In questi giorni ho maturato la decisione di affrontare il tema della Cancel Culture, non esauribile in un solo articolo data la complessità e la molteplicità di questioni che vanno a intersecarsi con questo fenomeno. Escludendo il secondo articolo di introduzione, che pubblicherò domani, l’appuntamento diventerà fisso, con cadenza settimanale, affiancandosi ai corsivi, alle interviste e ai due focus destinati alle donne e alla legalità.
Prima di entrare nel vivo, cercherò di fornirne una definizione generale. Con il termine Cancel Culture si indicano tutti quegli atteggiamenti che, nel tentativo di salvaguardare i diritti delle più svariate minoranze, mirano a cancellare e a distruggere qualsiasi idea, opera o persona che non si allinei con l’ideologia moderna. I membri di questi movimenti procedono, senza nessun tipo di remora e forti delle loro personalissime conclusioni, mettendo alla gogna o rimuovendo da una posizione lavorativa, culturale, o da un ambito socialmente attivo, persone, aziende o realtà associative.
Target privilegiato pare essere il mondo degli intellettuali, considerati colpevoli di aver sostenuto posizioni scorrette dal punto di vista politico. Si verifica così un fenomeno fortemente pervasivo: è sufficiente un solo click per distruggere la reputazione di un individuo e causare al bersaglio danni pressoché irreversibili. Sovente queste azioni vengono promosse da personaggi impreparati, che non esibiscono prove oggettive o dati circostanziati. I processi sommari e le sentenze definitive risultano immotivate o non sorrette dalla necessaria contestualizzazione e riflessione.
Questa “Cultura della cancellazione”, traducibile anche in “Cancellazione della cultura” altro non è che oscurantismo e ostracizzazione, rimozione forzata di processi storici, persone e oggetti. I movimenti che perseguono la Cancel Culture agiscono nell’illusione di creare una società aperta e totalizzante, incuranti dei naturali confini culturali espressi dalle molteplici società presenti sulla Terra.
Osservando le varie realtà che vanno propagando questa tendenza, non si può fare a meno di notare quanto siano affini nella forma, nel credo e nei simboli, alle religioni. Se da un lato è oggettivo il progressivo allontanamento delle popolazioni dai credo tradizionali, dall’altro emerge quanto questo allontanamento abbia creato “vuoti” che, provocando in molti un profondo senso di smarrimento, cercano di ricoprire attraverso l’edificazione di nuove chiese.
Le nuove chiese sono ideologiche e si fondano sull’utopia di una società senza differenze, moralmente e ideologicamente neutra. Le analogie con le religioni sono molteplici e si possono individuare nei concetti di peccato, scomunica, pentimento e redenzione. L’inizio avviene con l’individuazione del peccatore in colui che non si allinea o esprime un parere che contrasta con ciò che i vari gruppi ritengono essere il giusto: il bene. Segue la scomunica, che si traduce o in ostracismo oppure in una crocifissione e umiliazione mediatica, con tutte le sue conseguenze. Arrivati a questo punto al soggetto peccatore si prefigura una sola strada che gli accordi il reinserimento nella società: rinnegare le proprie idee, procedere con un pubblico atto di pentimento e la conversione dove è indispensabile sostenere con forza le istanze del suo nuovo credo.
Si contano già numerosi i casi di aziende, professionisti, intellettuali e docenti universitari messi nella condizione di non poter liberamente esprimere le proprie opinioni. Licenziati e demonizzati da una folla informe che ha come campo di battaglia la rete, che non concede beneficio del dubbio ne, tantomeno, il contraddittorio.
Tornerò sulla questione prossimamente, trattando il caso che ha visto protagonista il fotografo inglese Martin Parr, colpevole di aver promosso la riedizione di un libro pubblicato cinquant’anni orsono dal nostro noto connazionale: Gian Butturini. Butturini non fu solamente un grande fotografo, fu soprattutto un grande studioso della società e delle sue ingiustizie, importante sostenitore della legge Basaglia e molto altro ancora. Anche il nostro fotografo, deceduto da anni, ha subito il vilipendio da parte di queste informi sette neo-religiose. L’accusa ingiusta e infamante è quella di razzismo, promossa da una studentessa che non si è assolutamente preoccupata di leggere le due righe che andavano spiegando, motivando e giustificando, l’incriminata foto di Butturini riedita grazie a Parr. Lo sventurato fotografo inglese, dopo i reiterati attacchi, ha ceduto allo stress. L’interminabile persecuzione messa in atto da una marmaglia acefala e non regolamentata, la speranza di poter ancora esercitare la propria professione, hanno costretto Parr a ritrattare, fare ammenda e divenire promotore dei principi della Cancel Culture. L’ultimo schiaffo all’artista è giunto con la richiesta di mandare al macero il manoscritto incriminato.
Risulterò barbosa ai più, ad altri fastidiosamente non allineata. In sincerità non mi preoccupo delle possibili conseguenze che possono derivare dalla mia contestazione, forte della consapevolezza che i peggiori regimi, le peggiori brutture della storia sono nate dal consenso e non dal dissenso.
Se è vero che queste sette non rappresentano la maggioranza, è altrettanto vero che, come sempre accade alle realtà deviate, sono altresì più organizzate e capaci di ottenere le loro vittorie. Questi movimenti violenti, prevaricatori e non rispettosi degli altrui diritti e libertà sono la nostra più grande minaccia, e sono convinta dell’urgenza di una reazione ferma e decisa prima che sia troppo tardi, prima che queste follie divengano la norma, prima che ci si ritrovi in un bosco lontano a dover imparare a memoria un libro prima di distruggerlo.
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3 commenti
Grande articolo
Un’analisi lucida di un “movimento” composto da decerebrati che, purtroppo, con internet si sono ritrovati ad avere un’enorme cassa di risonanza.
Una volta erano solo degli ubriaconi da bar o delle mosche bianche negazioniste, oggigiorno sono gruppi di potere che vincono anche le elezioni.
“I membri di questi movimenti procedono, senza nessun tipo di remora e forti delle loro personalissime conclusioni, mettendo alla gogna o rimuovendo da una posizione lavorativa, culturale, o da un ambito socialmente attivo, persone, aziende o realtà associative.”
Questi giacobini attaccano solo i borghesi occidentali sapendo di non aver nulla da temere e si guardano bene dall’attaccare tutti gli altri da cui una pesante reazione, anche mortale, è certa; basti pensare ai “credenti” e ai delinquenti.
La Giustizia è rappresentata dalla bilancia proprio per pesare i pro e i contro di ogni questione. La Cancel Culture o meglio la Cancellazione della Cultura, come ben espresso nell’articolo, è uno strabismo autoreferenziale al quale bisogna reagire aprendo entrambi gli occhi ed il proprio spirito libero.