«Non importa se le storie che vi stiamo per raccontare siano vere o inventate. Potete considerarle inventate perché le vedrete svolgersi su uno schermo. Potete considerarle vere perché succedono tutti i giorni, perché tutti i giorni riempiono le cronache dei giornali. Queste storie sono le imprese di quella che fu detta “La generazione bruciata.” […] Quando aprirono gli occhi, videro del mondo soprattutto uno spettacolo: la mobilitazione generale della violenza. È così vistoso, così imponente, così invadente era questo spettacolo che pareva velare ogni altro.
Quella violenza pareva trionfante, sicura di sé. Aveva andature allegre e perfino sportive. Arrivava a simulare una sorta di giovanile innocenza. La sua legge era il disprezzo di ogni legge. La sua caratteristica sociale era il disprezzo di ogni società nel trionfo dell’individuo audace, cinico, privo di rimorsi […]
Si capì presto, quando la generazione bruciata si affacciò alle cronache con una serie impressionante di delitti che si trattava di un nuovo tipo di delinquenza, ben diversa da quella che sorge sulla miseria e sulle disuguaglianze sociali. I nuovi eroi delle quarei pagine erano infatti giovinetti di famiglie agiate tranquille, ignare di covare in sé capacità tante mostruose.
E non il bisogno e non un complesso d’inferiorità sociale qualsiasi che sospingeva al delitto, bensì il desiderio di compiere gesti eccezionali, di emergere, di sentirsi protagonisti di gialli, di fumetti, di film di gangster giacché guerra e cronaca nera, fumetti e cinema tutto si fondeva per loro un ideale solo: la celebrazione della violenza come trionfo personale. Versare il sangue aveva per loro il solo scopo di affermare, nella luce sinistra di un gesto empio, il vittorioso punto di vista. Quando compiuto il gesto, l’eroe della quarta pagina s’avvede della sua miseria e si accorge d’essere un vinto nella più inutile delle battaglie, è troppo tardi. Ma intanto gli altri contemplano il suo gesto, ingigantito dalle colonne dei giornali che lo venerano e meditano di emularlo e lo sciagurato circo riprende»
Michelangelo Antonioni – I Vinti, 1953
Premessa
Mi scuserete se i miei scritti sulla questione Emanuela Orlandi, e tutti gli altri, sono sempre lunghi e con corpose digressioni storiche. Tuttavia le ritengo indispensabili per comprendere ciò che, altrimenti, apparirebbe davvero una boutade; la divisione in paragrafi titolati può esservi utile per saltare quelle parti che non sono di vostro interesse.
Come tutti, anche io ho sviluppato una mia personale opinione sulle vicende e, in ogni articolo, anche quando il richiamo è sembrato a immediato, ho provato a presentare e argomentare la mia posizione. Come sostenuto dal primo giorno, sono dell’idea che le storie e i destini di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori non siano gli stessi. Quello che le accomuna, come accomuna Ketty, Josè, Rosa e tutti coloro che scompaiono o perdono la vita in questi anni, sono il tempo e il luogo.
Il tempo sono gli anni ottanta, i primi anni ’80, quello strascico informe e sconnesso di ciò che furono i contraddittori attriti e i conflitti del decennio precedente. Il luogo è il loro nido, la loro zona comfort, la loro normalità e quotidianità. Sarà proprio la loro casa a tradirle impietosamente ed è a casa loro che vanno ritrovate: il Vaticano per Emanuela, Roma per Mirella.
La crisi dei valori in un secolo brevissimo
Il Novecento, per il modo in cui è stato percepito da chi l’ha vissuto, è noto anche come “il Secolo breve“. La mole di eventi di forte impatto e il repentino cambiamento societario, in talune situazioni vera e propria rivoluzione, hanno accelerato il mutamento di comportamenti, idee e relazioni. Questi mutamenti non sempre hanno avuto un effetto positivo sulla società che, spesso, li ha più subiti che assorbiti.
Il Novecento, già di per sé, si inaugura con una forte destabilizzazione rispetto a tutte le convinzioni che si erano andate consolidando durante la Belle Epoque. Non a caso al positivismo si affianca realismo e succede il decadentismo. Le certezze crollano sotto i colpi dell’ignoto: i progressi avuti nel campo medico e chirurgico sono messi in discussione da quella parte del corpo umano che le dottrine mediche tradizionali non possono spiegare; è la malattia della mente e dell’anima che Freud sbatte crudelmente in faccia ad una società che si credeva al massimo della consapevolezza. A rincarare la dose ci pensano anche Einstein, con la sua teoria che sposta sul piano del relativo una scienza certa come quella fisica e matematica e il filosofo Bergson che, con il suo slancio vitale e la sua teoria del tempo, è uno dei massimi esponenti dello spiritualismo.
A questo subbuglio interiore, soprattutto nel nostro Paese, va sommandosi un disagio materiale, frutto del ritardo nel processo di rivoluzione industriale. Schiacciate da difficoltà e povertà, le genti delle campagne si ribellano a politiche incapaci di sostegno e prospettiva; non va meglio nelle città dove aumentano gli operai ma non salari ed assistenza. Il sistema di fabbrica non produce solo disagio economico ma anche psicologico di genti in catene di montaggio, alienate in un unico movimento, preposte a perdere la perizia di un mestiere artigiano e sottoposti non più alla stagionalità della natura ma alla dittatura dell’orologio.
