Premessa
Terminato, o quasi, il quadro in cui la scomparsa di Emanuela Orlandi va ad inserirsi, provo ora a riprendere il filo del discorso. Avevamo lasciato il caso in sospeso al momento della scomparsa (qui). La nebulosità è fitta fin dai primi momenti: non è chiara la strada percorsa per raggiungere la scuola di musica Ludovico da Victoria, vengono alzati dubbi sull’attendibilità dl vigile testimone, la versione dell’amica Raffaella Monzi cambia, insomma di certo non esiste nulla. Provo quindi a illustrare gli accadimenti immediatamente successivi la scomparsa, limitandomi a livello temporale ai giorni precedenti i grandi depistaggi.
Mi sono con il tempo sempre più convinta che la risposta circa la sorte di Emanuela debba essere cercata nel periodo sopraindicato. Quanto succede successivamente credo non sia più legato alla ragazza, che diviene strumento per interessi altri. La verità dovrebbe essere ovviamente ricercata a livello generale, ma non si può escludere che la scomparsa di Emanuela e i successivi depistaggi e giravolte compiute da più fronti e da più organi anche istituzionali, siano realtà diverse, con responsabilità e colpe diverse che la storia ha fatto correre su binari paralleli sino ad oggi.
È scomparsa Emanuela
Emanuela, che dopo la lezione di musica avrebbe dovuto raggiungere Cristina, la sorella minore e gli amici; il ritrovo era nei pressi di Piazza dei Tribunali, tra il Ponte Umberto I e il Ponte di Castel sant’Angelo. Emanuela non arriva. Cristina e gli amici attendono fino alle 19.30-19.40; Emanuela non arriva. La più giovane degli Orlandi rincasa e scopre che la sorella non è tornata. È estate, le giornate sono luminose e si può perdere cognizione del tempo, dopotutto non è nemmeno passata un’ora e in quei giorni i trasporti pubblici sono in subbuglio: quando non è sciopero è ritardo.

Scomparsa di Emanuela Orlandi
È intorno alle 21.30 che gli Orlandi terminano le motivazioni razionali e iniziano le telefonate agli ospedali e le ronde per le zone frequentate dalla ragazza. Al comando della polizia di Trevi Ercole Orlandi non riesce a sporgere denuncia. È troppo presto, è estate, la città brulica di divertimenti e concerti, potrebbe trattarsi di una ragazzata. Pietro accompagnato dal cugino attraversa la città e cerca la sorella fino ad Ostia, Emanuela non si trova. È mezzanotte in punto, le porte dello Stato Vaticano si chiudono. Ma la mamma della quindicenne non si da pace, non può dormire, alle 03.00 chiama Suor Dolores della scuola di musica che, appresa la notizia contatta le compagne ma nessuna avrà informazioni utili all’immediato ritrovamento.
La denuncia
L’indomani il padre e la figlia maggiore Natalina si recano a sporgere la denuncia che, finalmente verrà accolta.. Le forze dell’ordine si dimostrano assolutamente convinte che si tratti di un allontanamento volontario. Sostengono che la maggioranza delle “scomparse” di giovani coevi della ragazza, sono intenzionali. Quale prova a sostegno di questa tesi aggiungono: “la ragazza è anche bruttina”. La denuncia è sporta presso lo il ispettorato di polizia del Vaticano; dagli atti leggiamo:
«Segnalava (in sede di rituale denuncia) la scomparsa della propria sorella Emanuela di anni 15 la quale, uscita da casa intorno alle ore 16,30 del 22.6.83 per recarsi all’Istituto “Ludovico da Victoria” di Piazza Sant’Apollinare per la consueta lezione di flauto, non aveva più fatto ritorno. Rappresentava altresì la denunciante che intorno alle 19 del 22.6.83 Emanuela aveva telefonato alla sorella Federica riferendole che un rappresentante della casa di cosmetici “AVON” le aveva proposto un’attività propagandistica per conto della “AVON” in occasione della sfilata che la casa di moda “Fontana” avrebbe tenuto a Palazzo Borromini per il compenso di lire 3 7 5. 000; segnalava altresì che tale circostanza era stata immediatamente verificata, giacché Monzi Raffaella amica di Emanuela, aveva confermato l’appuntamento della stessa Emanuela con l’uomo dell'”AVON” la sera del 22.6.83, e riferito di aver lasciato la ragazza in Corso Rinascimento alla fermata della linea 70 intorno alle ore I 9,20 in 4 o e I compagnia di altra ragazza, sconosciuta alla Monzi e comunque anche in seguito mai identificata».
