di Aldo Repeti
Carlo Rosselli, si laurea in Scienze politiche a Firenze e successivamente in Legge a Siena con una tesi sul sindacalismo. Ed è proprio da qui che parte analizzando le teorie economiche dei sindacati operai, in particolare del movimento operaio inglese e del suo sindacato le Trade Unions e del partito laburista. Si dedica allo studio di un socialismo non marxista.
Rosselli, dopo l’esperienza militare e dopo le inquietudini, i tormenti e le tensioni che hanno accompagnato il fallimento del biennio rosso e la progressiva crescita delle crudeli e violente prospettive del ventennio nero, ha difronte un quadro poco edificante e lusinghiero del socialismo italiano ed europeo. Un movimento attraversato da contrasti, lotte ed antagonismi interni che mettono a nudo una crisi che coinvolge il nodo più radicale e profondo che chiama in causa i rapporti fra socialismo e marxismo.
In questo quadro Rosselli avvertì il bisogno di una nuova elaborazione, di un manifesto ideale, politico e programmatico di un nuovo movimento. Non accettando, da un lato, l’aspettativa positivistica e deterministica dei socialisti per l’evoluzione necessaria del sistema capitalistico e rifiutando, dall’altra parte, per il suo limpido ancoraggio ai valori di libertà, l’impostazione della dittatura e del collettivismo integrale comunista.”
Da questa esigenza, ad un mese dalla morte di Matteotti, pubblica sulla rivista torinese “La rivoluzione liberale” un articolo che contiene in nuce quella originale, singolare, coraggiosa proposta che di lì a qualche tempo prenderà il nome di socialismo liberale. Ed è del 1927 la stesura del “Socialismo liberale”, il primo testo italiano di un socialismo post-marxista ovvero programmaticamente al di là del marxismo e delle sue varie interpretazioni. A questo seguirà nel 1930-1931 la pubblicazione in Francia di Socialisme Liberal.
Rosselli, cioè, analizzava la situazione politica, economica e sociale che viveva e vedeva. Che si stava significativamente diversificando da quella che lo stesso Marx aveva analizzato. “Il mito socializzatore e il fato proletarizzatore non sorridono infatti a due terzi dei concreti lavoratori italiani:”
“I socialisti delle varie scuole, dal troncone massimalista ai riformisti fedeli al marxismo lo attaccavano. Il leader dei comunisti Palmiro Togliatti nel 1934 definì Rosselli e la sua formazione politica Giustizia e Libertà come “movimento fascista dissidente”.”
D’altronde in questo partito era viva la teoria del socialfascismo, quella che nel 1924, all’indomani dell’omicidio Matteotti vide Antonio Gramsci definire il barbaramente ucciso Matteotti quale “pellegrino del nulla” ed affermare al Comitato Centrale del PCI “…oggi siamo in linea per la lotta generale contro il regime fascista…dimostrando la nostra reale volontà di abbattere non solo il fascismo di Mussolini e di Farinacci, ma anche il semifascismo di Amendola, Sturzo e Turati”.
Dunque questa teoria del Socialismo Liberale ha come obiettivo quello di operare una sintesi tra i due grandi ideali democratici dell’800 e 900: il liberalismo ed il socialismo.
Rosselli afferma dunque che “non vi è parentela necessaria tra socialismo e marxismo” sottolineando che “il socialismo non è che lo sviluppo logico, fino alle sue estreme conseguenze, del principio di libertà. Il socialismo è ….liberalismo in azione”.
Prospetta “un socialismo che ha nella libertà al tempo stesso un mezzo ed un fine e che considera le socializzazioni un mezzo, importante, ma non un fine in se stesso”.