Quando dal Polesine le prime rivolte si estendono all’intero stivale, non resta che soffocarle nel sangue e, se di sangue non se ne fosse versato a sufficienza, c’è una nuova allettante possibilità: la prova in Crimea, utile per gli equilibri e le alleanze politiche e poi il Primo conflitto mondiale. Quanti giovani partono eccitati e galvanizzati, ognun sicuro dell’eccezionale potenziale bellico; ma poi muoiono, cadono come d’autunno sugli alberi le foglie, nell’immobilismo di una logorante guerra in trincea.
Una guerra che ci vedrà vittoriosi solo sulla carta; Sidney Sonnino abbandona il tavolo delle trattative: è la vittoria mutilata, come la sua migliore gioventù che non è nemmeno acclamata da quella parte della politica italiana, i socialisti, che si erano da subito opposti all’intervento. Dopo l’inganno è la beffa che tramuta in rabbia la frustrazione e in forza bruta la debolezza.
Parte un carosello di arditi, futuristi, squadristi che, dopo il gennaio del 1925 non avranno più da nascondere facce ed obiettivi. E’ il regime. Il fascismo in vent’anni rivoluziona il concetto stesso di uomo e di italiano alternando ad una prima fase di gagliardia, animato dall’invocazione di scienza e potenza, una di forte regimentazione che, sotto le ali della Grande Trasvolata Atlantica di Italo Balbo, penetra le sue radici nel mito dell’ordine, della disciplina e della Roma imperiale.
Dietro alle sue maschere, però, il fascismo si rivela per quello che è; come un fenomeno caratterizzato e caratterizzante la sua stessa nazione, perché questo totalitarismo è in Italia che nasce e in Italia che si afferma. Ben lontano dai fascismi rossi e neri, dominanti in altri stati europei, Mussolini e il suo regime, dietro l’opulenza altro non sono che la perfetta rappresentanza di quell’italiano mediocre e corrotto, che da sempre va per la maggiore. Tanti gli ideali sbandierati, uno l’obiettivo finale: la convenienza e i soldi.
Homo Homini Lupus
Non fu tanto la disfatta militare, né il tradimento o l’incompetenza del maresciallo Badoglio che condannò a morte e ai lager tutti i nostri soldati operanti oltre i confini nazionali, il motore propulsore di quella rabbia che caratterizza l’Italia fino all’inizio degli anni 80, ma il generale senso di disorientamento che emerse in chi sotto quel regime aveva trascorso se non tutta, almeno gran parte della propria esistenza.
Nell’immediato dopoguerra la popolazione che, in ampia misura era stata fascista sì, ma per mera utilità e quieto vivere, si riscoprì repubblicana, liberale, democristiana, socialista ma anche, e in misura non secondaria, comunista; e ciò denota anche la propensione per molti, di vivere in situazione di illibertà. La maggioranza dei cittadini di destra, accettò il compromesso con un regime democratico e andò ad ingrossare le fila della Democrazia Cristiana.
Un numero minore di nostalgici accettò il medesimo compromesso, ma rivendicando un’appartenenza forte alla filosofia politica del regime mussoliniano; nacquero così i partiti della destra parlamentare guidati da Giorgio Almirante e Pino Rauti. Erano ormai persone adulte, padri di famiglia che, nonostante alcuni di loro bramassero la sovversione del nuovo sistema, solo in rarissimi casi militarono apertamente nei sempre più numerosi nascenti gruppi della destra eversiva.
Ad ingrossare le fila di queste vere e proprie bande criminali vi erano i figli di questi nostalgici, allevati in ambienti carichi di risentimento e voglia di rivalsa, preparati fin dalla tenera età alla lotta allo scontro frontale, al disprezzo dello stato democratico e della sua organizzazione. Il sogno è il golpe. I figli di queste realtà hanno una formazione paramilitare: vengono iscritti a “campeggi“, questo è quello che emerge ufficialmente, ufficiosamente si prepara il soldato.
Gioca a favore di questi ambienti deviati, la politica internazionale e l’opposizione dura a tutto ciò potrebbe avvicinare la nazione cuore del Mediterraneo al blocco comunista capeggiato dall‘Urss e affiancato da tutte le potenze aderenti al Patto di Varsavia. I governi democristiani sostenuti dagli Stati Uniti, molto attenti alla questione dell’Italia, dal momento che può vantare il Partito comunista più grande e numeroso d’Europa, sono affiancati in quest’opera di monitoraggio, da esercito, forze dell’ordine e servizi segreti
Questa situazione ha come risultato un’eccessiva impunità per questi giovani cadetti che vengono armati e fin da giovanissimi e coinvolti in crimini ed episodi di violenza. Si determina così la convinzione dell’intoccabilità e dell‘invincibilità: sono in missione per riscattare i padri e la dignità della nazione.
Il branco di assassini: arrivano i drughi
Non è difficile immaginare quanto breve è il passo per chi gode di uno status privilegiato, verso la degenerazione totale. Una degenerazione che si fa più violenta e brutale se supportata dal “branco“, dove i membri si spronano e fanno forza l’un con l’altro nascondendosi spesso dietro a ritualità e motivazioni “superiori” che nel branco hanno stabilito e dal branco muovono.

