“Vogliamo la verità” è un’affermazione ormai svuotata di qualsiasi significato, lo è ancora di più se affiancata al caso di Emanuela Orlandi e al caso di Mirella Gregori. Personalmente ritengo che prima di volere la verità, bisognerebbe volere i fatti, una volta acquisita conoscenza riguardo ai fatti, a quel punto si può stabilire la verità. L’attuale situazione, se non dovesse subire variazioni, non lascia presagire nulla di buono.
Pare davvero, e questo la dice lunga su molti altri aspetti, che solo la messa in attività di una Commissione Parlamentare d’inchiesta, possa permettere di acquisire una serie di informazioni da troppo tempo celate, con un primo e fondamentale obiettivo che altro non è che portare a conoscenza non solo delle famiglie delle persone coinvolte, ma di tutti gli italiani, dei fatti che hanno determinato la scomparsa di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi, confidando in un’attenzione che dimostri equità per ambo le ragazze.
La Commissione di Inchiesta, si è resa oggi più necessaria di quanto non lo fosse al momento della proposta di costituzione perché ancora una volta quello che pare emergere sia dall’inchiesta italiana e ancor più da quella vaticana, di trovarsi davanti alla solita kermesse che, in questa occasione ha assunto anche un ruolo di campagna pubblicitaria per il pontefice.
Lo spot di Bergoglio
Chi mi legge ben conosce la mia estraneità al mondo religioso, che non pratico e poco se non nulla conosco, pertanto ho sempre desistito dal pronunciarmi circa questioni inerenti la dottrina, piuttosto che concernenti le strutture, le ideologie e la varie correnti che, indubbiamente, caratterizzano il più antico partito politico della storia. Nel caso specifico qui trattato, ritengo che l’opinione di una persona esterna, scevra da influenze e prossimità ideologiche, possa avere una sua ragione d’essere quantomeno ascoltata prima di essere a priori scartata.
Quando, l’indomani dei funerali del teologo e Papa Emerito, cardinale Joseph Ratzinger, l’attuale Vescovo di Roma annunciava l’intenzione di avviare l’indagine per affrontare la questione di Emanuela Orlandi, per la prima volta, all’interno delle mura Leonine, ho avuto all’istante, l’impressione che si trattasse di una mossa strategico-politica, attentamente ragionata, volta a trasmettere tra le righe, un preciso messaggio.
Tale è stato dal momento che per giorni, dai giornali alle televisioni, si è sostenuto che, come da evidenza, nulla era stato fatto quel sino a quel momento, a causa di un’inibizione da parte di papa Benedetto XVI e dei suoi sostenitori.
Papa Francesco ha, in questo senso, scientemente cavalcato la tigre da lui stesso liberata, fregiando le sue belle parole con fin troppa retorica, giacchè l’apertura delle indagini viaggia sotto il nome di “Operazione Verità”. Quanta verità, al momento solo annunciata. Accanto al termine verità, papa Bergoglio aggiunge quello di parresia; per i comuni mortali “estrema sincerità, schiettezza”.
Parole fantastiche, come le sempre bergogliane “massima trasparenza” e “andremo fino in fondo”, che se congiunte al “vorrei la pace nel mondo” e “nessun bambino dovrebbe più soffrire la fame”, sarebbe pronto il discorso per la prossima Miss Italia,
C’è ben poco da ridere, in verità e, con il massimo della parresia, l’inchiesta vaticana sta mostrando con effettiva trasparenza la strada che è intenzionata a percorrere, ovvero quella che porterà ad un nulla di fatto nella migliore delle ipotesi, o ad un definitivo sollevamento da ogni responsabilità della Santa sede nell’ipotesi più probabile.
La squadra messa in campo l’ha da subito detta lunga, facendoci ritrovare il già magistrato italiano, Giuseppe Pignatone, uscito dalla porta e rientrato dalla finestra, dopo che a suo tempo aveva fatto archiviare il procedimento Orlandi – Gregori, nonostante le rimostranze e la mancata firma di uno dei magistrati coinvolti: Giancarlo Capaldo.
