Premessa
L’ultima telefonata di Emanuela Orlandi è un mistero. A distanza di 40 anni, nonostante le varie indagini, inchieste e procedimenti penali, non si sa a che ora sia stata fatta né da dove. Parliamo della telefonata che la ragazza quindicenne avrebbe fatto chiamando il numero fisso 06 6984982 abbinato alla sua abitazione all’interno della Città del Vaticano al secondo piano del palazzetto di via Sant’Egidio adiacente alla Porta Sant’Anna situata in via di Porta Angelica – quel pomeriggio di quel mercoledì 22 giugno 1983 – per parlare con la madre e informarla di una presunta offerta di lavoro ricevuta da un uomo tra i 35 e i 45 anni, alla guida di una BMW di colore verde, azzurro o grigio scuro metallizzato. I genitori, Ercole Orlandi e Maria Pezzano, in quel momento erano assenti, per cui la vittima parlò con la sorella maggiore Federica, 21 anni all’epoca dei fatti, alla quale avrebbe riferito in modo affrettato e sbrigativo il motivo della sua chiamata. All’epoca, alcuni quotidiani scrissero che Emanuela telefonò a casa due volte. Ma la notizia venne smentita dal padre, Ercole Orlandi.
Questa misteriosa e controversa telefonata rappresenta il perno intorno al quale ruotano tutti i primi e confusi eventi collegati alla scomparsa della minorenne. È uno degli aspetti più oscuri e delicati dell’intera vicenda, prima dell’ingresso sulla scena dei presunti rapitori. A che ora telefonò a casa Emanuela? Da Dove? E qual era il motivo impellente e improrogabile che la spinse a chiamare per parlare con la madre? A quanto pare, c’era una certa urgenza alla base di quella telefonata. Infatti, se così non fosse, Emanuela avrebbe potuto più semplicemente aspettare il suo rientro a casa per parlare con i genitori. Ma qualcosa o qualcuno creò in lei uno stato d’ansia tale da spingerla a contattare e informare subito i genitori per ottenere – così almeno è stato raccontato dai familiari – il loro consenso ad accettare quella strana offerta di lavoro.
Questa è la versione ufficiale. Ma i fatti andarono veramente in quel modo?
La sentenza-ordinanza Rando
E così, la storia dell’ultima telefonata di Emanuela Orlandi si è cristallizzata in questi termini, nella sentenza-ordinanza di archiviazione del giudice istruttore del Tribunale di Roma Adele Rando del 19 dicembre 1997:
«Rappresentava altresì la denunciante [Natalina Orlandi, 26 anni all’epoca dei fatti, la sorella maggiore di Federica ed Emanuela] che intorno alle 19 del 22.06.83 Emanuela aveva telefonato alla sorella Federica riferendole che un rappresentante della casa di cosmetici Avon le aveva proposto un’attività propagandistica per conto della Avon in occasione della sfilata che la casa di moda “Fontana” avrebbe tenuto a Palazzo Borromini per il compenso di lire 375.000; segnalava altresì che tale circostanza era stata immediatamente verificata, giacché Monzi Raffaella amica di Emanuela, aveva confermato l’appuntamento della stessa Emanuela con l’uomo dell’Avon la sera del 22.6.83, e riferito di aver lasciato la ragazza in corso Rinascimento alla fermata della linea 70 intorno alle ore 19:20 in e In compagnia di altra ragazza, sconosciuta alla Monzi e comunque anche in seguito mai identificata».