E’ in questo ambiente che maturano violentissimi crimini di cui il Massacro del Circeo ne è divenuto tragico simbolo. Siamo a Roma, è il settembre del 1975; riporto il la narrazione dell’episodio come nel ricordo di Edoardo Albinati con una precisazione sui tempi: probabilmente Donatella Colasanti fu conosciuta qualche tempo prima dal momento che, un mio contatto dalla ferrea memoria, ricorda bene di aver visto almeno un paio di volte la ragazza, insieme al noto gruppetto pariolino, in un bar che erano soliti frequentare loro e molti dell’eversione nera. Il locale si trovava in zona Eur e, al piano inferiore la sala era adibita al gioco clandestino. Il bar era frequentato anche da personaggi famosi, appartenenti al mondo del cinema e dello spettacolo.
Anche la nostra conoscenza Marco Accetti, che in zona Eur si muoveva agilmente data la presenza di due attività di famiglia e gli immobili di via Curzio Malaparte e viale Beethoven, frequentava quel punto di ritrovo, anche se meno assiduamente degli altri. Con i ragazzi dei Parioli, MFA, aveva un rapporto di cordiale ma saltuaria frequentazione; se non amici, almeno buoni conoscenti. Tra questi ragazzi cito a titolo esemplificativo, i noti Gianni Guido, Giampiero Parboni Arcuati, Andrea Ghira, –lo “splendidone” del gruppo, il dispensatore di cocaina, ostentatore di ricchezza e prestigio – e anche quell’Angelo Izzo che pochi mesi fa, in una discussione in un gruppo Facebook seguita a un mio articolo, Accetti aveva fermamente sostenuto di non conoscere e di non avervi mai avuto a che fare.
Ha affermato di conoscere solo Andrea Ghira, ma a livello di saluto. Ha mentito; sia con Izzo, sia con Ghira, ha condiviso, in istituti diversi, un anno scolastico. Per quale motivo? Marco Accetti ha generalmente molta voglia di chiacchierare ma, gira e rigira, si tratta sempre delle stesse cose. Penso che l’opinione pubblica sarebbe interessata ai racconti degli anni ’70 e di quella particolare generazione di figli di grandi impresari edili, costruttori di palazzine come suo padre e quello di Scimone, o di utili blocchi di cemento, come nel caso di Ghira senior.
Quello vissuto dalla loro generazione, con le loro caratteristiche: l‘eversione nera, la lotta per le strade, le armi facili, l’impunità, gli stupri di gruppo e una ricchezza che pochi di noi possono solo percepire ma che, se la Colasanti non fosse sopravvissuta, avrebbe accomodato le cose anche quella volta. Mi capita spesso di pensare a quanti massacri del Circeo ci siano stati, quanti sono stati taciuti da forze dell’ordine corrotte e conniventi che niente hanno a che fare con i ragazzi della scorta di Falcone e Borsellino.
Le grandi contraddizioni di un piccolo Paese, che ammazza di botte Stefano Cucchi, ma che seppellisce De Pedis con i papi e copre le malefatte dei nostri immobiliaristi come nello scandalo che segnò lo Stivale negli anni ‘dal 73 al 79, quando, invece di mattoni trasportavano petrolio; che beffeggia i due più grandi magistrati che abbia a conosciuto quando erano in vita li glorifica una volta morti.
Torniamo a quei drammatici due giorni:
Giovedì 25 settembre, quando due ragazze ottengono un passaggio davanti al cinema Empire (viale Regina Margherita, confine meridionale del QT) da un giovane che dice loro di chiamarsi Carlo [Giampietro Parboni Arquati N.d.A], anche se non è vero, poiché il suo vero nome è Gian Pietro. Gentile, premuroso, le accompagna alla stazione Termini, da dove potranno prendere la metropolitana per l’EUR.
Delle due ragazze, soltanto una, quella dai capelli ricci, D.C., finirà mezza morta dentro il bagagliaio della 127; e il sedicente Carlo (cioè lo stesso studente che aveva spaccato gli occhiali al mio compagno di classe Marco Lodoli), dopo essere stato arrestato a ridosso del delitto, ne verrà riconosciuto estraneo. Insomma, delle tre persone che avviano la vicenda, una soltanto finirà nella villa delle sevizie resa famosa dalle cronache.
Due giorni dopo, sabato 27 settembre, il ragazzo che ha finto di chiamarsi Carlo telefona a D.C. e le propone un appuntamento in un luogo così tipico e caratteristico di quegli anni da essere stato immortalato in film e sceneggiati tv, mentre non giurerei che oggi sia così popolare e frequentato.
Si trova sul contrafforte estremo dell’EUR, ai confini anzi per molti sensi già al di fuori dalla città, dove si respira la vicinanza del mare e la luce è diversa, pulita, ventosa; viene chiamato “il Fungo” perché è una torre che in cima si allarga in un grande anello simile appunto al cappello di un fungo, in cui è alloggiato un ristorante panoramico.