Quello di Rosselli è un socialismo che “intende riguadagnare dal lato del fattore etico e dalla spinta derivante dalla presa di coscienza morale, quanto viene a perdere dall’abbandono delle certezze che gli venivano dal socialismo scientifico, cioè dalla dottrina marxista sull’evoluzione del sistema capitalistico e delle classi sociali.” Un socialismo “in primo luogo rivoluzione morale ed in secondo luogo trasformazione materiale…che si attua nelle coscienze dei migliori senza aspettare il sole dell’avvenire”.
Nel dibattito che avanza nei giorni nostri, poi, si tende molto semplicisticamente, quando non strumentalmente a confondere il socialismo liberale con il liberal-liberismo.
Cogliamo la significativa diversità.
“Per il socialismo liberale, il socialismo che deve essere realizzazione progressiva dell’idea di libertà, l’uomo si trova in una condizione effettiva di libertà quando è libero dal bisogno, dalla disoccupazione. Il risultato è che le facoltà delle persone si possono dispiegare pienamente e le società si assestano nel loro complesso, su livelli più elevati quantitativamente e qualitativamente”.
Per l’impostazione liberal-liberista “è dallo stimolo della competitività, dal non essere troppo difesi, protetti e garantiti che viene lo stimolo all’impegno individuale”.
“Il socialismo liberale ha una componente etico-sociale, con una lettura di ottimismo sul ruolo dell’animo umano. Nel liberal liberismo vi è una visione pessimistica dell’uomo che agisce e si muove con fini di carattere personale più che per motivazioni di carattere etico-sociali.”
Negli ultimi anni nelle società occidentali vi è stata una involuzione dei concetti di pubblico e sociale con attenuazione dei valori associativi politici. Abbiamo assistito, cioè, ad una affermazione liberal-liberista.
Ecco che dunque l’attualità del pensiero socialista liberale di Carlo Rosselli, “rivoluzione morale che parte dalle coscienze per diventare programma politico, assume una attualità decisiva”.
Oggi, in effetti, la realtà che stiamo vivendo ci consegna una società molto complessa e stratificata. In cui si affacciano tematiche nuove e cogenti come la transizione ecologica e quindi la tutela dell’ambiente, una società caratterizzata da una continua evoluzione tecnologica ed in cui molti riferimenti sociali sono venuti meno.
Per mutuare Bauman, stiamo vivendo il passaggio dalla modernità alla postmodernità o meglio alla “modernità liquida”. Una realtà in cui nulla ha contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte e che si riverbera, influenzandole, sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si vuole sentire “ingabbiati”. Poi è vero che Bauman teorizza che l’esclusione sociale non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l’essenziale, ma sul non poter “sentirsi parte” della modernità. Nella pratica è però indubbio che le modalità di esclusione sociale oggi assumono una valenza trasversale rispetto al sistema produttivo, non per questo escludendolo del tutto ma conformandosi diversamente. Sicuramente un contesto non esclusivamente leggibile con le lenti del secolo scorso.
Appare dunque chiaro quanto sia assurdo descrivere il socialismo liberale di Rosselli come un “riformismo di tipo liberale molto annacquato e sostanzialmente collateralista rispetto alla deriva neoliberista in atto” col tentativo di sospingerlo tra le braccia di Trotsky di cui non si coglie, peraltro, il tentativo di comprendere da par suo un mondo in cambiamento.
Mentre risulta coerente affermare che l’attualità del pensiero socialista liberale risiede nel suo essere un elemento di dinamicità ed efficacia, in linea con la società in evoluzione.
Sicuramente più dinamica del riferimento aprioristico ed acritico della socialdemocrazia classica, che si porta dietro una visione piatta e statica della società, riproducendo slogan e pensieri della società postindustriale, che aveva le proprie basi culturali e sociali e che oggi, invece, devono essere ridefiniti e riattualizzati.
Oggi come allora è attuale e cogente la diversa lettura etico-sociale tra socialismo liberale e liberal-liberismo, contro ogni interpretazione settaria.
1 commento
Grazie per queste sue delucidazioni, credo siano importantissime. Buon lavoro e Avanti!