Il magistrato aveva riassunto così gli eventi che ruotavano intorno alla telefonata e all’offerta di lavoro per reclamizzare i prodotti Avon, basandosi sulle testimonianze degli stessi familiari della giovane vittima. La chiamata sarebbe avvenuta poco prima delle ore 19 del 22 giugno 1983, presumibilmente dal telefono a gettoni interno alla scuola di musica Ludovico Da Victoria. Basandosi sul racconto fatto dalla sorella Federica, la primogenita Natalina Orlandi, 26 anni all’epoca dei fatti, la mattina di giovedì 23 giugno 1983 si recava di buon’ora all’Ispettorato Generale di PS presso lo Stato della Città del Vaticano per denunciare la scomparsa della sorella più piccola. Il verbale di denuncia riporta si apre alle ore 7 e 50 e riferisce quanto segue:
La denuncia di Natalina
«Verso le ore 16:30 di ieri, mia sorella, Orlandi Emanuela, nata a Roma il 14.1.1968, convivente, è uscita dalla nostra abitazione, per recarsi alla scuola di canto, sita in piazza Sant’Apollinare, nella scuola Ludovico da Vittoria, senza fare più ritorno in casa. La medesima, verso le ore 19 successive, ha telefonato nella mia abitazione dove ha risposto l’altra mia sorella Federica di anni 21 alla quale ha riferito di avere incontrato un uomo, non meglio descritto, il quale le aveva proposto se voleva fare una propaganda per una ditta di cosmetici e precisamente per la ditta Avon, con sede, anzi mediante una sfilata a Palazzo Borromini o via omonima, unitamente alle sorelle Fontana, concludeva, però, nella detta telefonata, che tra qualche minuto sarebbe tornata a casa, tuttavia a tuttora non si è vista».
Dalla denuncia di Natalina si apprende che Emanuela avrebbe fatto riferimento nel corso della telefonata con Federica a l’incontro con un uomo non meglio descritto il quale le avrebbe proposto di fare del volantinaggio per la ditta Avon a una sfilata di moda delle Sorelle Fontana a Palazzo Borromini o via omonima. A Roma non esiste nessun Palazzo Borromini. Semmai esistono una Terrazza Borromini (oggi Rooftop) sullo storico Palazzo Pamphilj a piazza Navona e una Sala Borromini nell’Oratorio dei Filippini (dei confratelli della Congregazione di San Filippo Neri) in via della Chiesa Nuova.
Un insieme di informazioni sbagliate e inattendibili, dettagli fuorvianti ed orari sballati che ha finito con l’inquinare anche il primo rapporto di polizia giudiziaria destinato al magistrato titolare dell’inchiesta, la dottoressa Margherita Gerunda. Il 6 luglio 1983, la Sezione Omicidi della Squadra Mobile scriveva:
«La mattina del 23 giugno u.sc., Orlandi Natalina, nata a Roma il 17.3.1957, abitante nello Stato della Città del Vaticano, denunziava negli uffici dell’Ispettorato Generale di PS presso il Vaticano la scomparsa ella sorella minore Emanuela, in oggetto generalizzata. La Orlandi Natalina precisava che la congiunta, uscita di casa alle ore 16:30 del giorno precedente, per recarsi a scuola di canto presso l’Istituto “Ludovico Da Victoria” sito in piazza Sant’Apollinare, non aveva più fatto ritorno a casa, pur avendolo preannunziato telefonicamente intorno alle ore 19; nel corso di tale telefonata, la giovane aveva riferito alla sorella Federica, di anni 21, che le aveva risposto, di essere stata poco prima avvicinata da un uomo (che non aveva descritto), il quale le aveva proposto di partecipare ad una sfilata pubblicitaria per la ditta Avon che si sarebbe svolta al Palazzo Borromini con la partecipazione delle sorelle Fontana».
Il primo ad accorgersi dei troppi errori lasciati a verbale dalle figlie fu proprio Ercole Orlandi, il padre della giovane scomparsa, il quale si espresse in questo modo il 9 luglio 1983 proprio al sostituto procuratore Gerunda:
«Mia figlia Federica mi raccontò che, circa 10 minuti prima delle 19, Emanuela aveva telefonato a casa e chiesto di papà o mamma e le aveva detto che, quando andava a scuola, l’aveva fermata un uomo che le aveva proposto di fare del volantinaggio il sabato successivo o al Palazzo Borromini o alla Sala Borromini, non aveva capito bene, per prodotti Avon da pubblicizzare in occasione di una sfilata di moda per “quelle Sorelle che stanno in Piazza di Spagna” di cui non ricordava il nome». [in Pino Nicotri “Triplo inganno”, Kaos Edizioni 2014].