I testimoni in divisa
Il 23 giugno, giorno successivo la scomparsa, Pietro Orlandi rintraccia un vigile di stanza su Corso Rinascimento, presso Palazzo Madama. Questi rilascia quella che nei fatti è la prima testimonianza. Testimonianza che è stata oggetto di dubbi circa la sua affidabilità ma che, per prima, cita la famosa (ed estranea ai fatti) ditta Avon ovviamente prima che la notizia potesse essere diffusa dai media.
Ricordo che Mario Meneguzzi si metterà in contatto con la testata Il Tempo che pubblicherà il primo trafiletto il giorno 24-06-83. Il testo riportato nel quotidiano non fa cenno alla vicenda dell’Avon ma si limita a riportare le caratteristiche fisiche della ragazza, utili al riconoscimento, e il numero telefonico della famiglia Orlandi. Anche Il Messaggero e Paese Sera.
Il vigile Sambuco
Il vigile urbano Alfredo Sambuco, scomparso nel 2002 è il primo testimone ed è “interrogato” dal fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, che era riuscito a risalire agli agenti in servizio il 22-06 all’ora interessata. Al netto delle varie supposizioni e delle giravolte che lo stesso compie nelle diverse deposizioni. Diciamo che la prima testimonianza risulta attendibile dal momento che il vigile di stanza al Senato della Repubblica non aveva elementi per fornire una falsa testimonianza.
Nella conversazione con l’unico figlio maschio di casa Orlandi, Sambuco riferisce di aver visto una ragazza che percorre tutti i giorni quella strada, con jeans e zainetto, lunghi capelli neri e di bassa statura, dialogare con un uomo che all’apparenza dimostrava circa 35 anni. L’uomo è descritto come longilineo, alto circa 1.80 con capelli chiari radi su fronte e tempie; il viso è allungato.
Lo sconosciuto aveva parcheggiato la sua BMW scura con tettuccio verde in divieto di sosta, proprio davanti a Palazzo Madama. L’agente si era quindi avvicinato all’uomo che, porgendo le sue scuse affermava l’intenzione di spostare subito l’automobile. Questo gesto ha fatto sì che il vigile non provvedesse a multare l’infrazione.
Avvicinandosi per discutere con il proprietario del veicolo, Sambuco nota che l’uomo ha una borsa con la scritta Avon contenente prodotti per la cosmesi.
Nella sua deposizione del 2002, Sambuco rimuoverà qualsiasi riferimento all’Avon ma accresce il suo livello di conoscenza con Emanuela. L’uomo, smentito categoricamente dalla famiglia, sostiene di aver accompagnato la ragazza a riparare la fodera dell’involucro del flauto presso la Tappezzeria del Moro. Il vigile aiuterà anche a tracciare un identikit che verrà diffuso solo ad anni di distanza.
L’agente di polizia Bruno Bosco
Il poliziotto Bruno Bosco viene interrogato dall’agente del Sisde Giulio Gangi il giorno 25-06. Il poliziotto riporta che nota un uomo sulla trentina, biondiccio e con i capelli radi, fermare una ragazza corrispondente nella descrizione ad Emanuela Orlandi, all’altezza del civico 5.
L’uomo sarebbe sopraggiunto su una BMW verde chiaro; con lui un cofanetto verde militare contenente cosmetici. Il cofanetto presenta sul coperchio la lettera A. Detto cofanetto, il 28-06, diventerà un tascapane. La cittadina vaticana, dapprima non esattamente identificata dal poliziotto, diviene successivamente “sicuramente” Emanuela Orlandi.
