi telefonici, finalmente c’era materia concreta su cui indagare: «Mia sorella ha lavorato nel cinema, facendo la comparsa in alcune proiezioni porno, anche se la parte a lei affidata non era pornografica. Di questa sua attività, o di possibilità di lavoro in tal senso, non sono in grado di dire se P. ne avesse parlato alla Orlandi Emanuela».
Il diciottenne, come il personaggio immaginario del Grillo Parlante di Carlo Collodi nelle avventure di Pinocchio, non era capace di mentire e né di trattenere alcuna informazione di sua conoscenza: «Dopo che i miei genitori sono stati interrogati dalla polizia, in ordine alla vicenda di Emanuela Orlandi, in casa mia sono sorte delle perplessità. Mi spiego: sia i miei genitori che io stesso abbiamo ipotizzato che forse nella storia, riguardante la scomparsa di Emanuela Orlandi, possa esserci la mano di mio cognato A. Come ho detto, è solamente una ipotesi che noi abbiamo fatto e ciò perché mio cognato, oltre a fare uso di droga, ha una personalità imprevedibile».
Poi fu la volta del regista Bruno Mattei, il quale venne chiamato in causa da M. in questi termini: «Sono effettivamente a conoscenza che mio padre ha preso parte, in qualità di comparsa, alla proiezione di un film girato dal regista Bruno Mattei. Questi è un nostro amico di famiglia, abita sulla Cassia, dopo la Tomba di Nerone, spesso è venuto a casa nostra ed [è] colui il quale ha dato lavoro anche a mia sorella P. facendola partecipare a diversi film. La conoscenza col regista è avvenuta attraverso mia sorella […] Mia sorella ha conosciuto mio cognato proprio lavorando nel cinema […] Il nostro amico regista Bruno Mattei è proprietario di una BMW di colore verde chiaro metallizzato. La macchina del Mattei l’ho vista a casa mia quando è venuto a farci visita».
A quel punto, alla Squadra Mobile, raccolte tutte queste informazioni, non restò altro da fare che chiamare Bruno Mattei e raccogliere la sua versione dei fatti. Ciò avvenne il giorno dopo la deposizione di M. e cioè il 2 agosto del 1983. Mancavano 48 ore dall’entrata in scena del fantomatico Fronte di liberazione turco anticristiano Turkesh, con il loro Komunicato 1 battuto a macchina e spedito con lettera espresso alla redazione dell’agenzia Ansa di Milano. Su quei fogli di carta (in cui, per la prima volta, veniva citata Mirella Gregori, la quindicenne romana scomparsa il 7 maggio 1983) c’erano le impronte di qualche servizio segreto estero. Lo stesso giorno, il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, che aveva la sua segreteria particolare proprio accanto agli uffici di suor Dolores a Sant’Apollinare, veniva nominato ministro dell’Interno del primo governo presieduto da Bettino Craxi.
Nella sua carriera di regista di film horror, splatter e hard forse Mattei non avrebbe mai immaginato di essere chiamato dalla polizia per essere interrogato in merito alla misteriosa scomparsa di una quindicenne cittadina vaticana, svanita nel nulla immediatamente dopo aver terminato la sua lezione di canto corale in una scuola di musica sacra. Davanti ai poliziotti il regista romano sembrava essere sicuro di sé, per nulla preoccupato di possibili sviluppi investigativi nei suoi confronti. Già alla prima domanda, Mattei rispose senza esitazione e senza inutili giri di parole: «Ho effettivamente conosciuto la famiglia De Lellis nel luglio 1981 in occasione delle riprese cinematografiche del film “Nerone e Poppea”. Infatti nel detto film vi ha partecipato in qualità di comparsa la P. De Lellis. Nello stesso periodo, ho conosciuto anche i genitori e il fratello. Anche Franco De Lellis ha partecipato con una piccola parte alle riprese. Successivamente, i miei rapporti con P. si sono approfonditi e con la stessa ho avuto una relazione sentimentale».
Mattei volle sottolineare, quasi per stornare da sé ulteriori sospetti, come il rapporto con P. terminò a suo dire quando la ragazza conobbe colui che poi diventò suo marito: «Conoscenza che per quanto mi risulta è avvenuta sul set, in occasione del film “Pierino che casino” [come detto, il titolo corretto è “Che casino… con Pierino!”]. Quest’ultimo film è stato diretto dal regista Bitto Albertini. Preciso che l’A., la cui attività è di fonico, non ha mai lavorato per me, anche perché di solito non usiamo la presa diretta».