Resta il fatto che gli elementi di fatto rassegnati nella denuncia di scomparsa di Emanuela Orlandi sono quasi tutti imprecisi o inattendibili. A partire dall’orario di uscita di casa (16:30) per recarsi alla scuola di musica e per terminare con la presunta sfilata di moda delle Sorelle Fontana.
Il particolare delle Sorelle Fontana è stato inserito nella narrazione dalla stessa Federica Orlandi, la quale – sentita a verbale dai militari della 3ª Sezione del Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma, il 29 luglio 1983 – ha, fra l’altro, spiegato che si era trattato di una sua personale deduzione, ammettendo che la sorella Emanuela non aveva mai fatto esplicito riferimento al nome delle Sorelle Fontana. Il verbale inizia con una rettifica dell’orario di uscita di casa della sorella, rispetto a quello indicato nella denuncia di Natalina:
«Il giorno 22 giugno u.s., alle ore 16 circa, ho visto mia sorella Emanuela uscire di casa per recarsi alla lezione di musica nella scuola di piazza Sant’Apollinare. Non so se Emanuela ha preso l’autobus della linea 64 oppure abbia fatto corso Rinascimento a piedi per arrivare a scuola per le ore 16:30, orario d’inizio delle lezioni. Alle ore 18:40 circa, ho ricevuto una telefonata di Emanuela la quale mi domandava di nostra madre e non essendo a casa mi riferiva quanto segue: “Mentre andavo a lezione sono stata avvicinata da un signore il quale mi offriva un lavoro di volantinaggio, ovvero dover pubblicizzare un prodotto e altri della casa cosmetica Avon in una sfilata di moda che si sarebbe svolta il sabato successivo, ovvero il 25 giugno, che si sarebbe svolta in Roma nella sala Borromini alle ore 16:30. Mi avrebbe offerto la cifra di 350.000 lire per questo lavoro, però voglio sapere se mamma mi accompagna”. Aggiungo – proseguiva Federica Orlandi a verbale – che non si ricordava il nome di chi era la sfilata in questione, ma mi spiegava che erano quelle sorelle che hanno il negozio di alta moda a piazza di Spagna, da cui ho dedotto le sorelle Fontana. Io le dissi anche se sarebbe stata sicuramente una “fregatura”, ma lei non mi ha risposto, e per concludere diceva che sarebbe venuta a casa e inoltre aveva un appuntamento con quel signore alle ore 19:10 davanti alla scuola, per cui presumo che abbia chiamato dalla scuola di musica dalla quale sarebbe uscita verso le ore 19».[in Tommaso Nelli “Atto di dolore”, Fabiano Castaldo, 2020]
Dunque, stando a questa versione dei fatti di Federica Orlandi, Emanuela avrebbe telefonato a casa verso le 18:40 e presumibilmente utilizzando un telefono all’interno della scuola di musica. Ma nessuno, fra allievi, personale e insegnanti dell’istituto Ludovico Da Victoria, ha mai dichiarato o confermato di aver visto la Orlandi telefonare al termine delle lezioni di musica.
Anzi, due allieve della scuola di musica, Sabrina Calitti e Raffaella Monzi, videro ambedue Emanuela scendere le scale di palazzo Sant’Apollinare «con passo affrettato» per guadagnare l’uscita, al termine della lezione di canto corale, poco prima delle ore 19. Nessuna di loro vide la vittima fermarsi all’interno o all’esterno dell’istituto per telefonare.