Una precursione ridotta ma comunque spettacolare e per quei tempi sensazionale, del famoso Landmark di Las Vegas […] Luogo storico di ritrovo di fascisti veri e fascistelli di mezza tacca o definibili tali solo per linguaggio e atteggiamento, oppure di chi vi faceva tappa per incontrarsi con amici e poi procedere verso Ostia a farsi il bagno.
All’appuntamento, D.C. andò accompagnata non dalla sua amica di due giorni prima, Nadia, che aveva da fare (era al Lunapark con due amiche), ma da un’altra ragazza, diciamo così, una sostituta, la sfortunata R.L., che finirà cadavere sull’asfalto di viale Pola; mentre “Carlo” (ricordo di nuovo, se ce ne fosse bisogno, che non sono io qui a cambiargli nome, prudentemente, ma è lui che fin dall’inizio ha declinato false generalità, e non gli sarà facile spiegare alla polizia il perché di questo suo travisamento:
«Lo feci così, senza una ragione precisa…») si presentò insieme a un ragazzo che chiamerò Subdued e ad Angelo, che si era aggregato, pare, per caso, incontrando il sedicente Carlo a piazzale delle Muse. Una mezz’ora di chiacchiere al Fungo e un nuovo appuntamento per il lunedì seguente, davanti al cinema Ambassade, sempre dalle parti dell’EUR, dove, essendo oramai diventati tre i ragazzi, per fare numero pari, ci si ripromette di ripescare Nadia, l’amica del cinema Empire.
Il lunedì però “Carlo” ha da studiare, con un suo compagno di università, quindi deve recarsi a lezione di Analisi, e mancherà all’appuntamento dove invece andranno Angelo e Subdued, scoprendo che anche le ragazze sono soltanto due, le stesse dell’aperitivo al Fungo, dato che Nadia nemmeno stavolta può, è indisposta.
Nadia quindi scampa due volte a un amaro destino, prima andandosene a strillare sulle montagne russe del Lunapark dell’EUR con le sue amiche, poi a causa di un mal di pancia. “Carlo” resta ai margini della vicenda malgrado continui a sfiorarla, a incrociarla, dato che quella stessa sera di lunedì 29 settembre,[…] mentre le due ragazze sono già prigioniere nella villa del Circeo (ma questo “Carlo” non lo sa…), raggiunge uno degli assassini, Subdued, tornato a Roma, sotto casa sua, e insieme si recano dal terzo, il Legionario, che però non è ancora entrato in prima persona nella dinamica del crimine, il quale dice di essere stanco e di non avere voglia di uscire.
Il giorno seguente, solita trafila per “Carlo”, cioè studio-lezione-studio (con alibi non proprio di ferro, comunque convincente), ma, arrivata sera, chi è che va a incontrare, davanti al bar Rocci tra la Nomentana e via di Santa Costanza, all’incirca a mezzanotte? Angelo. Sì, lui. Appiedato. Lo carica su e insieme girovagano per un paio d’ore, senza che il suo amico e compagno di classe accenni al fatto di essere appena ritornato dal Circeo con due ragazze nel portabagagli, avvolte nel cellophane.
Prima, affamati, vanno al bar della stazione di piazza Euclide, a mangiare tramezzini, poi a buttare un occhio sulle prostitute di via Veneto, quindi in viale Pola dove Angelo vorrebbe citofonare all’amico sotto casa del quale hanno parcheggiato la 127 qualche ora prima, ma “Carlo” lo convince a desistere. E così colui che ha dato il primo colpo di manovella per avviare il motore del sequestro e dell’omicidio, e nelle sue varie fasi è riuscito a incontrare di persona tutti e tre i sequestratori assassini, ne esce pulito.
Albinati, Edoardo. La scuola cattolica (pp.575-578).
Julius Evola, riti esoterici e cinema
Ho una formazione storica con un indirizzo nel Pensiero politico contemporaneo, sono una socialista e lo studio del socialismo ha caratterizzato buon parte della mia formazione. Per la laurea triennale feci una scelta decisamente particolare e atipica, decidendo di occuparmi della complessa filosofia di Julius Evola.
Ho passato gli ultimi vent’anni interrogando me stessa sull’utilità di quella scelta. Poi ho iniziato ad interessarmi a questi casi e, nella mia testa, il sentore di quello spirito mistico-fascista, che emerge spesso e in diversi contesti, ha attirato da subito la mia attenzione. I casi della vita.
Giulio Cesare Evola, per sua volontà Julis Evola, è stato un istrionico filosofo, con mire pittoriche dadaiste. Nel secondo dopoguerra si dedicò soprattutto all’indottrinamento di nuove leve, che frequentavano assiduamente il suo salotto. fino all’anno della sua morte, nel 1976; successivamente la formazione venne impartita da ex discepoli, non sempre così buoni interpreti delle complesse teorie evoliane, ma da cui avevano ben assorbito il principio della violenza e l’idolatria della morte.
Dottrina
Nell’aprile 1951 Julius Evola fu arrestato nella propria abitazione con l’accusa di essere l’ispiratore dei gruppi clandestini dei FAR (Fasci d’Azione Rivoluzionaria). Dopo alcuni mesi di detenzione, il filosofo venne liberato e, assolto con formula piena. Il processo per istigazione alla violenza e alla sovversione contro lo stato democratico si concluse con una condanna, evitata grazie all’amnistia del 1953.