Schematizzando, quello a cui ho assistito nel corso di questi mesi è stato:
- Una fuga di notizie dalla Procura, ad oggi non ancora motivate nè da Alessandro Diddi nè da Giuseppe Pignatone, volte a mettere in dubbio lo zio di Emanuela Orlandi, Mario Meneguzzi, salvo poi tradursi in un ovvio “nulla di fatto”
- Una costante pressione da parte di membri della Santa Sede verso organismi di stampa a loro prossimi e a politici eletti grazie ai voti portati dalle molteplici associazioni religiose, al fine di ostacolare l’attivazione della Commissione parlamentare d’inchiesta
- L’audizione di persone in aperto contrasto con la famiglia Orlandi, e qui mi fermo.
- La tutt’oggi mancata convocazione di personaggi che potrebbero effettivamente fornire elementi determinanti alla comprensione di certi eventi quali, ad esempio, monsignor Balda e il cardinale Santos Abril y Castelló.
Non posso aggiungere altro perché nient’altro so rispetto questa indagine. Tutto il rumore iniziale si è tradotto, ancora una volta, in uno sconcertante silenzio che non lascia presagire nulla di buono, ma sicuramente mi sto sbagliando. Lo spot pubblicitario volto ad accreditare papa Francesco I ha evidentemente prodotto i suoi frutti e, di conseguenza, esaurito la sua ragione d’essere.
Tuttavia, agli occhi di una profana quale sono, nella più totale parresia, il defunto pontefice, papa Benedetto XVI mi pare sia stato, rispetto la faccenda Orlandi, se non più efficace, quantomeno meno ipocrita ed opportunista. Fece le sue indagini in un clima di riservatezza ma, per quanto c’è dato sapere, le sue audizioni erano rivolte a membri del clero, come il mai ascoltato fino a quel momento padre Miserachs.
Mi sovviene anche qualche dubbio sulla questione inerente il Dossier, di cui segretario particolare padre Georg Gänswein conferma l’esistenza finché fu in vita il Papa Emerito, andando poi a negarlo successivamente. Per quale motivo?
Papa Francesco, alla parresia e alla verità dovrebbe dunque aggiungere un altro sostantivo, ovvero la coerenza perché, per quelli come me, che della Chiesa conoscono solo i principali dettami, nella faccenda Orlandi vedono disattesi quasi e tutti i Dieci Comandamenti. A morte avvenuta ci sono state insinuazioni e allusioni nei confronti di un uomo che, a mio avviso, era quantomeno portatore di grande cultura e che, mestamente ha agito in maniera più decisa ed efficace al fine di contrastare le macroscopiche storture del sistema cattolico, a partire dalla problematica della pedofilia dove, ancora una volta, Francesco ha fatto prevalere le parole ai fatti. Quanto alla verità, non è questo né il luogo né la sede per trattare le politiche bergogliane che gli vengono attribuite in Argentina.
Rispetto all’inchiesta italiana, temo che possa muoversi sulla falsa riga di quella vaticana. Pertanto ritengo che sia indispensabile schiacciare l’acceleratore: in questi giorni un segnale in direzione della necessità di questa commissione è stato dato anche da Giuliano Amato, ma i tempi stringono. Il Signor Sottile una volta ottenuto il suo trono al Quirinale potrebbe non sentire più quest’imminente necessità di trasparenza e verità di cui è stato improvvisamente investito.
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2 commenti
Ma signor Sbarbato, vedo una leggera rabbia di 40 anni di figuracce represse, stando dietro e pari passo alla relazione istruttoria che vi ha affogato in molti. Se invece di far ragionare uno solo e tutti dietro come celebro lesi provavate con i vostri cervelli a tracciare un altra pista, forse non eravamo qui a sentire giudicare lei, con la sua grande mente da Scharlock Holmes, che sembra la sa un po’ più lunga di tutti. Ora ci illumini della sua bravura e intelligenza e risolva il caso che è molto più importante che sta ha giudicare chi lavora e non sta li dietro dietro a giudicare come lei, che come vede perdiamo tempo con persone inutili dietro ai casi da troppo tempo. E l ora che la vecchia guardia si tenga da parte e faccia correre i cavalli vincenti.
Si, ma per prima cosa impari a scrivere correttamente l’italiano, che la grammatica e la sintassi non sono un’opinione.