L’ultima telefonata: le testimonianze
Tuttavia, in questo scenario effimero e inquietante, un dato è certo: quella è l’ultima telefonata della vittima. È l’ultima volta che i suoi familiari (in questo caso la sorella più grande Federica) sentiranno la voce di Emanuela dal vivo. Dopo di che il buio. Tra le ore 19:10 (quando sarebbe stata vista dal custode Andrea Paolini in attesa fuori del portone di ingresso di palazzo Sant’Apollinare: l’orario combacia con quello indicato dalla sorella per l’appuntamento con il misterioso uomo incontrato già in precedenza) e le 19:30, la ragazza si sarebbe spostata di poche decine di metri su corso Rinascimento per recarsi alla fermata dell’Atac della linea 70, dove ebbe modo di parlare con un’altra compagna della scuola di musica, Raffaella Monzi. In quella circostanza, Emanuela sarebbe stata vista anche da altre due allieve, Laura Casagrande e Maria Grazia Casini in compagnia di una quarta ragazza, mai identificata. Presumibilmente anche lei una studentessa del Ludovico Da Victoria, coetanea e più meno alta come Emanuela, con i capelli ricci, corti e neri.
La misteriosa allieva fu vista restare alla fermata della linea 70 in compagnia della vittima e – almeno stando a Maria Grazia Casini – la direttrice della scuola di musica riuscì «a identificarla e quindi interpellarla». [in Adelchi Battista e Giuseppe Colella “Emanuela Orlandi. una storia vaticana”, ep. 6 “E così sia”, RCS, 2023]. Quando suor Dolores interpellò la quarta ragazza, sarebbe stata presente anche la Casini. Ma l’identità dell’ultima ragazza rimasta con la vittima prima della sua scomparsa non fu mai comunicata agli inquirenti: il nome di quella giovane restò sigillato nella memoria di suor Dolores: Lidia Salsano, 61 anni originaria di Salerno, alle 19:30 di mercoledì 25 novembre 1985 morì al Policlinico Gemelli, stroncata da un male incurabile dopo 56 giorni di degenza. La religiosa portò con sé nella tomba il nome della “quarta ragazza”. Le immagini sfocate di Emanuela e l’amica ignota potrebbero essere fra gli ultimi fotogrammi della vita della quindicenne cittadina vaticana.
Da quel momento in poi, infatti, la sua tragica sorte inizia a sfumare come in un effetto fade-out di un film dell’orrore, fino a svanire totalmente nel nulla. Dopo le 19:20-19:30 cessano le testimonianze di tutti coloro che dissero di averla vista. Viva e libera. Poi, un grande buco nero.
La nuova versione di Federica Orlandi
A demolire la versione dell’ultima telefonata di Emanuela, venticinque anni dopo, sarà proprio Federica Orlandi. Nella sua deposizione del 12 novembre 2008, davanti ai sostituti procuratori Simona Maisto e Roberto Staffa della Procura di Roma, e alla presenza del dirigente della Squadra Mobile Vittorio Rizzi, la sorella della vittima – scardinando tutte le ricostruzioni dei fatti accreditate negli anni – anticiperà l’ultima telefonata di Emanuela di almeno due ore rispetto alla versione accreditata per anni, collocandola immediatamente dopo l’incontro con il misterioso uomo della Avon:
«Sono stata sentita numerose volte sulle circostanze relative alla scomparsa di mia sorella ed in particolare in merito alla telefonata di Emanuela da me ricevuta il giorno della scomparsa. Ricordo che mi chiamò, ritengo da scuola, sicuramente da un telefono pubblico poco prima dell’inizio delle lezioni perché voleva parlare con mamma in quanto, poco prima che entrasse a scuola, era stata avvicinata da un uomo che le aveva proposto di fare pubblicità tramite volantinaggio a prodotti della Avon nel corso di una sfilata delle sorelle Fontana che si sarebbe tenuta a Palazzo Borromini, piazza della Chiesa Nuova, qualche giorno dopo per un compenso di 300mila lire. Emanuela voleva parlare con mamma per avere il permesso di accettare la proposta, dovendo dare la risposta all’uomo subito dopo la scuola».