Un’accusa, quella di istigazione, che avrebbero dovuto allargare a molti altri adulti che erano soliti armare pesantemente e commissionare sequestri e rapine per averne il ricavato senza rischiare la galera. Non tutte ma molte delle famiglie di questi ragazzi avevano assunto ruoli importanti sotto il regime – si pensi agli Accetti e agli Scimone che, dalla Libia, durante gli anni del conflitto si occupavano dei mercantili e del trasporto di materiali; a questo regime era grati ed affezionati. Un’affezione che è stata trasmessa sovente anche con l’introduzione della progenie in Logge massoniche segrete, alcune delle quali si scopriranno legate alla nota Loggia Propaganda 2.
Il pensiero di Evola e l’affiliazione alla loggia dei Rosacroce, di sua fondazione, era impregnate di esoterismo e magia (caratteristica che lo avvicina al nazismo); due componenti da sempre centrali nella sua dottrina politica e della razza che ha una dimensione non biologica ma spirituale. La vicinanza al paganesimo religioso è caratteristica fondamentale per perseguire la fondazione di una società superiore nello spirito: la società della tradizione. Una realtà oligarchica e aristocratica che condanna il pensiero borghese e democratico e che indica nel pensiero settecentesco il male che conduce e anima le due rivoluzioni, americana e francese. Parimenti, con il loro spirito di uguaglianza e tolleranza, le dottrine cristiano-cattoliche, sono co-responsabili della degenerazione della società.
Una condizione quella dei neofascisti che nasce da profonda frustrazione individuale e sociale, accompagnata dal sentimento di umiliazione. La brutalità dei neofascisti nel corso degli anni ’70 lascia emergere quanto questo revisionismo, abbia penetrato le nuove leve. Innalzato oltremodo, rispetto al fascismo delle origini, è il ruolo del nemico, unico in grado di conferire identità nazionale; a ciò si devono sommare cinque fondamentali caratteristiche:
- Ossessione del complotto, soprattutto di matrice internazionale. Caratteristica, nei casi presi in esame, che può essere stata sfruttata per la messa a punto dei noti depistaggi.
- Lotta scopo unico della vita, l’uomo deve essere formato per divenire eroe (vedi la formazione paramilitare impartita fin da piccoli), ma l’eroe non deve essere l’eccezione ma la normalità. Da qui nasce il culto della morte, vista come ricompensa all’eroicità. Peccato che più che riceverla, questa generazione la diffonde.
- Entità monolitica che elimina la pericolosa figura dell’uomo borghese, rappresentante dell’egoismo individualista, a favore di un’entità monolitica, utilissima al populismo
- Maschilismo come volontà di potenza su questioni sessuali, implica il totale disdegno per l’essere femminile che manifesta in ogni sua azione “l’invidia penis“
Evola esoterico
Il “fascismo” di Julius Evola muove anch’esso, come quello mussoliniano, da un rifiuto del modernismo e dal culto della tradizione; è il concetto di tradizione che differisce. Evola mira alla società aulica della Roma antica e patrizia. Evola si spinge anche oltre, studia e penetra le dottrine orientali le cui lingue ancestrali sono base della tradizione ma potenziali di una nuova e vigorosa cultura che, per sua natura deve essere sincretista.
Il sincretismo non deve però essere inteso come la mera combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili è solo perché si allude, allegoricamente, a qualche verità primitiva. In parole povere, Evola mischia il Sacro Graal con i Protocolli dei Savi di Sion, ma anche con i rituali druidi e pratiche del tantrismo.
Ne scaturisce un pensiero e una pratica estremamente complessa da comprendere, anche per studiosi del pensiero. Possiamo immaginare quale possa essere stato il risultato di tale dottrina in menti esaltate e deviate quali quelle dei giovani dell’area eversiva della Roma bene.
Cinema, esoterismo e 007
Lo nota Michelangelo Antonioni, e lo riferisce nell’incipit del suo film I Vinti, l’abbiamo riportato io e il collega Pierdomenico Corte Ruggiero (vedi ad esempio Ahmed Ali Giama, Emanuela Orlandi e “Arancia Meccanica”), quella della Settima Arte, nel nostro paese, fu quasi una psicosi, soprattutto a Roma, la città del cinema con gli studios e Cinecittà.
Il cinema italiano di iniziosecolo, la cui anima era la città di Napoli, dimostra immediatamente il suo potenziale, si producono opere come Assunta Spina, Ultimi giorni di Pompei, Sole, Quo vadis? fino al capolavoro di Giovanni Pastrone, Cabiria del 1914
. L’avvento del regime segna una brusca frenata in termini artistici: inserita nel Minculpop, l’arte cinematografica è trai settori più attenzionati dal regime che, attraverso il cinematografo prosegue la sua opera di edificazione del totalitarismo.