L’allora commissario Nicola Cavaliere, dirigente della Sezione Omicidi della Squadra Mobile, era seduto alla scrivania davanti a Mattei per redigere il verbale, mentre il regista raccontava la sua versione. Il fiuto del poliziotto è cristallizzato nella domanda alla quale Mattei rispose così: «Effettivamente sono stato ben due, anzi quattro volte, alla scuola di musica di piazza Sant’Apollinare. Dette visite erano dovute al fatto che andavo ad accompagnare il padre di P. Un’altra volta in occasione della sua fuga ed il giorno dopo a riprenderla per riportarla alla comunità [di Santa Severa] ove era ospite in quanto affetta da tossicodipendenza, eroina. Sono anche a conoscenza che P. una volta intrapresa la via della droga ha compiuto degli scippi e secondo quanto ella dichiarava, soprattutto allo scopo di vantarsene, aveva con ogni mezzo ed espediente cercato di procurarsi soldi sino al punto di dire “di avere decine di milioni nelle vene”. Detti reati li ha compiuti, almeno per quanto ne so, insieme al marito».
Leggendo la testimonianza di Mattei, balza agli occhi una concatenazione di strane coincidenze: l’uscita di P. dalla Comunità “Fratello Sole” di Santa Severa alla fine di maggio 1983, la sua frequentazione e permanenza all’interno di palazzo Sant’Apollinare e la sparizione di Emanuela Orlandi. È lo stesso Mattei a svelare alcuni dettagli particolarmente interessanti per gli investigatori: «L’ultima volta che ho visto P. è stato nel maggio ultimo in occasione di una richiesta di soldi di circa 700.000 lire che dovevano servire per affittare un residence nella zona di via Baldo degli Ubaldi […] Ieri sera ho ricevuto, anzi ieri l’altro [quindi il 31 luglio 1983], una telefonata di Giuliana De Lellis, madre di P., con la quale mi metteva al corrente che erano stati chiamati dalla polizia e interrogati separatamente sulla vicenda Orlandi e che nel corso dell’interrogatorio avevano fatto il mio nome. Preciso che per telefono mi hanno avvertito che mi dovevano dire cose importanti e quindi di raggiungerli a casa. Cosa che io effettivamente feci».
Cosa dovevano riferire i De Lellis a Mattei? «Durante il colloquio avuto ieri sera col De Lellis ho avuto la precisa sensazione che essi erano preoccupati, ritenendo possibile una eventuale corresponsabilità della figlia e del genero per la “nota” vicenda. Inoltre il Franco era preoccupato perché non era stato preciso nel corso dell’interrogatorio reso in Questura in merito ad alcune circostanze riflettenti il tentativo di suicidio della P. per cui temeva di avermi coinvolto in inutili interventi a chiarificazione dei fatti stessi».
Qual era il motivo alla base delle preoccupazioni dei coniugi De Lellis? Fu Mattei a rivelarlo, senza mezzi termini: «Gli elementi che in particolare avevano in loro stimolato le preoccupazioni in ordine al caso Orlandi, da quanto ho potuto intuire, sono: il fatto che entrambi per il passato hanno commesso azioni delittuose, che sono tutt’ora verosimilmente dediti alla droga, che non hanno fissa dimora, che frequentano strani ambienti a Trastevere, che da qualche mese in coincidenza dei noti fatti non hanno più avuto notizia dei loro recapiti né di numeri telefonici per rintracciarli» e che «la P. conosceva bene la Emanuela Orlandi». Cavaliere sembrava aver intuito un po’ tutto e alla fine domandò dove soggiornasse la figlia dei De Lellis. La risposta di Mattei portava direttamente all’interno di palazzo Sant’Apollinare: «Per quanto mi risulta P. oltre ad essere stata mia ospite per qualche giorno ha alloggiato presso una amica nei pressi della Batteria Nomentana; preciso che anche quest’ultima faceva del cinema. Poi ha alloggiato in una pensione in via Palestro e prima ancora presso la custode dell’edificio ove è ubicata la scuola di canto».