Collocando l’ultima telefonata prima di fare ingresso nel palazzo di Sant’Apollinare, si va a incrinare l’intero impianto di tutti gli altri orari, a partire da quello indicato dalla sorella maggiore Natalina (le 16 e 30) come quello che segna l’uscita di casa per recarsi alla Ludovico Da Victoria. Stando a questa nuova versione, Emanuela avrebbe dovuto incontrare l’uomo della Avon dopo le 16 e 30 ma prima delle 17, su corso Rinascimento (come testimoniò il vigile urbano Alfredo Sambuco), perché a quell’ora (minuto più o meno) sarebbe stata vista entrare nel palazzo di Sant’Apollinare, incassando anche un rimbrotto da parte del suo maestro di flauto, Loriano Berti, per essere arrivata in ritardo alla lezione.
Federica Orlandi in questo verbale svelava un altro particolare interessante: confessa di aver lavorato lei stessa per la ditta di cosmetici Avon:
«Io ho lavorato per l’Avon, ma penso che all’epoca avevo già smesso. Mi occupavo della zona Prati e avevo come base per le riunioni l’Hotel Michelangelo [in via della Stazione di San Pietro, accanto al Vaticano]».
La versione di Raffaella Monzi
Ma a che ora arrivò Emanuela Orlandi alla scuola di musica? Collocando i vari eventi in un sempre più ristretto arco temporale (che non supera la mezz’ora tra l’uscita di casa, l’incontro con l’uomo della Avon, la telefonata a casa e l’arrivo alla scuola di musica), possono essere credibili gli orari forniti dai vari testimoni fino a quel momento? Sappiamo però che – almeno stando all’allieva Sabrina Calitti – la vittima arrivò con un leggero ritardo, stimabile nell’ordine di 10-15 minuti.
La prima testimonianza è quella di Raffaella Monzi. Risale al 9 luglio 1983 ed è verbalizzata dalla Sezione Omicidi della Squadra Mobile di Roma, coordinata dal commissario Nicola Cavaliere:
«Fino alla fine di giugno, nei pomeriggi di lunedì, mercoledì, giovedì e sabato, ho frequentato il secondo anno di flauto e solfeggio presso la scuola Ludovico da Vittoria sita in questa via Sant’Apollinare n. 1. Gli orari di lezione andavano dalle ore 15 alle ore 19, ciò una sola volta alla settimana, oppure dalle 16 alle 17 o dalle 18 alle 19, a seconda del tipo di lezione da seguire. Nella mia stessa classe c’era la giovane Emanuela Orlandi che ho conosciuto all’inizio dell’anno scolastico dello scorso anno, cioè a dire due anni or sono. La nostra amicizia non è stata mai molto stretta, anzi si è limitata a qualche scambio di opinioni sulle lezioni o su qualche altra frivolezza. Devo dire che con me era piuttosto distaccata, forse per il suo carattere che a me è parso introverso; per questo motivo non mi ha mai riferito alcun particolare della sua vita privata, tranne quello sulla circostanza del lavoro di volantinaggio per conto di un rappresentante dell’Avon. L’ultima volta che ho visto Emanuela Orlandi risale a mercoledì 22 giugno ultimo scorso; lo ricordo perché era l’ultimo giorno in cui avevamo avuto la lezione di canto corale alla chiusura dell’anno scolastico. Siamo usciti da scuola verso le ore 19; per le scale, mentre parlavo con una mia compagna di classe, cioè di canto corale, ho intravisto Emanuela che ci ha superato con passo affrettato, mi ha salutato e quindi è uscita dall’istituto. Salutata la mia amica e direttami verso la fermata dell’autobus linea 70, direzione Palazzo Madama-via Nazionale, ho raggiunto, in quel breve tratto che va dalla scuola alla fermata, Emanuela; l’ho affiancata e, vedendo che lei non parlava, allora, per rompere il silenzio le ho chiesto come andava con Berti, cioè il nostro professore di flauto; con ciò intendendo come andava in quegli studi. Lei mi ha risposto che andava bene, ma che, comunque, l’anno prossimo avrebbe dovuto applicarsi di più».
