Si scrive NADEF e si legge “Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza”. Quella annuale per il triennio 2024-2026 presentata al Parlamento è riuscita a mettere d’accordo le opposizioni, tutte in coro a tacciare il governo di voler privatizzare l’intero sistema sanitario. La Nota, infatti, mette sotto il naso di tutti il netto calo d’incidenza della spesa sanitaria sul PIL – con un passaggio in 5 anni, tra il 2020 e il 2025, dal 7,4% al 6,2%. Va bene, bisogna considerare la forte contrazione della crescita registrata nel 2020 per il Covid. Ma nemmeno nel medio periodo il quadro migliora, perché si aggiunge il dato sulle pensioni: fissando un orizzonte ideale al 2036, e ipotizzando una crescita media annua del PIL di circa l’1%, la spesa pensionistica è stimata in aumento di quasi due punti rispetto al 2024, arrivando al 17,3%. Per la sanità il segno positivo si ferma a 0,4 punti e per l’istruzione c’è addirittura un calo di 0,3 punti.
Non bisogna essere economisti per capire che lo scenario è affetto da gravissimi tagli. E lo hanno capito benissimo i governatori, con a capo Michele Emiliano che, nei panni di Masaniello pugliese, ha diffuso un primo (dovuto) allarmismo. Tutto ciò nonostante Giorgia Meloni abbia già indicato la sanità come una delle “4 grandi priorità della legge di bilancio”, insieme al sostegno dei redditi bassi, delle pensioni e della bassa natalità. Ma alle sue incoerenze ci siamo già abituati, così come ai suoi repentini cambi di direzione. E i tagli alla sanità arrivano nonostante siano quattro milioni gli italiani che quest’anno hanno rinunciato alle cure mediche, sfiancati dai tempi biblici di attesa. E nonostante la scorsa primavera Orazio Schillaci (ministro della Salute) abbia promesso una pioggia di oltre 4 miliardi di euro per la Sanità pubblica.
A conti fatti, al SSN potrebbero arrivare forse un paio di miliardi, con una una manovra che “finanzierà il rinnovo contrattuale del pubblico impiego, con una particolare attenzione al settore sanitario, e prevederà stanziamenti da destinare al personale e agli investimenti nel Mezzogiorno” – dice la NADEF. Forse il governo punta sul PNRR, in cui “c’è un finanziamento di oltre 15 miliardi“, come disse a marzo la premier quando, rivendicando la maternità del decreto bollette, spolverava anche uno stanziamento “da oltre un miliardo per limitare l’impatto del payback e rafforzare i Pronto Soccorso“.
La media OSCE per la spesa sanitaria media dei paesi membri oscilla intorno al 7,1% dei PIL. L’Italia è da anni ben sotto questa media. A legislazione vigente è prevista una diminuzione da 134,7 miliardi nel 2023 (6,6%) a 132,9 nel 2024 (6,2%). I 2 miliardi in più, già previsti dal governo Draghi, sono stati spostati al 2025. Così la Sanità, invece di crescere di 2 miliardi l’anno, salirà forse a partire dal 2025, e non un solo centesimo in più sarà stanziato da questo governo. Dice bene, allora, Emiliano: «Senza un repentino aumento del fondo nazionale per la sanità pubblica di almeno 4 miliardi di euro, la nostra sanità rischia seriamente il default». E dice bene anche il presidente Mattarella: «Il Servizio sanitario nazionale è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare», forse preoccupato dagli ultimi dati ISTAT per cui nel 2021 la spesa sanitaria a carico delle famiglie è stata pari a 36,5 miliardi, con un aumento medio annuo dell’1,7% tra il 2012 e il 2021.
In linea con gli investimenti in calo, va ricordato che sono state pure tagliate le Case di comunità (414 in meno) e gli Ospedali di comunità (96 in meno) previsti originariamente dal PNRR. «Altro che rilancio della Sanità pubblica! Questo è il definitivo colpo di grazia» sbotta Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE. Gli addetti ai lavori hanno già rilevato che in questa NADEF non c’è alcun cenno allo sblocco del tetto di spesa per il personale medico e sanitario. E sappiamo bene che senza assunzioni nel pubblico, finiranno più fondi al privato convenzionato. A restare più in affanno sono le Regioni, che rappresentano la trincea istituzionale in fatto di sanità pubblica: in 7 regioni i livelli essenziali di assistenza non sono sufficienti. E intanto il governo ha chiesto alla Toscana (che aveva investito in assunzioni proprio per assicurare i servizi) di tagliare 3mila sanitari perché “sono stati superati i tetti di spesa di 130 milioni“.
Ma di fronte ai numeri, ai semplici numeri, perfino il presidente della Conferenza delle Regioni – il leghista Fedriga – ha dovuto ammettere: «Bisogna potenziare la medicina territoriale, recuperare le prestazioni sanitarie, abbattere le liste d’attesa». Che belle parole, che ottimi intenti. Ma mentre fanno a gara di oratoria, viene da chiedersi: davvero possiamo perdere tempo a capire se un’ecografia deve essere fatta in uno studio medico o in una farmacia? E in quale girone dell’inferno (posto che ce ne sia uno, oltre a quello terrestre) finiscono quelli che speculano sulla salute della gente?