Gli inquirenti scoprirono, così, che all’interno di Sant’Apollinare venivano ospitate persone estranee alla scuola di musica sacra, ma che gravitavano comunque in quell’ambiente, perché parenti o amici di coloro che ci lavoravano. Il giorno precedente, il 1° agosto 1983, Franco De Lellis, come ha spiegato Mattei, era tornato in Questura per integrare la sua testimonianza del 30 luglio. Il padre di P. temeva che la sua posizione potesse aggravarsi e per questo decise di vuotare il sacco sui legami tra la figlia e il regista e, soprattutto, sugli strani movimenti di persone all’interno di Sant’Apollinare: «Il Mattei ha seguito attentamente le vicende di P. ed ha avuto sempre a cuore la sua situazione fisica di tossicodipendente. Mi risulta, infatti, che P. è stata anche sua ospite nella casa sulla Cassia e più di una volta è andato anche a farle visita nella scuola di Sant’Apollinare, allorquando ivi si fece ospitare (pare per una sola volta) dalla custode dell’edificio ove è ubicata la scuola, signora Luigina Maggio. In quella occasione, mia figlia era in compagnia di altra ragazza dedita alla droga di Bolzano, già ricoverata nella Comunità di Santa Severa. Effettivamente il Mattei è venuto alla scuola di Sant’Apollinare nella decorsa primavera e quasi certamente durante il mese di maggio ‘83».
Quando il regista si recava a Sant’Apollinare utilizzava sempre la sua BMW: «Effettivamente il Mattei è venuto alla scuola di Sant’Apollinare nella decorsa primavera e quasi certamente durate il mese di maggio ’83. La prima volta, forse quando è venuto a far visita a me e a mia moglie, verso le ore 17 o poco prima, e viaggiava a bordo di una BMW a due porte di colore verde chiaro metallizzato. La seconda volta e più precisamente quando andò a trovare P. che da poco aveva lasciato la Comunità, presumibilmente in serata in quanto lo stesso provvide ad accompagnare a casa mia moglie che giunse molto tardi; ritengo che anche in questa circostanza avesse fatto uso della stessa macchina».
Il signor Franco concludeva raccontando quanto accaduto la sera precedente, quando invitarono a casa loro il regista per metterlo al corrente delle indagini della polizia e dei loro interrogatori: «Mattei è venuto verso le 18 ed è andato via verso le 21. Durante l’incontro col Mattei abbiamo parlato principalmente di P. e della nostra preoccupazione di una sua eventuale corresponsabilità, unicamente al marito in ordine alla scomparsa della Orlandi». Questa frase nasconde qualcosa perché il padre di P. sapeva – o almeno così aveva dichiarato nel suo primo verbale del 30 luglio 1983 – che la figlia teoricamente era del tutto estranea alla scomparsa di Emanuela Orlandi. La ragazza, infatti, quel pomeriggio del 22 giugno 1983, sarebbe stata presente alla messa celebrata da monsignor Miserachs nella cappella al secondo piano di palazzo Sant’Apollinare, presso i Padri Arabi, per le nozze d’argento dei suoi genitori e poi sarebbe andata con loro, parenti e amici a cena a Grottaferrata, da dove sarebbe tornata dopo mezzanotte, accompagnata a Trastevere (presso una sua amica in via Federico Rosazza) proprio dalla custode Luigina Maggio. Se P. era con i genitori, perché costoro erano preoccupati di un eventuale coinvolgimento della figlia nel caso Orlandi?
Venne interrogata la mattina del 3 agosto 1983 e fornì alla Sezione Omicidi della Squadra Mobile di Roma proprio questo alibi, sul quale sembra esserci poco su cui ricamare: «Non ricordo di aver visto nel pomeriggio del 22 giugno Emanuela anche se quel giorno sono stata al Conservatorio senza prendere parte alla lezione di canto corale. Quel pomeriggio, come vi sarà stato riferito dai miei genitori, l’ho trascorso in loro compagnia per festeggiare le loro nozze d’argento. Al riguardo, li ho lasciati dopo la mezzanotte e mi ha accompagnato a casa la portiera Luigina, lasciandomi nei pressi di viale Trastevere in quanto in quei giorni alloggiavo in via Federico Rosazza presso la mia amica Jala. Non so dirvi altro su questa mia amica, ma vi posso indicare l’abitazione. Con me in quel periodo vi alloggiava anche il mio marito A. Non so mio marito cosa ha fatto quel pomeriggio e quella sera: non venne alla festa in quanto mio padre non lo vuole vedere. Comunque per ben due volte ho telefonato a Jala e ho parlato anche con lui».
Che P. fosse presente alla funzione religiosa celebrata al termine della lezione di canto corale da padre Miserachs nella cappella dei Padri Arabi al secondo piano di palazzo Sant’Apollinare per le nozze d’argento dei De Lellis venne confermato anche dal fratello: «Terminata la lezione io, da solo, sono sceso prima al piano terra, ho preso degli spartiti di musica, quindi sono risalito al secondo piano ove è ubicata la Cappella, in cui si è celebrata la messa. Alla cerimonia ha partecipato anche mia sorella P». Quindi, almeno fino al termine della messa (19:30?) P. era insieme ai genitori e agli altri invitati. Poi venne organizzato un piccolo rinfresco, sempre all’interno di Sant’Apollinare, prima di andare tutti a cena a Grottaferrata.