Il Neorealismo che si impone nell’immediato dopoguerra regala agli italiani registi, attori e film di ineguagliabile bellezza : Roma città aperta di Rossellini, Ladri di Biciclette di De Sica, Senso di Luchino Visconti e molti altri. I dolori, le ferite e la povertà scaturita dal conflitto vanno via via affievolendosi e gli italiani non vogliono più un cinema verità, cercano svago. Spopola la commedia all’italiana e i film di produzione statunitense iniziano ad invadere i cinema della penisola. Il lieto fine è l’imperativo e la popolazione si ispira nei modi e nel vestiario, ai propri idoli: pin-up alla Marylin Monroe o ragazze della porta accanto come Doris Day e Sandra Dee; cappello “sulle ventitre” e trench alla Humphrey Bogart o jeans e fazzoletto al collo come John Wayne.
A fare letteralmente impazzire signore e signori arriverà, nei primi anni 60, un giovane Sean Connery ad interpretare la barba finta più famosa del mondo James Bond, l’agente 007. Tutti vogliono essere lui.
Il desiderio di emulazione delle star prosegue; è una tendenza che permane tutt’oggi. Fu però la fortunata generazione nata durante il boom economico che, nella sua fascia più agiata, ignara delle sofferenze della guerra, e con il mondo ai suoi piedi, non si limitò ad imitare i grandi del cinema nello stile. Volevano essere quei personaggi; dovevano essere come loro, più di loro.
Sono gli anni di Piombo, la destra he posto le basi della strategia della tensione e i figli dei vinti, hanno finalmente l’occasione di combattere la loro guerra per il riscatto dei padri. Come se l’ondata di violenza non bastasse, a metterci lo zampino è ancora una volta Hollywood.
Stanchi di veder dipingere un mondo di ipocriti lieti fine, e carichi di risentimento per una guerra, quella in Vietnam, che insieme alla sconfitta ha portato con sé traumi gravissimi, la nuova generazione di registi, i “cattivi ragazzi“, Scorsese, Spielberg, Lucas, Coppola, De Palma, lancia nelle sale un nuovo tipo di cinema dove follia e violenza assumono un ruolo centrale con pellicole come Apocalypse Now, Taxi driver, Mean Street, Blow Out, Scarface, il Padrino etc. Ai Tony Montana e ai Michael Corleone si aggiungono i film di Kubrick il cui simbolo diviene Arancia Meccanica: i giovani del Circeo e la loro banda di amici arrivando alla villa, dopo un pezzo di Wagner, punteranno su un disco di Beethoven, forse sarebbe meglio dire “Ludovico Van”; tra di loro si chiamano “drughi” e il “dolce su e giù“, attività preminente, lo chiamano “sfascio“.
Il branco assassino seriale
Il 1983 fu un anno caratterizzato, da un alto numero di sparizioni ed omicidi. Omicidi brutali che presentano alcuni tratti comuni, tali tratti avevano indotto gli inquirenti dell’epoca a mettersi sulle tracce di un assassino seriale. Perseguendo una serie di valutazioni sbagliate, la persona che fu individuata, in fine si dimostrò estranea alla maggioranza dei casi.

Nonostante fosse trapassato da decenni, le teorie di Lombroso sembrano difficili da estirpare. Quando si cerca la serialità, gli stessi inquirenti muovono le indagini alla ricerca del malato di mente, nonostante la letteratura abbia ormai dimostrato che la maggioranza degli assassini seriali, soprattutto coloro che non vengono individuati o lo sono dopo molto tempo, presentano un quoziente intellettivo superiore alla media. Li chiamiamo mostri per rifiutarne una vicinanza al genere umano ma, sovente, sono medici, ingegneri, avvocati e, in numero importante, membri dell’esercito e delle forze dell’ordine.
Non mi cimenterò in un’analisi psicologica degli assassini seriali, non avendone né competenza né adeguata conoscenza. Per scansare qualsiasi possibile equivoco, voglio precisare che i soggetti che sto citando, a tutti noti, sono presi come esempio di quella realtà socio-culturale da cui ritengo provengano le persone che in quegli anni hanno stuprato, sequestrato e assassinato tutta una serie di individui con determinate caratteristiche, con una predilezione per i soggetti di sesso femminile. Anche il termine con cui li indico, “pariolini”, non vuole intendere che queste persone siano necessariamente residenti o state residente nel quartiere Parioli ma suggerire una “tipologia” di individuo cresciuto nella ricchezza, con alle spalle una solida famiglia benestante che tende a viziare e a non far mancare nulla, a cui va aggiunta una forte carica di rabbia e sentimento di rivalsa verso “gli inferiori”, di matrice fascista-evoliana.
Dando uno sguardo alle statistiche sui crimini seriali, si evince che circa 1/3 degli stessi sono perpetrati da due o più persone. Studiando un po’ la letteratura basilare dell’omicidio seriale, i crimini seriali commessi in gruppo hanno diverse peculiarità. Provo a riportare quelle attribuibili a quello che, per comodità, chiamerò “eversivi pariolini“. Essendo una teoria non ho la possibilità di attribuire a nessuna delle indicazioni che vado proponendo, carattere di certezza.
Gli omicidi seriali di gruppo rappresentano forse una delle casistiche che più inquietano perché lasciano emergere la necessità quasi patologica di doversi affidare completamente a fedi, ideologie e verità assolute con dedizione a credi religiosi, culture esoteriche o movimenti politici.