A questa prima testimonianza, seguirà quella resa al sostituto procuratore Domenico Sica che era subentrato quattro giorni prima alla collega Margherita Gerunda nella conduzione delle indagini sulla scomparsa della minorenne. È il 28 luglio 1983:
«Ho visto la ragazza durante la lezione di canto corale e poi siamo uscite insieme. Ricordo che Emanuela correva per le scale mentre io mi trattenni a parlare con altre compagne».
Raffaella Monzi ha sempre reso versioni sostanzialmente solide e coerenti. Nell’ottobre del 1987, venne intervistata per una puntata della trasmissione “Telefono Giallo”, diretta da Corrado Augias e Donatella Raffai, dedicata ai casi Orlandi-Gregori, e confermò quello che aveva riferito agli inquirenti quattro anni prima:
«Quel giorno Emanuela arrivò con dieci minuti di ritardo, me lo ricordo perché il professore ci chiese sue notizie, a noi sembrò molto strano perché di solito lei era una ragazza molto puntuale, poi mi ricordo che arrivò in aula ed era molto affannata e questo fatto evidentemente perché aveva fatto le scale di corsa».
La versione di Maria Grazia Casini
Il 22 luglio 1983, è Maria Grazia Casini a rendere la sua testimonianza, sempre alla Squadra Mobile di Roma. Anche in questo caso i momenti affrontati sono quelli successivi all’uscita di scuola. In questo verbale la Casini aggiunge dettagli circa il suo rapporto con Emanuela e sulla misteriosa “quarta ragazza” vista con Emanuela alla fermata dell’autobus:
«L’ultima volta che ho visto Emanuela è stato il giorno 22.6.1983 alle ore 19:00 circa, all’uscita della scuola. Preciso che era ferma, insieme a una sua amica, alla fermata dell’autobus 70 […] Sebbene ricordo questa ragazza, della quale mi sono dimenticata il nome, avrebbe riferito alla suora, che dopo che io e i miei amici siamo saliti sull’autobus, la stessa, in compagnia di Emanuela, si erano avviate a piedi fino a corso Vittorio, punto in cui si sarebbero separate […] Quando suor Dolores ha interpellato questa ragazza, ero presente anche io».
I ricordi di Laura Casagrande
Arriviamo ora ad un’altra importante testimone: Laura Casagrande. È la prima allieva a dare qualche informazione utile sull’arrivo di Emanuela alla scuola di musica. La ragazza venne ascoltata nella caserma dei Carabinieri del Reparto Operativo di via in Selci il 4 agosto 1983:
«Conosco Emanuela Orlandi da prima di Natale dell’82, la conobbi tramite altra amica entrambe a scuola di musica. Con l’Orlandi non ho intrapresa un’amicizia particolare ma ci frequentavamo soltanto prima, durante e dopo le lezioni di canto corale che entrambe frequentavamo presso la scuola Ludovico de Victoria, sita credo in questa piazza S. Apollinare […] Dopo le ore 16 sono uscita e mi sono recata in una sala d’aspetto dove ho incontrato altri amici ed ho atteso in quanto alle ore 17.30 avevo la lezione di canto corale. Alle ore 17.00 circa, nella sala dove ero in attesa, giungeva Emanuela Orlandi, ed essendovi anche il suo professore di flauto, di cui non conosco il nome, ho sentito che lo stesso rimproverava Emanuela in quanto giunta tardi alla lezione di flauto […] Dopo il rimprovero del professor Berti, Emanuela si univa al nostro gruppo, sempre in sala d’attesa. Parlando della lezione di canto corale che avrebbe dovuto durare più del solito, Emanuela diceva che doveva assolutamente terminare alle 19 in quanto doveva uscire. Durante la lezione si è svolto tutto normalmente. Alla lezione prese parte anche Emanuela […]. Scendendo le scale della scuola Emanuela era dietro di me per cui giunta al cortile l’ho salutata ed aspettato, anche se andavo di fretta, tutto il gruppo. Quando ci siamo riuniti, nel cortile esterno della scuola, ho deciso di avviarmi verso la mia abitazione in compagnia della mia amica Maria Teresa P. Durante il tratto di corso Rinascimento che ho percorso a piedi, mi sono girata diverse volte per controllare se il gruppo si era mosso».