Resta, pertanto, inspiegabile la grande preoccupazione dei coniugi De Lellis circa un possibile coinvolgimento della figlia nella sparizione di Emanuela. La circostanza non è banale, perché l’agitazione dei signori Franco e Giuliana appare incompatibile con l’alibi di P. Il primo, infatti, ad aver fornito un alibi alla figlia fu proprio il padre, nel suo verbale del 30 luglio: «Mia figlia P. ha partecipato a tutta la cerimonia del nostro anniversario, compresa la cena che ho offerto a Grottaferrata: la cena è terminata alle ore 23:50/0:24 e mia figlia si è fatta accompagnare dalla signora Luigina, custode del palazzo, unitamente al figlio Gaetano e alla signora Gabriella, segretaria della scuola».
Chi partecipò alla cerimonia delle nozze d’argento dei De Lellis? «Alle ore 18 – spiegò a verbale il signor Franco – sono sceso nella portineria per cambiarmi d’abito in quanto ricorrendo le nozze d’argento mie e di mia moglie avevamo stabilito di celebrare nella cappella della scuola una messa cui hanno preso parte suor Dolores, il maestro don Valentino Miserax [così nel verbale], padre Michele, la signora Luigina custode dell’intero edificio, la signorina Gabriella, segretaria della scuola, la signorina Liana segretaria aggiunta della scuola, oltre i miei parenti più stretti, quali mia madre, mia sorella con il marito, il fratello di mia moglie con la moglie e i bambini, mia zia Rosa con il marito. Preciso che alle 18:30 venne anche mia figlia. Io l’ho vista entrare al primo piano da sola. Nella circostanza non ho visto, e non avrei voluto vederlo, mio genero».
Se è vera questa versione dei fatti, perché allora i De Lellis, come ha confermato anche il regista Mattei, in quei giorni erano così allarmati per un eventuale coinvolgimento della figlia nella sparizione della giovane cittadina vaticana?
Bruno Mattei non può più rispondere. È morto in ospedale a Roma il 21 maggio 2007, all’età di 76 anni, a causa di un tumore. Personaggio unico nell’ambiente cinematografico italiano, ha dedicato tutta la sua vita a quel suo particolare modo di fare cinema, senza mai rincorrere effimere ambizioni artistiche, coerente e ostinato nel suo perseguire i film di genere trash a basso costo. Libero da ogni velleità pseudo artistica, Mattei ha tirato dritto sulla sua strada, fregandosene della critica, dei festival blasonati e del jet set. Per Ivo Gazzarrini «Mattei era una persona alla mano, squisita, simpaticissima». Un uomo «interessante da intervistare perché raccontava un sacco di cose inedite e sconosciute, parlava del suo lavoro, svelava retroscena e regalava sconvolgenti rivelazioni».
Per un’ennesima diabolica coincidenza, Bruno Mattei era collegato a un’altra controversa personalità del mondo del cinema italiano: l’apolide Peter Skerl, regista di genere italo-sloveno naturalizzato statunitense, ammantato da una sinistra aurea di mistero. Era nato il 28 marzo 1942 a Belgrado da padre triestino (città dove il cognome Skerl è abbastanza diffuso, soprattutto nella sua forma italianizzata di Scherl) e madre moldava. A fare da collegamento tra Mattei e Skerl è il coetaneo regista e sceneggiatore Gianni Martucci, che collaborò con entrambi. Dei due amici e colleghi Martucci ha parlato nell’intervista rilasciata nel 2016 al CSC-Cineteca Nazionale, a cura di Eugenio Ercolani:
«Con Peter abbiamo cominciato a proporre film appena ventenni […] nel ’62-’63 tentammo addirittura di proporre un film western, ci hanno riso in faccia. Due anni dopo Leone gira “Per un pugno di dollari”, quindi fummo i primi ad avere questa idea […] “Ragazza tutta nuda” [assassinata nel parco, titolo completo, del 1972] inizialmente doveva avere una trama un po’ diversa e si sarebbe chiamato “Prater Shock”, ambientato a Vienna […] alla fine cambiò molto e lo girammo sotto il sole di Madrid […] “La collegiale” è stato il mio primo film senza Peter, che mi guardava lavorare in autonomia dal lato del set […] qui ci fu la prima collaborazione con Bruno Mattei a cui affidai il montaggio del mio film».