La BMW camaleontica
Tra le tante, a creare ulteriore incertezza, c’è una BMW. L’automobile pare funzioni come la penna Carioca, cambia colore: c’è chi la vede verde chiaro, chi verde scuro, qualcuno la vede scura, forse marrone e un altro nera con il tettuccio verde per finire con la BMW Blu avvistata dai genitori di Emanuela Fuori dalla Scuola di musica.. Ad un certo punto, nel 2015, la BMW diventa persino una Citroen GS verde (qui), ma per un breve periodo, poi torna ad essere una BMW. Indubbiamente un’auto prodigiosa.
Proverà a far chiarezza la Sentenza Rando, che indica la casa BMW e il colore verde chiaro. Viene fatta chiarezza anche sulla BMW blu, parcheggiata davanti alla Ludovico da Victoria, con un uomo fermo alla guida:
«Inoltre, e relativamente ad accertamenti intrapresi la sera stessa della scomparsa di Emanuela dai suoi familiari, era verificato che la presenza dell’autovettura BMW di colore bleu targata RM W5801 l nei pressi della scuola di Piazza Sant’Apollinare era giustificata dal fatto che il proprietario della predetta autovettura avv. Alfonso Palladino, si era recato quella sera a cena presso il ristorante “Passetto”, mentre l’autista, tale Verdecchi Stefano, lo aveva atteso fuori appunto, a bordo del veicolo di cui era stata rilevata la targa».
Giulio Gangi
Il ventitreenne Giulio Gangi, amico dei Meneguzzi, soprattutto di Monica Meneguzzi, cugina degli Orlandi. Giulio e Monica si sono conosciuti in ferie nel paesino del reatino dove si recano ogni estate, Torano. Gangi si reca a casa Orlandi nella serata del 24-05 per prestare aiuto, avendo appreso dai media della scomparsa della ragazza.
Giulio Gangi, uomo proveniente dal mondo dello spettacolo con grande amore per il cinema, dichiarerà in più occasioni che la sua presenza a casa di Emanuela era avvenuta a titolo personale, e non su indicazione dei Sevizi Segreti. Il giovane agente si spenderà molto per aiutare la famiglia, arrivando dopo poco tempo a consigliare di incaricare l’avvocato Egidio come riferimento e sovraintendente della questione. Il giovane agente del Sisde si mostrerà fin da subito convinto che la ragazza sia rimasta vittima di malviventi dediti alla tratta internazionale ai fini di condurre giovani donne alla prostituzione.
La linea di Gangi e una serie di iniziative avventate gli costeranno, l’anno successivo, l’estromissione dall’affare Orlandi per poi essere allontanato del tutto dall’universo dei Servizi Segreti. Verrà poi inserito in qualità di dipendente, al Ministero dell’Economia. Giulio Gangi muore il 2 novembre del 2022 in seguito ad un malore avvenuto nella depandance della villetta di un amico nel suo quartiere, l‘Infernetto.
Le testimonianze delle amiche
Come già accennato negli articoli precedenti, alcune amiche di Emanuela saranno chiamate a depositare la loro testimonianza; tra queste spiccano le compagne della Scuola di musica, essendo l’ultimo luogo in cui la ragazza è stata ed essendo quindi loro le ultime ad averla vista.
Come sappiamo, perché questo è stato un argomento ampiamente dibattuto in trasmissioni televisive, blog, forum, articoli di giornale e libri, alcune delle testimonianze delle amiche hanno sollevato più di una perplessità. Esse si sono infatti rivelate talvolta discordanti, altre reticenti.
Raffaella Monzi
Raffaella Monzi è la prima testimonianza pervenuta dalle amiche. E’ tra le ragazze contattate a notte fonda da suor Dolores. La ragazza racconta che Emanuela le avrebbe raccontato di avere un appuntamento con l’uomo dell’Avon e riferisce di essersi congedata dall’Orlandi in Corso Rinascimento alla fermata della linea 70 intorno alle h. 19:20. Come si può leggere nella Sentenza Rando, Raffella Monzi riporta infine di aver lasciato Emanuela in compagnia di un‘altra ragazza a lei sconosciuta e che non sarà mai identificata.
