Campionapoli. Alle 22,37 del 4 maggio 2023 pareggiando 1-1 con l’Udinese il Napoli ha vinto per la terza volta (dopo i titoli del 1987 e del 1990) il campionato di calcio di serie A, da quando fu fondato il 25 agosto 1926 (sebbene la data venga tradizionalmente anticipata al 1º agosto) dall’industriale Giorgio Ascarelli. De iure, la nascita del Napoli non avvenne attraverso un tradizionale processo di costituzione societaria, bensì fu il frutto di una modifica della denominazione (imposta dal regime fascista) del Foot-Ball Club Internazionale-Naples (o Internaples), un club sorto a sua volta nell’ottobre del 1922 dall’unione di altre due compagini, il Naples Foot-Ball Club, fondato nel 1905 e primo vero nucleo storico del Napoli, e l’Unione Sportiva Internazionale Napoli.
Terminata la partita è esplosa in tutte le vie del capoluogo campano l’eterna, struggente, pirotecnica, irrefrenabile festa, attesa addirittura 33 anni, di un popolo tanto esigente quanto appassionato che vive di calcio h24 ogni giorno dell’anno. Tra l’altro Napoli è l’unica metropoli europea in cui non si disputa un derby, avendo un solo team di riferimento. Un successo meritato, mai in discussione che ha premiato una squadra dal gioco “erotico”, a tratti davvero spettacolare. Si è trattato dell’unico, fino ad ora, scudetto vinto dal Napoli senza Diego Maradona in campo e del primo con la proprietà di Aurelio De Laurentiis che si è dimostrato un presidente bravissimo non solo nella scelta dei collaboratori (dirigenti e allenatori) ma anche e soprattutto in quella dei giocatori. Infatti, De Laurentiis ha sempre saputo acquistare calciatori magari non famosissimi, rivelatisi comunque molto forti che poi ha rivenduto, all’apice dalla carriera, a un prezzo esponenzialmente maggiore di quanto pagato: gli esempi non mancano da Lavezzi a Cavani, da Hamsyk a Higuain fino ai più recenti Ruiz e Koulibaly. Certo il refrain, nello sport come in politica, che si vince per l’onestà e si perde per gli imbrogli degli avversari mi ha definitivamente, consentitemi l’espressione non proprio forbita, rotto i coglioni.
Nella sua storia il Napoli ha spesso comprato grandi giocatori: Hasse Jeppson, Omar Sivori, Beppe Savoldi (costato nel 1975 ben 2 miliardi e mai era stata spesa una cifra simile in Italia), perfino Paolo Rossi (che poi rifiutò il trasferimento), Ruud Krol…; però mai fino all’avvento del “pibe de oro” (nel 1984) attorno al campione di turno aveva saputo costruire una squadra davvero competitiva. Tanto è vero che solo nel 1975 e nel 1981 i partenopei hanno avuto concretamente l’opportunità di conquistare il campionato. Nel primo caso, (era il Napoli del calcio totale di Luis Vinicio), sarà decisiva la vittoria della Juve nello scontro diretto a Torino con un goal, in “zona Cesarini” dell’ex Josè Altafini (da allora “core ‘ngrato”).
Nel 1981 sarà, invece, una inopinata sconfitta casalinga con il già ampiamente retrocesso Perugia a impedire agli azzurri di lottare fino all’ultimo con Juve (che vinse) e Roma. Finalmente Italo Allodi e Luciano Moggi, dirigenti con profonda conoscenza della materia, affiancarono al fuoriclasse argentino sia campioni già affermati Giordano, Bagni, Careca, sia giocatori non notissimi ma particolarmente funzionali al progetto tattico degli allenatori (prima Ottavio Bianchi poi Albertino Bigon) come Alemao (al netto della sceneggiata per la monetina di Bergamo che decise lo scudetto del ’90, a proposito di correttezza), De Napoli o Romano, regista sopraffino pescato nella Triestina. Nacque così un ciclo straordinario di vittorie: due scudetti, la coppa Uefa, altri trofei sparsi; poi la cocaina e mille altri demoni comparvero nella vita di Maradona, così il sogno svanì e da quel momento il Napoli non ebbe più chance di successo (a parte il campionato perso in albergo, ovviamente dalla Juve, ai tempi di Sarri) fino a oggi.
Molti sono gli artefici del trionfo attuale da citare: in primis il presidente Aurelio De Laurentiis che prese un Napoli fallito in serie C, il 6 settembre 2004, e in pochi anni lo ha riportato dapprima in serie A e poi stabilmente ai vertici del calcio europeo, con un bilancio economico sostanzialmente in equilibrio, impresa non banale. Poi il direttore sportivo Cristiano Giuntoli, forse il migliore in attività in Italia, che dopo aver contribuito al miracolo Carpi (dai dilettanti alla A) ha costruito questo super team basandosi su uno scouting efficacissimo in grado di coprire ogni angolo del mondo avvalendosi, anche delle tecnologie più innovative. Menzione d’onore per Mister luciano Spalletti, ritenuto a torto dai soloni da tastiera, un perdente (che comunque in Russia con lo Zenith ha vinto due scudetti e qualche altro ammennicolo) che, invece, ovunque, ha fatto benissimo: dalla prima storica qualificazione in Champions con l’Udinese agli scudetti sfiorati con una Roma non trascendentale all’Inter riportata ai massimi livelli dopo un lustro di triste anonimato.
E sempre dando alle sue quadre un gioco brillante, offensivo, basti pensare al dinamismo e alla solidità del centrocampo di questo Napoli in cui ha saputo coniugare il fosforo di Lobotka con la tecnica di Zielinski e la fisicità di Anguissa e Ndombele. A tutti i giocatori che fanno parte del roster dovremmo dedicare uno spazio adeguato ma per ovvie ragioni ci soffermeremo solo su alcuni: innanzitutto il capitano Giovanni Di Lorenzo, 29 anni, terzino destro, già campione d’Europa con la nazionale di Mancini, sempre presente in questa stagione, prototipo del laterale difensivo moderno che per rendimento e abnegazione è uno dei punti fermi della squadra.
Ovviamente è impossibile non dare risalto al talento e alle prestazioni di kvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen. Il georgiano, 22 anni (30 presenze 12 goal), acquistato la scorsa estate per soli 10 milioni di euro dalla Dinamo Batumi, ha avuto un impatto devastante sul campionato italiano confermando il soprannome di “Messi georgiano”. In campo sciorina un repertorio inesauribile di finte, tunnel, accelerazioni improvvise, dribbling; potenzialmente può diventare il migliore attaccante esterno d’Europa. Infine, Osimhen, attuale capocannoniere della serie A con 23 reti, è un classico centravanti con una forza fisica senza eguali tanto da diventare il vero trascinatore della squadra. Con il rigore segnato alla Fiorentina è diventato il calciatore africano (con 47 marcature) più prolifico nel nostro campionato spodestando un mito come George Weah. Del resto che fosse un possibile crack lo si era intuito già nel 2017 quando, da pallone d’oro della manifestazione, vinse con la Nigeria il mondiale under 17.
Nell’ebrezza della festa De Laurentiis si è augurato che questo scudetto sia solo il primo di una lunga sequenza; da ultras juventino spero non accada ma certo i presupposti in tal senso non mancano.