Non sappiamo se Skerl e Mattei si conoscessero già in precedenza, probabile. In ogni caso possiamo affermare che nel 1975 i due registi entrarono in contatto. Che la conoscenza tra i due potesse essere pregressa, ce lo suggerisce il fatto che non solo Bruno ma anche Peter erano soliti frequentare la villa di Giorgio Ardisson, in via del Casale Lumbroso. Come riportano Roberto Curti e Alessio Di Rocco nell’articolo di Visioni Proibite, intitolato “Lo strano caso di Mr. Skerl”.
Se Bruno Mattei, nell’insieme e a quanto è dato sapere, condusse una vita senza grandi colpi di scena, se non le censure e qualche condanna legate alla sua professione, l’esistenza di Peter Skerl fu decisamente più tormentata e segnata da eventi tragici. La sera del 21 gennaio 1984, la figlia diciassettenne Catherine venne assassinata tra i filari di una vigna a Grottaferrata, in via Rocca di Papa. La ragazza scomparve intorno alle ore 18.45 di un piovoso sabato, dopo aver lasciato una festicciola in largo Cartesio, a poche centinaia di metri da casa, mentre stava raggiungendo la fermata di Lucio Sestio, sulla via Tuscolana, dove alle ore 20.00 aveva appuntamento con la sua amica Angela L., dalla quale avrebbe pernottato in vista della gita sulla neve, a cui avrebbero preso parte la mattina seguente.
L’omicidio, in un primo momento, venne attribuito a un giovane con problemi mentali: Maurizio Giuliano, detto “Il lupo dell’Agro Romano”, che si attribuì anche una serie di altri omicidi avvenuti a Roma nel corso del 1983. Gli inquirenti tuttavia stabilirono che Giuliano, affetto da grave psicosi, era estraneo all’omicidio della figlia di Peter Skerl, e alla maggior parte degli assassinii da lui rivendicati.
Rimasto irrisolto, il caso di Catherine Skerl è stato riaperto di recente dalla Procura di Roma. Il procedimento penale è affidato al sostituto procuratore Erminio Amelio il quale ha impresso una accelerazione alle indagini in seguito alla scoperta del trafugamento del cadavere della ragazza dal cimitero monumentale del Verano.
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4 commenti
Qui si può capire come il Vaticano possa essere “interessato” alla questione Orlandi! Predicare bene e razzolare male?
La pista cinematografica ha una sua logica, ma non spiega la sagra di depistaggi che ha caratterizzato questa vicenda. Emanuela Orlandi non fu l’unica ragazza a sparire in quel periodo, ma il fatto che fosse cittadina vaticana ha spalancato le porte a ogni genere di intrighi e di complotti inesistenti. Non credo che questo polverone di depistaggi si sia alzato solo per coprire un regista cinematografico che girava di film porno di serie B. Non credo nemmeno che il palazzo di Sant’Apollinare sia la scena del crimine, perché lì aveva il suo ufficio Oscar Luigi Scalfaro, sarebbe stato pericoloso commettere un delitto lì dentro, a meno che non vogliamo chiamare in causa pure Scalfaro come potenziale colpevole. La mia etica professionale mi dice che un giornalista dovrebbe raccontare un giallo solo quando questo giallo ha una soluzione. Ma tra lei che segue la pista cinematografica, Peronaci che segue l’intrigo internazionale, Nuzzi che si è fissato sulla pista vaticana e altri che seguono la pista americana, i media hanno contribuito soltanto ad alimentare il caos intorno a un caso di cronaca nera diventato un affare di Stato. E questo mi dispiace, perché volevo dedicare un capitolo su Orlandi nel mio prossimo libro, ma mi è passata la voglia.
Forse una delle cose più interessanti che abbia letto sulla vicenda di Emanuela negli ultimi 10 anni.
Pista plausibile. Personaggi immondi che potrebbero aver fatto da humus al tragico destino di Emanuela .
Bravi davvero agli autori
Mi associo ai complimenti. Bravi!
Ho iniziato da qualche mese a leggere libri sul “caso Orlandi”, ma questa “pista cinematografica” ancora non la conoscevo.
Può benissimo essere una pista sbagliata, ma perché non parlarne?
In un articolo precedente della sola Rossella Pera viene specificato il modello di auto: due BMW 520 (una verde metallizzato e una grigia metallizzata).
Non avete però precisato se il modello è compatibile con quello indicato dai testimoni. In un libro ho letto questo dettaglio: “i due fanali posteriori internamente divisi in 2 o 3 elementi (come una Y)”.
Se fosse compatibile, ovviamente potrebbe essere solo una coincidenza, però sarebbe strana, mi sembra un’auto non proprio comune.