Come riporta il blog di Emanuela Orlandi, pochi giorni dopo la scomparsa la Monzi rilascia alcune interviste, in una di queste dichiara:
«Eravamo appena uscite dalla lezione di canto corale. Emanuela mi ha confidato che le avevano offerto di distribuire dei prodotti per una casa di cosmetici a una sfilata di moda. Le avevano promesso 375 mila lire. Lei era stuzzicata dall’idea di guadagnare ma era incerta se accettare. Mi ha detto: la persona che mi ha offerto il lavoro vuole una risposta questa sera. Aspetto o vado a casa? Ormai si erano fatte le sette e venti, il mio autobus era arrivato e l’ho salutata. Non so proprio cosa dirti Emanuela».
La prima deposizione di Raffaella avviene a poca distanza dalla scomparsa, è il 7 luglio e sta riferendo alla sezione omicidi. La ragazza riporta che Emanuela le aveva accennato ad un impegno di lavoro, da svolgere per un solo giorno dalle ore 16.00 alle ore 18.30. La Monzi afferma anche che il sopraggiungere dell’amica Maria Grazia Casini fece scemare il discorso e lei salutando Emanuela salì sull’autobus 70 con la Casini.
In data 28 luglio 1983 Raffaella Monzi viene ascoltata dal P.M. Domenico Sica. In questa occasione spiega che il giorno 22-06 ha partecipato con Emanuela alla lezione di canto corale. Ricorda che alla fine della lezione Emanuela corse per le scale mentre lei si trattenne a parlare con altri compagni. La Monzi raggiunge poi Emanuela, lungo la via, vedendo sopraggiungere l’autobus 26 l’Orlandi le avrebbe domandato:
“«Che faccio? Lo prendo o no?» Ciò in riferimento al fatto che avrebbe dovuto percorrere solo una fermata, per andare a prendere l’autobus 64 diretto al Vaticano. Le risposi: “fai un po’ te!”. Allora Emanuela aggiunse: “sai, perché ho trovato un lavoro”, e poi di seguito: “si tratta di distribuire volantini dell’Avon” .
Passano dieci anni, è sabato 19 giugno 1993 quando a pagina 10 dell’Unità compaiono una serie di articoli che fanno il punto della situazione a dieci anni dalla scomparsa si Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Tra questi una lunga intervista a Raffaella Monzi, di cui riporterò i punti salienti:
Che accadde il pomeriggio del 22 giugno?
La lezione a appena finita. Ci incamminammo, in gruppo, verso l’uscita della scuola. Per raggiungere la fermata dell’autobus si doveva fare un pezzetto a piedi. Non so come, quel tratto di strada mi ritrovai a percorrerlo insieme con Emanuela. Sono passati dieci anni, e non so più bene di che parlammo lungo il cammino. Cose normali comunque, […] Stranamente, rammento ancora perfettamente come era vestita Emanuela: una maglietta bianca, i jeans e sulle spalle aveva uno zainetto di cuoio. Dentro c’era il flauto. Lei e il suo zaino: quell’immagine è impressa dentro di me.
Infine, arrivate alla fermata dell’autobus.
Si. Ed Emanuela, mentre aspettavamo il bus, mi fece quello strano discorso, su cui poi tanto ha insistito la polizia. Mi disse cioè che poche ore prima, mentre veniva a scuola, era stata avvicinata da un tale, un uomo, il quale le aveva offerto un lavoro. Le avrebbero dato 375mila lire, per distribuire volantini o qualcosa del genere, insomma mi chiedeva un consiglio. Non sapeva se accettare, era in dubbio.
E lei? Cosa le rispose?
Io le dissi «Parlane con tua sorella, prima di decidere. Mi sembrava una cifra troppo grossa…» Ma non le prestai molta attenzione. Vede, quella sera dovevo tenere un concerto. Un concerto importante […]. Dopo un po’, poichè l’autobus numero 70 non arrivava, Emanuela disse: «Che dici? Vado in Largo Argentina a prendere il 64? lo, sempre un po’ distratta, devo averle risposto una cosa come «vedi un po’ tu». Poi, il 70 arrivò. Ma era strapieno. Salii sul predellino. Sentii Emanuela, dietro di me, dire: «Aspetto il prossimo». L’ultimo ricordo che ho di lei è quel suo cenno di saluto verso di me, dalla strada, mentre io venivo portata via dal bus.