La testimonianza di Sabrina Calitti
Come Maria Grazie Casini, anche Sabrina Calitti viene ascoltata il 29 luglio del 1983, la sua deposizione è verbalizzata dalla DIGOS di Roma:
«L’ultima occasione in cui ho visto Emanuela è stata quando ci siamo salutate sul portone di scuola. Perché poco dopo passando avanti alla fermata dei mezzi pubblici di corso Rinascimento – ubicata poco prima del Senato – ho visto che vi erano alcune ragazze della scuola di musica, che io conosco di vista, non ho notato però Emanuela. Di questo sono sicura»
Le parole di Sabrina Calitti sono riportate anche nella sentenza-ordinanza di archiviazione del 17 dicembre 1997 del giudice istruttore Adele Rando:
«Il pomeriggio del 22.6.83 la Orlandi era giunta a scuola quando la lezione di flauto era già cominciata, confidando all’amica Calitti Sabrina che era sua intenzione anticipare l’uscita, avvenuta infatti intorno alle ore 18:50».
L’uscita di scuola anticipata, tuttavia, è un falso problema, poiché proprio quel mercoledì 22 giugno 1983, due impiegati (se così possiamo chiamarli) dell’istituto di musica diretto da suor Dolores festeggiavano le nozze d’argento e proprio per questo motivo il maestro Valentino Miserachs terminò la lezione di canto corale alle 18:45. Ciò esclude l’ipotesi che Emanuela avesse ancora la necessità di uscire prima delle ore 19, proprio perché la lezione del maestro Miserachs terminò in anticipo di un quarto d’ora rispetto all’orario previsto. E la ragazza non uscì prima delle 18:45 perché fu vista da parecchie persone uscire dalla scuola insieme a tutti gli altri.
Non solo.
Le versioni discordanti di suor Dolores
La direttrice della scuola di musica Ludovico Da Victoria, nel pomeriggio del 10 luglio 1983, confermò alla Sezione Omicidi della Squadra Mobile di Roma l’arrivo in ritardo di Emanuela e l’uscita anticipata di tutta la scolaresca:
«Il 22 giugno u.sc., Emanuela è venuta regolarmente in istituto, con un po’ di ritardo come mi è stato riferito dal professore di flauto. La lezione [non di flauto, ma di canto corale] quel giorno è terminata alle ore 18:45, ora in cui tutti gli allievo sono usciti dalla scuola, compresa Emanuela. Da allora non l’ho più veduta».
Questa versione di suor Dolores combacia con le testimonianze di Monzi e Calitti: la vittima, terminata la lezione di canto corale del maestro Miserachs, uscì insieme a tutti gli altri allievi, scendendo le scale del palazzo in fretta, superando e dribblando molte compagne di corso. Viene notata da varie persone e questo comportamento taglia la testa al toro, smentendo l’ipotesi che sia uscita prima degli altri.
Inspiegabilmente, però, forse a causa degli effetti della grave malattia, nel 1987, poco tempo prima della sua scomparsa, suor Dolores, nella sua intervista rilasciata per la trasmissione “Telefono Giallo”, raccontò un’altra storia che mal si incastrava con la sua deposizione agli inquirenti di quattro anni prima:
«Quel giorno [Emanuela] chiese al professore di canto corale di uscire dieci minuti prima perché aveva un impegno. Abitualmente le bambine chiedono il permesso a me di uscire prima, anche questo mio ha stupito moltissimo».