- Numero di componenti: secondo l’idea che mi sono fatta, questo gruppo è composto da un numero superiore ai cinque individui che però non operano sempre e obbligatoriamente in maniera corale. Anzi, la maggioranza delle volte uccidono in piccoli gruppi e qualche volta, a seconda della situazione favorevole, anche singolarmente.
- Tipologia: forse qualche esperto dissentirà me ritengo il gruppo criminale formatosi in quegli anni in zona Parioli, un’anomalia non incanalabile in una sola delle tipologie classiche indicate dagli esperti, dal momento che presentano caratteristiche trasversali a quasi tutte le tipologie di gruppo seriale, Infatti:
- Gruppo criminale – da questa categoria prendono la caratteristica si uccidere solo per il gusto di farlo.
- Gruppo razzista – da questa categoria acquisiscono l’organizzazione su base paramilitare e dalla presenza di un condiviso odio per particolari gruppi etnici e, in questo caso non solo etnici. Basandosi sui precetti evoliani, le società dovrebbero essere ripulite da: ebrei, neri, zingari, meticci, comunisti, socialisti, e tutti promotori di collettivizzazione, borghesi, cristiani, vanitosi e, soprattutto dalle donne.
- Setta religiosa – ad accomunare il gruppo eversivo pariolino alla setta religiosa vi è il sospetto che, almeno a scatenarli inizialmente, sia stata l’azione propagandistica instillata da uno o più adulti che dai loro crimini traevano vantaggi economici.
Anche la motivazione dei loro crimini non si può incanalare in un’unica tipologia; prendendo ancora Angelo Izzo a ad esempio, lui ha ucciso per motivi politici, per necessità, per mero piacere di uccidere, per motivi sessuali, per ripulire la società etc. Il gruppo degli eversivi pariolini deve essere catalogato come gruppo assassino che opera con movente misto anche se quello sessuale è tendenzialmente predominante.
Le vittime
Essendo molteplici le motivazioni, molteplici sono le tipologie di vittima. La più gettonata è sicuramente quella di sesso femminile. La vittima donna, ancor più se rappresenta oltre al suo genere anche una delle altre particolarità perseguite dalla banda, è probabilmente sottoposta a qualche astruso rituale esoterico in cui probabilmente non credono nemmeno, ma che conferisce spettacolarità al crimine. Spesso, come ha raccontato lo stesso Izzo, in questi rituali venivano coinvolti alte cariche sia dello stato italiano, sia dello stato vaticano; puntualmente filmate per poi essere ricattabili. Questo genere di ricatti danno frutti succosi quando si tratta di ricevere un trattamento di favore in tribunale e situazioni simili legate alla sfera della giustizia.
A tal proposito, pur rispettandone la sentenza, non posso non ripensare all’omicidio Garramon e a tutta una serie di anomalie che si verificarono in sede processuale. Accetti che con questo gruppo sappiamo avesse contatti, ha forse partecipato a qualche misfatto o ha avuto un ruolo, seppur marginale, in queste faccende?
Partendo dalla convinzione che in maggioranza i membri di questa gang praticassero violenza fine a se stessa, Hanno motivato a loro stessi, come una forma di autoconvincimento, la necessità di eseguire questi crimini per il riscatto dei padri, erigendosi a difensori di una patria che necessita purificazione. I nemici sono: gli ebrei (Bruno Romano ha un cognome ebraico ed è rom); i neri (Rosa Silla è nata in Etiopia da una famiglia composta da genitori di differente etnia; i borghesi (Mirella Gregori), i meticciato (Josè Garramon), i collettivisti (Alessia Rosati), i cristiano cattolici (Emanuela Orlandi), le femministe (Katty Skerl).
Come già ribadito non immagino collegamento tra questi casi, sicuramente non vi rientra Emanuela Orlandi che ho inserito, così come gli altri, a titolo esemplificativo. Probabili vittime di questo branco, che si presentava in maniera ineccepibile, di buona famiglia e studiosi, sarebbero Mirella Gregori e Rosa Silla le quali per modalità, caratteristiche fisiche e societarie, presentano due sparizioni aderenti e speculari
L’anomalia del Circeo
Nonostante siano trascorsi quasi 50 anni dai tragici fatti del Circeo, la violenza di Izzo, Ghira e Guido, fa ancora parlare molto di sé. Il caso in questi 48 anni è stato attentamente analizzato da giornalisti ed esperti. Il dato che, però, a me incuriosisce maggiormente e che, nei fatti non presenta alcuna motivazione sensata, riguarda il luogo del ritrovamento. Via pola, a Roma. Perché i corpi in macchina?
Sappiamo per certo che i giovani erano convinti che le ragazze fossero entrambe decedute. Da San Felice Circeo a Roma Parioli sono all’incirca 91 km. Vogliamo davvero immaginare che lungo questo percorso, adornato da una caratteristica e fittissima macchia mediterranea, dove nessuno andrebbe ad avventurarsi, non fosse possibile scaricare i cadaveri?
Quale motivo li spinge, con il rischio concreto di essere fermati, arrestati e sbattuti in prigione senza passare dal via, a tenere due (uno) cadaveri nel bagagliaio della 127? Scartando l’ipotesi che fossero davvero poco intelligenti, probabile, è che questi corpi venissero “tenuti“, conservati per qualche motivo in un luogo sicuro. I motivi che una, anzi plurime menti deviate possono avere per tenere un cadavere sono molteplici: dalla collezione al rito esoterico, fino alla necrofilia.