Da quel momento, Emanuela scompare. Lei è stata l’ultima persona a vederla. Che accadde poi? La interrogarono subito?
Le cose andarono cosi. Quella sera tenni il mio concerto. Andò benissimo, ero così felice… Ma poi, alle 5 del mattino, a casa mia squillò il telefono, era suor Dolores. Voleva sapere se avevo visto Emanuela, lo, ancora mezza addormentata, le risposi: «no no, io non l’ho vista». Abbassai la cornetta, mi rimisi a letto. E, improvvisamente, mentre riflettevo sulla telefonata, un flash: Ma io ieri ci sono stata, con Emanuela!».
Chiamai i miei genitori. Insieme, telefonammo a suor Dolores. E così cominciò l’incubo. […]
Raffaella ha 19 anni all’epoca della scomparsa di Emanuela, e frequenta la medesima scuola di musica. Dal giorno in cui rilascia ai giornali la sua versione dei fatti, è pedinata, fotografata, tormentata con minacce e telefonate. Sempre nell’intervista del 1993, la ragazza racconta:
“Cominciarono le telefonate anonime. Ne arrivarono tante, tantissime, a casa. Ero terrorizzata. Più di una volta, un uomo al telefono disse «Raffaella farà la fine di Emanuela, è anche una bella ragazza….» Mio padre ogni volta volta andava in questura per la denuncia. Appena i giudici non ebbero più bisogno di me, i miei genitori mi portarono via da Roma. Restammo fuori qualche settimana. Ma quando tornai ero più terrorizzata di prima. […] Non potevo camminare da sola per la strada. […] insomma se qualcuno mi avvicinava, magari solo per chiedermi che ora fosse, io mi sentivo morire. […] Certe volte ancora oggi mi sento male.”
Epilogo
Raffaella Monzi non ha mai potuto affrancarsi da questa vicenda. Passano vent’anni, Raffaella si è quasi convinta che tutta la questione Orlandi appartenga al passato, ma questo passato irrompe nuovamente nella sua vita. E’ il 05 marzo del 2013, due giorni dopo l’Italia intera conoscerà Marco Accetti, l’uomo del Piffero, due missive, scritte a mano, con lettere che hanno un vago richiamo a simboli runici, druidi, sono consegnate in due case di Roma: una è indirizzata a Raffaella Monzi, l’altra a Maria Antonietta Gregori.
Non è chiaro se Raffaella ricevette effettivamente la lettera dal momento che, proprio a causa delle persecuzioni che l’hanno vista protagonista fin dalla prima intervista rilasciata alla stampa, la sua tenuta emotiva, nel corso degli anni ’90, iniziò a vacillare, Dopo gli interrogatori i genitori la portarono in Trentino, a Brunico, un paesino della Val Pusteria nei pressi di Bolzano così che potesse ritrovare un po’ di serenità, non fu così. Come riporta l’intervista che la madre di Raffaella, Carla, concesse a Repubblica, il 30 giugno del 2008:
«Eravamo tanto esasperati e spaventati che decidemmo di andare via da Roma e di trasferirci a Bolzano, ma c’erano persone che hanno continuato a controllarci. Raffaella fu seguita da un giovane biondino. Ogni volta ce lo trovavamo davanti e un giorno le disse: “Vieni via con me, lascia i tuoi genitori…”»
Rientrati a Roma l’uomo, il biondino in questione avrebbe più volte fotografato la ragazza e telefonato a casa minacciando la stessa e il padre, che mai mancò di sporgere denuncia, di far fare alla Monzi la stessa fine di Emanuela. La ragazza lasciò già nel 1983 la Ludovico da Victoria, per il Conservatorio di S. Sofia, ove rimase fino al 1989. Il “biondino” arrivò anche ad invitare Raffaella a scappare con lui e a sposarlo.