Potrebbe anche essere vero che la giovane vittima chiese di uscire prima, ma visto che era comunque prevista la fine anticipata della lezione di canto corale, è ragionevole pensare che monsignor Miserachs l’abbia rassicurata, dicendole che non era necessario chiedere un permesso perché tutti sarebbero usciti un quarto d’ora prima del previsto.
Le nozze d’argento dei De Lellis e quel loro amico regista
Franco De Lellis e Giuliana De Ioannon, il marito e moglie che festeggiavano quel giorno i 25 anni di matrimonio, avevano chiesto e ottenuto da suor Dolores di poter organizzare all’interno del palazzo Sant’Apollinare una cerimonia religiosa per parenti e amici che si sarebbe celebrata nella cappella presso i Padri Arabi al secondo piano, nonché un piccolo rinfresco, prima di andare poi tutti a cena a Grottaferrata. I coniugi De Lellis furono interrogati dalla Squadra Mobile e dalla DIGOS tra il 30 luglio e il 2 agosto 1983. Sia Franco che Giuliana confermarono che la lezione di canto corale del maestro Miserachs terminò prima, per permettere agli invitati di partecipare alla messa per la loro ricorrenza nella cappella presso i Padri Arabi.
Uno degli autori di questo articolo intervistò i coniugi De Lellis per il settimanale Italia. L’articolo venne pubblicato il 1° dicembre del 1995 con il titolo “Oscar pensaci tu” (in riferimento a Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca presidente della Repubblica, che aveva la propria segreteria particolare al quarto piano di palazzo Sant’Apollinare, proprio accanto alla segreteria di suor Dolores) e riportava, per la prima volta, non solo le testimonianze del marito e moglie, ma soprattutto anche quelle di monsignor Valentino Miserachs Grau, mai sentito dagli inquirenti e mai intervistato prima di allora. Franco e Giuliana De Lellis furono molto precisi nel loro racconto, che combaciava con le loro deposizioni alla Squadra Mobile e alla DIGOS di 12 anni prima:
«Quel mercoledì non potremo dimenticarlo – dichiarava la signora Giuliana, segretaria della scuola di musica, nell’intervista per L’ITALIA settimanale – anche perché celebravamo le nozze d’argento. Per l’occasione, monsignor Valentino Miserachs terminò la lezione di canto corale con un quarto d’ora di anticipo per dare modo ai ragazzi di uscire e prepararsi alla cerimonia religiosa che si sarebbe tenuta dai Padri Arabi al secondo piano».
Ma nella testimonianza di Franco De Lellis, in particolare, il factotum della scuola di musica di suor Dolores, resa prima di tutto alla DIGOS di Roma il 30 luglio 1983, emerse il nome di un regista cinematografico di 51 anni loro amico che non solo era proprietario di due BMW, una di colore verde e una grigia metallizzata, ma che frequentava e aveva avuto una liaison con la loro figlia primogenita la quale, fra le altre cose, spesso faceva la comparsa in film anche hard. Il regista amico di famiglia a volte andava di nascosto a palazzo Sant’Apollinare per incontrare l’avvenente e tormentata figlia ventitreenne dei De Lellis. La ragazza, che frequentava le lezioni di canto corale del maestro Miserachs insieme a Emanuela Orlandi, spesso dormiva di nascosto all’interno di Sant’Apollinare, ospite di una delle portiere del palazzo.
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Le casistiche dicono che nella maggior parte dei casi di violenza sulle ragazze, il colpevole è quasi sempre un conoscente della vittima. Forse sarebbe il caso di epurare la vicenda Orlandi di particolari superflui e concentrarsi sulla sua famiglia e sulle sue amicizie. E’ la logica dl Rasoio di Occam: cerca la soluzione più semplice.