Va da sé che non si può tenere un corpo nel salotto di casa, ma nemmeno nel garage. I cadaveri devono essere stipati in un luogo sicuro. Un luogo non frequentato dalle persone comuni, difficile da raggiungere. Un luogo dove gli odori della putrefazione non attirino l’attenzione e dove le future ossa non risultino fuori luogo.
Non credo possa esistere luogo più adatto e meno praticato, delle catacombe ebraiche di Villa Torlonia, che non sono nemmeno contemplate da google maps e vengono citate solo nel sito web di Roma sotterranea.
Cerchiamo Mirella

Negli anni sono state battute le piste più improbabile e assurde. Forse lo sarà anche questa. Nessuna certezza, ma almeno qualche indizio ci può avvicinare a Villa Torlonia. Io lancio il mio invito, forse senza successo, ma un tentativo lo azzarderei, magari con il supporto di un antropologo, per individuare eventuali resti più recenti. Mirella potrebbe essere esattamente dove diceva sua Madre quando la definiva “Inghiottita dalla terra“, Ecco, lì sotto dove vive e agisce un’altra Roma. Sotto Villa Torlonia ci sono le catacombe ebraiche, cristiane, bunker e una serie infinita di cunicoli, di “fessure”, termine che non mi suona nuovo.
Villa Torlonia
Le catacombe di Villa Torlonia sono state accessibili a tutti fino al 1984, anno in cui fu fatto l’accordo tra Chiesa cattolica e comunità ebraica che ne assunse la titolarità. Vennero dunque chiuse all’accesso libero e diverse tombe, contenenti ossa, furono tumulate.
Ritengo improbabile che, qualora i resti di Mirella e di altre scomparse si trovassero laggiù, rientrino tra quelle sigillate. Il breve tempo intercorso suggerisce piuttosto che il corpo sia stato successivamente spostato, rimanendo comunque tra i cunicoli di Roma sotterranea. I primi a scoprire le catacombe come possibile luogo di occultamento cadaveri furono i membri della Banda della Magliana, successivamente anche le mafie e queste bande esoteriche.
Poco prima della chiusura determinata dalla transizione alla Comunità ebraica, un affresco è stato sfregiato. I giornali ritennero che l’atto fosse stato un dispetto dei tombaroli. Detto affresco è l’unico tra molti ad essere profanato; rappresentava la legge di Dio, contenuta nell‘Arca dell’alleanza. Non tutti avrebbero potuto cogliere il significato di quell’opera, ma solo chi aveva fatto studio e pratica di queste tematiche. Non ci si può mettere tutta la mano sul fuoco, ma più di metà si. L’atto indica il passaggio di un seguace dell’esoterismo di tipo evoliano.
Per anni si è ignorato il mondo che cela la Roma sotterranea. Mi chiedo, a questo punto, dopo che in più occasioni è stato fatto notare quante alte siano le mura del Cimitero del Verano, se anche lì sia presente il passaggio per quell’altro mondo, una soluzione sicuramente più immediata e utile per trafugare una bara, come quella di Katty Skerl.
Non so rispondere alla domanda su un eventuale ruolo di Marco Accetti. L’uomo potrebbe essere a conoscenza di queste realtà per passaparola, o per aver visto o personalmente partecipato a certi rituali. Era colui che si occupava delle riprese? Quelle utili per ricattare giudici e magistrati – a lui avrebbe fatto sicuramente comodo-, oppure, come un Mr. Wolf di tarantiniana memoria, è coi cadaveri che “risolve problemi”, questo potrebbe realmente spiegare la telefonata elencante le etichette degli abiti indossati quel giorno dalla ragazza.
Al tempo del Circeo fu proprio in quella zona che venne lasciata la 127. Se Donatella non fosse sopravvissuta, forse oggi i nomi di quelle due ragazze sarebbero affiancati a quelli di Mirella ed Emanuela. Nel racconto di Albinati, Izzo si incontrò con Giampietro Parboni Arquati che come lui era studente di medicina. Arquati “sembra” essere morto in Svizzera diversi anni fa. Il sembra non è una mia affermazione, ma quanto si legge sulla stampa. Generalmente, soprattutto rispetto al concetto di morte, trovo notizie certe: è morto. Come nel caso di Ghira, la notizia su Parboni Arquati alza un’aurea di mistero.
Ovviamente anche il caso dello studente di medicina è una suggestione, potremmo immaginarci addetto allo smaltimento dei corpi anche un tipo come Marco Accetti, le cui fotografie sul sito ricordano fortemente quelle catacombe.
Qualcuno che di questa storia qualcosa sa, ce lo abbiamo. E’ giunto il momento che le domande le faccia qualcun altro, e anche con una certa risolutezza. Non si ha nulla da perdere, solo un po’ di tempo, ma siamo stati in grado di aspettare anni, qualche ora non sarà poi una tragedia.
Qui alcune immagini delle Catacombe di Villa Torlonia, a seguire alcuni scatti presi dalla raccolta delle opere di MFA, sul sito http://www.operedimarcofassoniaccetti.it/it/home
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