Raffaella non fu la sola, tra gli amici di Emanuela, a subire intimorimenti e persecuzioni di vario tipo, come vedremo nel prossimo articolo.
La lettera anonima
Le lettere datate 05/03/2013 non sono lettere normali, e la busta al suo interno contiene delle ciocche di capelli biondi, un mix di terriccio/legno/polvere, un pezzo di pellicola fotografica con impresso un teschio, un merletto a forma di fiore, un pezzo di stoffa scura. Il testo della lettera recita:
“Non cantino le due belle more per non apparire come la baronessa e come il ventuno di gennaio martirio di S. Agnese con biondi capelli nella vigna del Signore”.
I riferimenti sembrano abbastanza chiari, un dubbio forse sul primo: Le due belle more potrebbero essere l’Orlandi e la Gregori ma, suonando più come una minaccia e non avendo notizia delle due scomparse da anni, pare più plausibile che coloro che “non devono cantare” siano le possibili complici delle sparizioni: Sonia de Vito per la Gregori e la sconosciuta bassa mora e riccia con cui è vista l’ultima volta Emanuela? Solo ipotesi.
La Baronessa si riferisce probabilmente alla Baronessa Rothschild, morta nel gennaio del 1982 e a Catherine Skerl, la ragazza bionda, brutalmente uccisa il 21 gennaio 1984, ovvero nel giorno di Sant’Agnese, in un vigna di Grottaferrata. La vigna non è solo luogo del ritrovamento del corpo ma anche simbolo sia esoterico (le pietre di guardia) sia religioso.
C’è anche una foto ritagliata dalla versione teutonica del giornale Osservatore Romano, ritrae delle guardie svizzere immortalate durante una cerimonia, e una didascalia:
“Durante il giuramento ogni recluta si posiziona davanti alla bandiera della Guardia e promette di servire lealmente e onorevolmente il Pontefice e i suoi legittimi successori”.
Sui bordi dell’articolo leggiamo una scritta aggiunta a penna: “4- Fiume“. Probabilmente il rimando è al fiume Avon, che poco ha a che fare con la Germania ma pare la conclusione più logica. All’autore della lettera piace evidentemente giocare con rimandi continui all’esoterismo. In questo caso non è chiaro se la parola “fiume” è aggiunta solo a mo di indovinello, non trovando altro per stabilire un riferimento con la ditta di cosmetica che, suo malgrado, si è trovata invischiata nel caso, oppure c’è stata una intenzionalità nell’accostamento con il fiume britannico.
Il fiume Avon, infatti, rientra nelle leggende mistico-magiche, ma anche sataniche legate agli Stone Circle e, in particolar modo, a Stonehange (Salisbury e le pietre acquistate dal Diavolo); oppure il legame può essere con William Shakespeare, e a doppia mandata. Il drammaturgo di Stanford Upon-Avon è tra gli autori più studiati per i suoi riferimenti al simbolismo e all’esoterismo. Parimenti le sue opere “Il Macbeth” ma soprattutto “La Tempesta” con il suo Prospero sono opere che, in ambienti esoterici, riscuotono grande fortuna.
MFA, che attribuisce la lettera a una fazione rivale rispetto quella di sua appartenenza, da una spiegazione diversa degli indizi (qui)
Le missive ricevute dalle due donne, quanto riguarda il “fiume”, presentano due diciture diverse : 4– Fiume per la Monzi e V-Fiume per la Gregori. 4+5=9. La liberazione.
I capelli inviati a Raffaella e Maria Antonietta sono di un biondo tinto. Il loro stato non ne permette l’analisi del Dna ma, con margine di certezza, si è appurato appartengano a due persone differenti. Nel simbolismo, e in tutte le culture, i capelli sono espressione di sessualità, fertilità e forza (vedi i guerrieri Samurai o il personaggio di Sansone).
In questo caso, alla luce dell’indegno trafugamento della bara della giovane e bionda Katty Skerl, il simbolismo potrebbe non centrare, lasciando spazio al macabro, in cui probabilmente rientrano anche il terriccio, il tessuto scuro e il fiorellino di trina.
Il teschio ritratto nel negativo di pellicola sembra appartenere a tale Eleonora De Bernardi, morta nel 1854. Il teschio della defunta si trova nella chiesa romana di Santa Maria dell’Orazione e Morte, in via Giulia. 1854= 9, il numero della liberazione.
Il secondo ritaglio di giornale presenta le seguenti cifre e diciture: “Silentium” e “V. Frattina 103”. “Silentium est Aureum” dall‘ebraismo all’esoterismo moderno il concetto di silentium si lega al nascondere, al celare la verità. Secondo MFA, invece, rimanderebbe a un’opera cinematografica che racconta di abusi da parte di un prelato. Anche in questo caso tutte le ipotesi sono parimenti valide, a meno che MFA sia lui stesso l’autore del messaggio. V. Frattina che, secondo le affermazioni di Accetti sarebbe la scritta dell’etichetta presente sulla camicia che la Skerl indossava il giorno del funerale. V. Frattina 1982 è anche un messaggio che fu recapitato alla famiglia Orlandi a poco tempo dalla scomparsa.
Infine il terzo la scritta “Musico 26/OTT/1808 – 5/3/1913 – 2013”. Qui il riferimento è allo spartito di Hugues, che Emanuela aveva con se il giorno della scomparsa. Hugues è nato a Casal Monferrato nel 1836, morì proprio il 05 marzo 1913, che è la data riportata nella lettera: 05/03/2013.
Con tutti questi numeri ci sarebbe da divertirsi, come pare qualcuno abbia fatto; peccato che non è un gioco e non lo è mai stato per famigliari e amici delle persone che ci hanno rimesso la vita.
Conclusioni
Qualcosa basandoci sugli eventi delle prime settimane, lo possiamo dire:
- Le forze dell’ordine, in quel periodo, avevano un approccio più lassista di quello a cui siamo abituati oggi. L’epoca da cui si stava uscendo, che aveva visto molti giovani inseguire sogni lontano da casa, organizzando fughe improvvisate, spesso fallimentari, non contribuì a promuovere la tempestività necessaria in questi casi.
- La presenza dell’uomo dell’Avon, riconosciuto da due membri delle forze dell’ordine interrogati prima della diffusione mediatica dei dettagli circa la scomparsa e confermata dalla testimonianza della sorella di Emanuela e dalla compagna di corso alla scuola di musica, Raffaella Monzi, invita a scartare la possibilità che dietro la sparizione di Emanuela ci possa essere un coetaneo, a meno che non sia un mero strumento nelle mani di un‘organizzazione superiore.
- La sistematicità persecutoria che caratterizzò i o il malfattore, indica la presenza di uno o più individui determinati a nascondere la vera origine, il vero motivo che sta dietro la scomparsa di Emanuela Orlandi, costi quel che costi.
- Il signore dell’Avon, apparentemente, ha avuto un aiuto da una ragazza bassa e riccia. Non possiamo darlo per certo, come non possiamo escluderlo del tutto. Non possiamo nemmeno escludere che questa ragazza usasse un travestimento. Interessante a questo riguardo stabilire se la ragazza in questione frequentasse effettivamente la Ludovico Da Victoria e se la Ludovico da Victoria avesse una sola sede. Da primi riscontri pare che la scuola, attiva dal 1977 avesse altre due sedi: una in via Torre Rossa n.21 e l’altra in Via Santa Maria Mediatrice n. 24.
- Il rimando all’esoterismo che, come abbiamo visto e come vedremo, torna ridondante in questa storia ha due possibili motivazioni, l’una opposta all’altra:
- Depistare, cercando di condurre chi indaga su terreni diversi da quelli che, effettivamente, sono stati il palcoscenico del crimine.
- Esprimere la propria appartenenza con fierezza, certi che, nonostante certi richiami siano palesi, gli inquirenti non sarebbero comunque in grado di risalire ai veri responsabili e alla realtà in cui il crimine è maturato essendo questa tanto occulta quanto perversa